Una recente sentenza del TAR Abruzzo, analizzata dall’Avvocato Maurizio Lucca, evidenzia come il fattore umano non sia ancora sostituibile dalla IA: tutti i dettagli.
La sez. I Pescara del TAR Abruzzo, con la sentenza 23 giugno 2025, n. 240 (Est. Giardino), nel derimere una errata scansione procedimentale di concorso, nella determinazione dei punteggi di valutazione (i criteri), rifugge dalle giustificazioni dell’Amministrazione nell’imputare la responsabilità all’IA (intelligenza artificiale), quasi a volere riconoscere una identità (digitale) alla macchina, aspetto non ancora consolidato nel diritto positivo, esigendo necessariamente (e giuridicamente) il controllo umano sui processi (robotizzazione) informatici del software: un forte richiamo al dovere di esercizio della funzione.
Principio bandiera
Viene confermato un orientamento giurisprudenziale [1] secondo il quale il ricorso all’algoritmo nel procedimento amministrativo risulta pienamente ammissibile, come strumento procedimentale ed istruttorio, alle condizioni preminenti di assicurare elementi di minima garanzia in sede di esercizio del potere autoritativo pubblico (la decisione finale):
- la piena conoscibilità a monte del modulo utilizzato e dei criteri applicati [2];
- l’imputabilità della decisione all’organo titolare del potere, il quale deve poter svolgere la necessaria verifica di logicità e legittimità della scelta e degli esiti affidati all’algoritmo.
L’autovincolo
Pare giusto rammentare che il criterio di attribuzione di punteggio prestabilito assicura una maggiore trasparenza nelle procedure concorsuali, atteso che quando la PA si autovincola, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, esprime un fondamentale principio di garanzia della par condicio: conoscere in via anticipata i criteri valutativi e decisionali della Commissione valutatrice, in un contesto in cui le regole di partecipazione sono chiare e predefinite, mette in condizione i concorrenti di competere lealmente su quei criteri, con relativa prevedibilità degli esiti [3].
L’approdo valoriale comporta che la discrezionalità deve essere riconosciuta nella fase di attribuzione del giudizio, ma una volta assegnato il giudizio il relativo punteggio deve corrispondere al limite minimo e massimo previsto nei criteri predeterminati [4].
Fatto
Un candidato, collocato al terzo posto della selezione, impugna la graduatoria definitiva per l’assunzione di un docente e del conseguente contratto di assunzione del primo classificato (vincitore), nonché di tutti gli atti del procedimento concorsuale, non avendo operato (la Commissione concorsuale) una corretta valutazione dei titoli (artistici, culturali e professionali), calcolo utile ai fini della formazione della graduatoria.
Dall’accesso ai verbali riscontrava una carenza totale di indicazioni circa la valutazione analitica dei titoli per i quali veniva espresso unicamente un unico punteggio numerico, in violazione delle regole poste dal dPR n. 487/94 (ex art. 12, Trasparenza amministrativa nei procedimenti concorsuali, dove si prevede al comma 1, primo periodo che «Le commissioni esaminatrici, alla prima riunione, stabiliscono i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali, da formalizzare nei relativi verbali, al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove»), essendo mancata una preventiva determinazione dei criteri di attribuzione del punteggio da assegnare a ciascun titolo, nonché della relativa “forbice” numerica (i criteri si presentavano generici, di massima, rectius omissione di una determinazione disposta direttamente dalla legge sulla determinazione puntuale degli stessi).
L’Amministrazione in via postuma (una specie di sanatoria ex post), a fronte di una richiesta di annullamento della procedura, indicava i criteri seguiti; ossia, forniva l’indicazione dell’iter logico giuridico seguito per la valutazione dei titoli.
In sede di deduzioni, riferiva che la procedura di reclutamento avveniva mediante una piattaforma progettata con la funzione di calcolare automaticamente i punteggi da assegnare ai candidati, affidando alla Commissione il compito di verificare la correttezza del punteggio finale già attribuito dalla stessa, a cui aggiungere la valutazione derivante dai titoli di studio ulteriori: scelta di unificare i punteggi avvenuta con decisione assunta nel primo verbale.
Il GA in sede cautelare monocratica intimava all’Amministrazione di non dar corso all’assunzione, in attesa della decisione collegiale.
Questioni preliminari
Il Tribunale esclude che la parte ricorrente difetti di interesse, anche in funzione della posizione che assumerebbe in graduatoria con il riconoscimento del punteggio corretto, atteso che non soggiace alla prova di resistenza chi fa valere vizi che colpiscano in radice la legittimità della procedura selettiva (annullamento della stessa) e ne rendano, pertanto, necessaria la riedizione [5].
