di Giovanni Cominelli
Milano: Le metamorfosi di una global city.
L’EXPO del 2015 ha fatto compiere un salto a Milano, rinchiusa in circa 181,7 km², con una ristretta base demografica di 1 milione e 400 mila residenti: è diventata una “global city”, per citare Saskia Sassen, la sociologa americana che ha studiato fin dagli anni ’90 i riflessi della globalizzazione sugli agglomerati urbani.
“Città globale” significa essere sede attrattiva per corporation multinazionali e per istituzioni finanziarie, per attività di ricerca scientifica e di studi, per turismo.
Le trasformazioni sono state veloci sul piano economico, industriale, produttivo e, pertanto, sul piano della composizione dei lavori e delle professioni e su quello socio-civile e demografico. Poiché la città globale è molto ricercata, sono aumentati i prezzi. Accade in tutte le conglomerazioni urbane del mondo.
Domanda crescente di residenze e servizi
La città globale Milano si è trovata a rispondere affannosamente, dentro lo spazio storico di sempre, alla domanda diventata globale di residenze e di servizi, con un’Amministrazione imbragata in regole vetuste, interpretabili in modo opposto.
Così, per recuperare spazi, è ricorsa alla rigenerazione di aree ex-industriali o ex-ferroviarie e alla moderata verticalizzazione. Ma è evidente che la politica edilizia e urbanistica non bastano. Non basta la gestione del suolo, occorre dilatare il territorio, per distribuire i servizi su una scala più grande.
E servirebbero istituzioni di governo coerenti con la scala dei processi economici e sociali in corso sul territorio. Per esempio, l’area di Londra, che conta più abitanti dell’intera Regione Lombardia, si è data nuovi livelli istituzionali, ciascuno con competenze distinte: la Greater London Authority e i 32 boroughs con la City of London.
Piero Bassetti da tempo insiste sul peso socio-economico crescente dell’asse ferroviario padano Milano-Bologna, che deborda per domande e per peso economico dai confini istituzionali dei Comuni e delle Regioni che attraversa.
La lunga battaglia del Sindaco Carlo Tognoli per la costruzione di un’area metropolitana milanese è finita in niente. Nessuna meraviglia che una rete politico-istituzionale così vetusta e così fragile rischi di essere travolta dalle forze animali del mercato, soprattutto se globale.
L’impotenza della nuova politica post-partitica
I processi di trasformazione socio-economica e culturale che hanno riguardato Milano sono stati accompagnati, dal 1943 fino ai primi anni ’90, dalla politica, cioè dai partiti.
Dietro a loro stavano “le robuste casematte” della società civile, per usare l’espressione dei “Quaderni del carcere” di Gramsci. I partiti, che intermediavano tra la società e le istituzioni, funzionavano come comunità democratica di formazione dell’opinione pubblica e del consenso.
Nelle loro sezioni si discuteva delle questioni pubbliche, dall’urbanistica ai trasporti: tram o metropolitana? Il PCI all’epoca rispose no. La gente partecipava, poi i partiti trattavano tra di loro e decidevano: le istituzioni e le burocrazie si adeguavano. Con tutte le virtù e i vizi di questo metodo. Milano è cresciuta così.
Poi arrivò Mani Pulite nel 1992. I partiti storici ne uscirono distrutti, quelli nuovi diventarono partiti a leadership personale e monocratica e a cerchio magico. Vennero avanti nuovi soggetti politici: le liste civiche, le lobbies, le competenze professionali, i tecnici, i mass-media e i social-media, gli influencer.
Abitare a Milano: un’impresa sempre più difficile
Un punto critico è diventato l’abitare. Un infermiere, un insegnante, un neo-assunto, un guidatore di autobus, una famiglia di immigrati, uno studente non ce la fanno ad abitare a Milano, oggi: o mangiano o abitano. Servirebbero grattacieli, quelli per i ricchi e quelli “popolari”.
In realtà, per i residenti e proprietari di muri la “global city”, quella che Dario Di Vico ha definito la Città-Premium, alla Amazon, è una manna. È arrivata una rendita di massa. I 2/3 delle case a Milano sono di proprietà personale, non degli immobiliaristi.
C’è chi ha investito i risparmi di una vita in un piccolo bilocale, dentro il quale stipare tre studenti, ricavandone 1.200 Euro al mese, una sorta di secondo stipendio o pensione, con la quale finanziare figli o nipoti che hanno salari da fame.
Le case già IACP sono un patrimonio immenso, che la Regione ha tolto al Comune e ha avocato a sé e che ha abbandonato alla mala gestione, alle occupazioni abusive, in alcuni casi alla delinquenza. Il “social housing” resta molto al di sotto rispetto alla domanda.
La magistratura, che c’azzecca?
In questi frangenti, che durano da anni, la Procura di Milano è intervenuta a gamba tesa formulando un teorema: esiste una cupola, costituita da archistar, operatori immobiliari, finanzieri, politici, funzionari comunali, 74 per l’esattezza, che sguazzano nel fango della corruzione per soldi e potere. Che dire? Ci attendiamo che la magistratura li scovi e li condanni, esibendo prove. Nulla di più.
Non ci mancano i trattati, scritti dai magistrati, di etica pubblica o di sociologia urbana o di urbanistica. La quale può essere debole o surreale, quale è certamente stata il consentire la costruzione di un grattacielo in un cortile, come è accaduto in Piazza Aspromonte, ma ai magistrati tocca “solo” individuare il crimine e il criminale. Sennò che significa “clima corruttivo” in termini penali?
E qual è lo scandalo se la Commissione- paesaggio, che è un organo puramente consultivo, è composta da professionisti che prestano la loro collaborazione gratuitamente e perciò non possono rinunciare ai loro incarichi professionali e alle loro consulenze? Si tratta di una “combine”, se costoro discutono tra loro e con l’Amministrazione per negoziare i propri progetti e per trovare un punto d’incontro?
Commissione paesaggio al centro delle polemiche
Oppure, seguendo il M5S o AVS, si vuole che la Commissione-paesaggio debba essere composta da casalinghe di Voghera oneste e incompetenti o da funzionari di partito, spesso né onesti né competenti?
Un “pentito” ha denunciato ai magistrati che la suddetta Commissione è stata nominata dai partiti. La scoperta merita il premio Ignobel. Chi avrebbe dovuto nominarli? Quale autorità superiore? Quale lobby? Sono nominati, da sempre, da un Assessore, che è espressione di un partito, che tratta con altri partiti.
Intanto l’effetto di questo processo mediatico – la Procura ha sventagliato accuse prima di interrogare e ha informato i giornali prima che il Sindaco di un avviso di garanzia che lo riguarda – innescato assai prima di quello indiziario-giudiziario, è già sotto gli occhi: 150 cantieri fermi, miliardi di investimenti bloccati, contributi per gli oneri perduti dal Comune nell’ordine di decine di milioni, lavoratori e famiglie senza lavoro, senza stipendi, senza casa.
Qual è la spinta all’invasione di campo della magistratura? Un mix di ideologia no-global, no-mercato, no-partiti, no-politica, da una parte, e, dall’altra, una robusta “volontà di potenza” del “terzo potere” in stretta alleanza con il “quarto potere”.
Ma la “causa causarum” resta la debolezza estrema del sistema politico-partitico, incapace di immaginare e progettare nuove istituzioni di governo del Paese e dei suoi territori. Sala e il PD sono questa debolezza culturale. E La Russa? Anche peggio.
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