L’agricoltura italiana si trova oggi a fare i conti con un rischio climatico in costante crescita: grandinate più violente, ondate di calore sempre più frequenti e alluvioni distruttivi. In questo scenario, strumenti come le polizze agevolate e i Consorzi di difesa agricola diventano fondamentali per garantire la sopravvivenza delle imprese. Riccardo Melani, direttore del Consorzio Toscano di difesa delle produzioni agricole, ci guida tra numeri, normative e criticità di AgriCat, lo strumento introdotto con la Politica agricola comune (Pac) 2023-2027 per rendere più rapidi i ristori in caso di danni da eventi catastrofali.
Negli ultimi anni il rischio climatico per gli agricoltori è cambiato: quali sono le nuove minacce?
In passato si temevano soprattutto le gelate tardive, ma con l’aumento delle temperature gli agricoltori sono molto più spaventati da grandinate, alluvioni e siccità in aree che prima non soffrivano di questi problemi o solo di rado. In particolare temono le grandinate improvvise o le alluvioni, che si formano sempre più spesso quando le correnti calde dall’Africa si scontrano con le aree montuose come l’Appennino o le Alpi e finiscono con lo “scaricare” sulle fasce interne. Per un’azienda che investe “sotto il cielo”, senza capannoni o protezioni, perdere la produzione significa mettere a repentaglio l’intera attività. E se la monocoltura è il tuo core business, come nel caso dei vigneti o degli uliveti toscani, il rischio diventa insostenibile senza una copertura assicurativa adeguata.
Lei lavora da oltre 40 anni nei consorzi di difesa. Come funzionano e come sono cambiati nel tempo?
Sono associazioni prettamente italiane, nate con una legge del 1970, inizialmente controllate dallo Stato e dalle Regioni, per contrastare lo strapotere delle compagnie di assicurazione. Un singolo coltivatore non poteva negoziare condizioni con una grande impresa assicurativa: il consorzio aggrega invece migliaia di produttori, tratta con le compagnie in nome proprio e per conto loro, ottiene tariffe più basse e franchigie più ragionevoli. Negli anni, però, l’Antitrust ha liberalizzato il mercato: dal 2015 le aziende possono stipulare polizze anche al di fuori del consorzio. Questo consente alle aziende agricole di stipulare contratti in maniera autonoma, ma al contempo ha ridotto il potere negoziale dei consorzi di difesa.
Com’è cambiato invece il ruolo delle società di assicurazioni?
Negli anni Duemila le compagnie che operavano nel settore delle calamità naturali, erano ancora una settantina; adesso sono poche decine, e quelle specializzate in questo particolare settore del ramo agricolo, si possono contare sulle dita di una mano. Dato che sono aumentati i sinistri, per molte società è diventato poco conveniente o addirittura troppo rischioso restare su un mercato in cui si moltiplicano i danni derivanti da eventi climatici estremi e sempre più frequenti.
Qualche anno fa l’Unione europea si è resa conto che è indispensabile supportare il sistema assicurativo e ha introdotto un apposito strumento con la Pac 2023‑ 2027. Come funziona?
L’Italia ha costituito un fondo denominato AgriCat, che ha due scopi: uno di intervenire direttamente a ristoro delle aziende che abbiano subito danni dalle cosiddette avversità CAT (Gelo-Siccità-Alluvione), l’altro di integrare il sostegno offerto dalle polizze private contro calamità naturali. Ogni anno vengono stanziati circa 300 milioni di euro, prelevandoli dai fondi Ue per la Pac. Attualmente risulta che Bruxelles stia studiando un terzo Pilastro dedicato prevalentemente alla gestione dei rischi climatici e delle crisi di mercato, che potrebbe essere introdotto dal 2028 per riservare ulteriori contributi alla tutela e stabilizzazione del reddito agricolo. Ciò nonostante questi fondi faticano a tradursi in ristori efficaci. Questo disincentiva le aziende ad assicurarsi.
Cosa non ha funzionato finora?
È uno strumento troppo complesso e calato dall’alto, con difficile applicazione sui territori. I primi anni i soldi sono stati accantonati, ma senza che l’AgriCat fosse operativo. Dal 2023 sono stati effettuati i primi versamenti, ma totalmente insufficienti a coprire le necessità, come nel caso degli allagamenti in Emilia-Romagna. Ricevere i soldi è stato molto complicato e spesso le risorse non sono andate a chi ne aveva più bisogno. Il problema dell’AgriCat nasce però alla radice, dalle troppe regole nazionali introdotte ogni anno dallo Stato. Regole che alterano la naturale trattativa tra consorzi o imprese agricole e compagnie di assicurazione. Inoltre sono stati introdotti criteri troppo complessi, soglie di danno incoerenti e indici come lo Spei – basato sull’evapotraspirazione su base trentennale – che non coincide con le metodologie classiche utilizzate dalle compagnie di assicurazione.
Può fare un esempio pratico?
Nelle vecchie polizze, la soglia per l’evento siccità veniva calcolata quando le piogge cadute erano inferiori al 50 % della media degli ultimi cinque anni. Con lo SPEI, molte aziende hanno denunciato perdite superiori al 60 % del raccolto, ma non hanno avuto ristori perché in base all’indice Spei non è stata raggiunta la soglia fissata dallo Stato. Risultato: ti assicuri, versi il premio e, nonostante i danni subiti, è possibile che non ricevi alcun indennizzo. Dato che l’AgriCat si basa su queste regole, fatica ancora a funzionare correttamente.
Come potrebbe essere migliorato AgriCat?
Invertendo i ruoli e i tempi di intervento: bisogna lasciare a Consorzi e compagnie la gestione delle polizze entro un range operativo definito dal libero mercato; solo a fronte di eventi eccezionali, per la fascia di danni che superano un certo limite massimo, dovrebbe intervenire lo Stato e/o l’AgriCat come “riassicuratore di ultima istanza”. Così si rispetterebbero le dinamiche competitive, si velocizzerebbero i pagamenti e si manterrebbero gli incentivi a stipulare polizze adeguate.
Quanto incide oggi l’assicurazione sulla stabilità del reddito agricolo?
In agricoltura la “difesa attiva”, come quella fornita dalle reti antigrandine o da strumenti antigelo, è efficace ma spesso non conveniente per gli elevati costi. Inoltre i rischi sono in costante aumento, tra malattie delle piante in espansione, insetti invasivi e volatilità dei mercati. L’unica ancora di salvezza è la “difesa passiva”, garantita da coperture assicurative agevolate e ristori europei e nazionali, che dovrebbe offrire maggiori garanzie e prospettive meno incerte. Solo con un minimo di tranquillità per gli investimenti, i giovani torneranno in campagna, le aziende non chiuderanno e il nostro settore primario resterà competitivo.
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