Detto in modo più divulgativo, la violazione delle regole procedimentali di trasparenza portano all’annullamento ex se dell’intera procedura concorsuale (compresa ovviamente la graduatoria finale), rivestendo portata assorbente, in quanto comporta la violazione del principio di imparzialità che deve essere assicurato anche in astratto, prescindendo dalla valutazione in concreto di chi possa essere stato più o meno avvantaggiato dalla fissazione dei criteri di valutazione.
Merito
Il ricorso viene accolto, con condanna alle spese, avendo cura di stabilire da subito la fonte di riferimento: l’art. 12 del DPR n. 487 del 1994, dove i criteri di valutazione ed i relativi “pesi” nell’ottica della trasparenza dell’attività amministrativa perseguita dal Legislatore, debbono essere predeterminati in un momento in cui non possa sorgere il sospetto che gli stessi siano fissati in modo da favorire o sfavorire alcuni concorrenti [6].
Una regola di trasparenza
In effetti, il principio di preventiva fissazione dei criteri e delle modalità di valutazione delle prove concorsuali (e lo stesso vale anche per la valutazione delle pubblicazioni) non può essere derogato, pena la violazione dell’imparzialità, intesa come regola di trasparenza, misura di prevenzione da ogni forma di vantaggio reale o potenziale di alcuno (il c.d. rischio di alterare le valutazioni in funzione delle posizioni dei singoli candidati alle prove) [7].
In questo senso, il principio per cui il voto numerico, da solo, esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della Commissione, pienamente sufficiente ad esprimere il giudizio valutativo, presuppone che a monte siano stati predeterminati criteri chiari e puntuali in grado di direzionare in modo sufficientemente stringente la discrezionalità dell’organo valutativo, consentendo di comprendere (ai terzi, i candidati) l’iter logico seguito nella correzione delle prove [8].
Dalla lettura del verbale di insediamento mancava la previsione dei criteri di dettaglio ed esplicativi delle modalità di assegnazione dei punteggi, con riferimento ai diversi titoli artistici valutabili, omettendo una regola di trasparenza e correttezza, donde la presenza di un vizio di legittimità inficiante il risultato delle prove, non potendo ammettersi una sanatoria a posteriori (c.d. motivazione postuma): una lesione al principio di par condicio perché effettuato allorché i nominativi dei candidati erano già noti.
L’irresponsabilità della IA
Ulteriore censura, priva di pregio giuridico, sostenere la legittimità della procedura, avendo la Commissione osservato il responso delle indicazioni tecniche (il c.d. algoritmo IA) della piattaforma informatica deputata alla gestione dei concorsi.
Invero, lo strumento informatico utilizzato costituisce una modalità di agevolazione del lavoro delle Commissioni giudicatrici, ma non quello di sostituire la decisione dell’organo tecnico: «la scelta dell’introduzione progressiva di componenti di Intelligenza Artificiale e strumenti informatici di ultima generazione nel procedimento amministrativo in generale e nelle procedure concorsuale in particolare può costituire di certo un consistente ausilio per l’Amministrazione potenziandone l’efficienza, ma non può sostituire del tutto l’intervento umano della Commissione, a cui l’attività valutativa è imputabile sotto il profilo giuridico, che deve svolgere l’imprescindibile funzione di controllo sull’attività svolta per il tramite dei sistemi informatici».
In termini diversi, la Commissione non ha operato correttamente, avendo dovuto – diversamente da quanto fatto – determinare i criteri di valutazione dei singoli titoli, affidando semmai poi alla macchina la loro elaborazione finale, consentendo di distinguere all’atto dell’insediamento e prima della valutazione dei titoli i citati criteri, in adesione con l’orientamento giurisprudenziale [9] dove si afferma che l’utilizzo della IA ai procedimenti amministrativi deve collocarsi in una posizione necessariamente servente rispetto agli stessi (gli strumenti informatici).
In dipendenza di ciò, gli istituti di partecipazione, di trasparenza e di accesso di relazione del privato con i pubblici poteri (quelli che caratterizzano l’apporto del cittadino al/nel procedimento) non possono essere legittimamente mortificati e compressi, soppiantando l’attività umana (la c.d. riserva di umanità) con quella impersonale (dall’input generativo di output), che poi non è attività, ossia prodotto delle azioni dell’uomo, che può essere svolta in applicazione di regole o procedure informatiche o matematiche.
