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La vera contesa Ue-Usa non è sui dazi ma sul digitale


Sullo sfondo del negoziato sui dazi tra Washington e Bruxelles, c’è l’insofferenza delle Big Tech americane per le regole europee sul settore digitale. L’analisi di Stefano Feltri tratta dalla newsletter Appunti.

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Sullo sfondo dei negoziati sui dazi decisi da Donald Trump il 2 aprile scorso, c’è una partita molto più vitale per l’Europa e per gli Stati Uniti: quella per il futuro del digitale, e dunque del mondo.

Per quanto sembri epocale, lo scontro sulle tasse alle importazioni verso l’America è ben poca cosa. In fondo si tratta soltanto di stabilire, entro la scadenza del 9 luglio, se i consumatori americani dovranno pagare il 10 per cento in più sui prodotti europei o magari il 50, o chissà quanto, a seconda dell’umore di Trump.

Una questione importante, certo, ma marginale rispetto allo scontro sul digitale. Il commissario europeo Mares Sefcovic che è andato a Washington per trattare sul commercio, aveva un limite preciso: poteva discutere di tutto ma non di regole digitali.

Anche le opinioni pubbliche europee più sonnacchiose vedrebbero male uno scambio di favori troppo esplicito, del tipo dazi più bassi su vini o automobili in cambio dei nostri diritti come utenti digitali o dei nostri dati.

Proprio nei giorni più caldi del negoziato sui dati, guarda caso, gli amministratori delegati di 13 grandi aziende europee – da Airbus a BNP Paribas – hanno scritto alla Commissione una lettera che chiede una pausa di due anni delle parti più invasive dell’Artificial Intelligence Act che diventa vincolante da agosto.

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Ora, una pausa di due anni alle regole in un settore che cambia di giorno in giorno equivale alla richiesta alle istituzioni europee di passare dall’approccio più invasivo al mondo nella regolazione dell’intelligenza artificiale alla deregulation più completa, cioè proprio quella che chiedono le imprese americane della Silicon Valley.

Scrivono gli amministratori delegati nella lettera alla Commissione:

In qualità di rappresentanti di aziende europee profondamente impegnate nel progetto europeo e nello sviluppo di un’intelligenza artificiale affidabile e incentrata sull’uomo – che deve, naturalmente, essere soggetta a una regolamentazione semplificata e pragmatica – siamo convinti che l’Europa abbia un’opportunità unica per assumere la leadership nell’economia globale dell’IA.

Tale opportunità potrà essere colta solo se agiremo ora, con determinazione e mettendo la collaborazione al centro

Quale innovazione proteggere

Negli ultimi anni la Commissione europea ha spinto iniziative legislative che si fondano su un principio molto chiaro: anche se le grandi aziende digitali sono quasi tutte americane, l’Unione europea ha il diritto e anche il dovere di esercitare la propria sovranità in campo digitale per fare in modo che anche quell’aspetto dell’esistenza sia regolato in coerenza con i valori e le leggi alla base del modello di vita europeo.

Questa scelta, secondo i critici, ha la conseguenza di favorire la tutela dei diritti rispetto all’innovazione. Ma non è del tutto vero.

Una delle leggi più contestate da Big Tech è il Digital Markets Act (DMA), un ambizioso pacchetto di norme che integra le regole antitrust contro i monopoli e l’abuso di posizione dominante.

Mentre l’antitrust interviene sempre quando è troppo tardi, con sanzioni alle aziende che danneggiano consumatori e concorrenti e proponendo rimedi che cercano di limitare i danni, il DMA ha una funzione preventiva: colpisce pochissime grandi aziende, classificate come “gatekeepers”, cioè quelle che fanno da punto di accesso per tutte le altre che operano in digitale.

Come Apple o Google, che gestiscono gli store dove gli utenti possono scaricare le app: se un’azienda non riesce ad arrivare nello store rischia di non esistere, ma se deve sottostare a condizioni troppo penalizzanti fissate da chi gestisce lo store non potrà mai crescere.

Jason Lowe, dell’incubatore di startup americano Y Combinator, ha scritto sul Financial Times che il DMA non è una norma contro le imprese digitali americane. E’ una legge che protegge le piccole imprese digitali più innovative – che sono spesso più americane che europee – dalla possibilità che le grandi piattaforme digitali le soffochino e impediscano la crescita.

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E proteggere le Big Tech dalla nascita di nuove aziende digitali capaci di insidiarne il predominio non è nell’interesse di nessuno, neanche delle stesse Big Tech: nel tentativo di proteggere le proprie rendite di posizione, aziende come Apple e Google sono rimaste indietro nello sviluppo dell’intelligenza artificiale e delle sue applicazioni.

Apple e Meta rischiano multe rispettivamente per 200 e 500 milioni di euro, ma il punto del DMA non è tanto la sanzione, non è uno strumento per fare cassa per l’Unione europea e le multe, che pure possono arrivare al 10 per cento del fatturato, non sono la parte più pericolosa dello strumento, dalla prospettiva di Big Tech.

Il punto è che il DMA costringe le piattaforme digitali ad aprirsi alla concorrenza nel mercato europeo, a tollerare la possibile emersione di potenziali concorrenti, a non poter fare tutto quello che vogliono con i dati dei clienti europei.

E poiché il mercato europeo è grande e ricco, con 450 milioni di persone, quello che succede in Europa ha conseguenze anche negli Stati Uniti, visto che le aziende digitali difficilmente possono avere due organizzazioni e strutture diverse, una per il mercato americano e una per quello europeo.

Gli oligarchi digitali che hanno finanziato il ritorno di Trump alla Casa Bianca sostengono che regole come il DMA sono invasioni della sovranità americana, un tentativo di Bruxelles di sottomettere Washington e per questo vanno fermate.

“I lobbisti delle Big Tech presentano il DMA come una norma antiamericana. In realtà, gli obiettivi del DMA sono in linea con i principi americani di leale concorrenza. Non si tratta di Europa contro America, ma di mercati aperti contro mercati chiusi”, scrive Jason Lowe sul Financial Times.

Insomma, le regole digitali europee non sono contro l’innovazione, anzi, vogliono creare le condizioni perché ce ne sia di più. Non di meno.

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Ma può essere anche innovazione europea o sarà sempre e comunque innovazione americana, perché le startup digitali in Europa non trovano terreno fertile per crescere?

(Estratto da Appunti)



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