Sintesi
La sentenza di viva attualità, nella sua estensione generale e astratta di esempio, affronta i limiti giuridici dell’uso delle diverse piattaforme (di intelligenza artificiale) per rispondere alle necessità di risposte; ovvero per sostituire il lavoro proprio con quello della IA, non solo da parte di scolari svogliati ma di professionisti e operatori pubblici, i quali, in piena consapevolezza, utilizzano il (ro)bot (il fenomeno ChatGPT, prototipo chatbot) nella formazione di decisioni e/o provvedimenti, a volte privandosi dell’onere (una competenza propria) di “controllare, validare ovvero smentire la decisione autonoma”, riponendo nella meccanica digitale una fede di “affidabilità/infallibilità” maggiore rispetto alla componente antropica.
Un affrancamento dalla fatica di comporre operazioni materiali, a volte complesse, lavorate dai sistemi informatici in tempi rapidi (immediati), a cui peraltro sono affidate la gestione delle infrastrutture a rete dei servizi vitali per un qualsiasi paese sviluppato.
Assistiamo a questo transfert di competenze, non ancora del tutto avvalorato dalla legge, ed è proprio questo che il GA tiene a riaffermare nel sentenziare il primato dell’uomo sulla macchina, quale strumento di ausilio delle decisioni che devono rimanere nelle mani (proprie) non dei metadati ma delle persone fisiche, negando la bontà della delle scelte automatizzate (in riferimento si ripone in quell’aggettivo “impersonale”).
Il giudice censura questa perdita di umanitade (a fronte della promozione dell’Agenda Digitale), non potendo disperdere l’intelletto (la discrezionalità) di una Commissione tecnica che nel suo agire affida all’esterno le scelte valutative (questo è sempre stato un evidente impedimento), dovendo invece esprimere al suo interno tale potere: quando tutto questo sarà possibile (e lo sarà) sarà persa quella “riserva di umanità”, capace di valutare e vedere oltre.
Il progressivo utilizzo della IA, se da alcuni è ritenuto un bene, recuperando energie da utilizzare (massimizzare) per raggiungere più velocemente ai risultati, altri ritengono segnato un percorso di perdita di talenti, quella manualità non tanto antica dell’ortografia delle parole (la c.d. bella scrittura).
Il Tribunale con il pronunciamento esprime un evidente monito nell’assecondare a terzi (l’IA), alla c.d. “black box” (dove le decisioni sono assunte sulla base del “machine learning” e del “deep learning”), le proprie determinazioni valutative, pensando di giustificare la correttezza del proprio operato nell’affidabilità del programma informatico (“c’è lo dice la scienza”, una verità empirica, provvisoria, non assoluta, ritenuta in epoca non lontana un dogma), il quale non è (ancora) programmato per questo lavoro.
A ben vedere, non sarebbe improprio richiamare le “Tre leggi della robotica” di ASIMOV, le quali dichiarano la strumentalità delle macchine sulla supremazia e tutela dell’uomo.
Note
[1] Cons. Stato, sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 8472.
[2] Si rinvia, LUCCA, Nessun limite all’accesso dell’algoritmo IA, lentepubblica.it, 22 luglio 2025.
[3] Cons. Stato, sez. III, 22 dicembre 2020, n. 8209; 20 aprile 2021, n. 3180; 4 agosto 2022, n. 6872; 30 settembre 2022, n. 8432.
[4] TAR Lombardia, Milano, sez. V, 22 luglio 2025, n. 2751.
[5] Cons. Stato, sez. VII, 29 dicembre 2022, n. 11580; sez. VI, 2 aprile 2020, n. 2221; sez. III, 22 ottobre 2018, n. 6035 e 2 marzo 2018, n. 1312; TAR Liguria, sez. I, 9 dicembre 2020, n. 973.
[6] TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, sentenza n. 324/2023, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 8007/2024.
[7] Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2019, n. 4104; 11 dicembre 2018, n. 6979; 17 maggio 2017, n. 2334; 27 settembre 2016, n. 3976; 19 marzo 2015, n. 1411; 26 gennaio 2015, n. 325; 3 marzo 2014, n. 990; sez. V, 22 gennaio 2015, n. 284 e 4 marzo 2011, n. 1398.
[8] Cfr. TAR Veneto, sez. I, 27 febbraio 2020, n. 196, sull’illegittima valutazione in forma numerica delle prove scritte di un concorso, ove sia mancata una predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove medesime con l’attribuzione unicamente del mero voto numerico, non accompagnata da una, quanto meno, succinta motivazione preordinata a rendere trasparente il giudizio della commissione giudicatrice. Vedi, anche, TAR Campania, Napoli, sez. V, 27 febbraio 2016, n. 1087.
[9] TAR Lazio, Roma, sez. III bis, sentenza n. 6688/2019.
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