La prossima domenica i cittadini giapponesi si recheranno a votare per una nuova tornata elettorale. In ballo ci sono metà dei seggi della Camera dei consiglieri, la camera alta del parlamento del Giappone: normalmente si tratterebbe di un’elezione d’importanza secondaria, dato che la camera alta è investita di minori poteri rispetto alla camera bassa, ma nell’attuale situazione di protratta debolezza dell’esecutivo guidato da Shigeru Ishiba, un risultato negativo per la coalizione di governo rischia di avere conseguenze di larga portata. Dopo le disastrose elezioni anticipate dello scorso ottobre, in cui il governo aveva perso la maggioranza nella camera bassa, una sconfitta anche nella camera alta potrebbe infatti compromettere gli attuali equilibri politici del paese.
Le proiezioni di voto non favoriscono il governo in carica
Col voto di domenica saranno assegnati 125 dei 248 seggi che compongono la Camera dei consiglieri, i cui eletti resteranno in carica per i successivi 6 anni. Alla vigilia del voto la coalizione del governo Ishiba, composta dal Partito Liberaldemocratico (PLD) e dall’alleato minore Komeito, detiene la maggioranza nella camera alta con 141 seggi: di questi, 66 devono essere rinnovati durante la tornata elettorale di domenica. Per mantenere la maggioranza, dunque, il PLD e Komeito dovrebbero conquistare congiuntamente almeno 50 dei 125 seggi che saranno assegnati col voto. Ishiba ha fissato proprio a 50 seggi l’asticella per dichiarare raggiunti i propri obiettivi elettorali, una soglia che da subito è sembrata poco ambiziosa per una coalizione capace di un’importante mobilitazione della propria base elettorale nel contesto di un’affluenza al voto che nelle ultime tornate è stata persistentemente bassa.
Anche l’obiettivo dei 50 seggi, però, potrebbe essere fuori portata per la coalizione di governo guidata da Ishiba. Stando alle proiezioni dei diversi sondaggi condotti negli ultimi giorni dalle principali testate giapponesi, il PLD e Komeito potrebbero raccogliere rispettivamente meno di 40 e di 10 seggi ciascuno. A beneficiare di questo calo di consensi sono i partiti dell’opposizione, con il Partito Costituzionale Democratico (PCD) che dovrebbe conquistare qualche posizione in più rispetto ai propri 22 seggi sottoposti a votazione e quindi mantenere il proprio status di guida dell’opposizione di centro-sinistra. Il leader Yoshihiko Noda, pur non avendo fissato un obiettivo numerico per il proprio partito, ha detto di mirare semplicemente a sottrarre la maggioranza al governo nella camera alta.
Il contributo del PCD al raggiungimento di questo obiettivo rischia però di essere piuttosto modesto perché secondo i sondaggi al centro dell’avanzata elettorale dell’opposizione ci sono altri partiti come il Partito Democratico per il Popolo (PDP), un partito centrista che nell’ultimo anno è cresciuto molto raccogliendo il malcontento popolare, e il Sanseito, un piccolo partito di estrema destra molto presente online. Ciascuno dei due partiti, che domenica hanno in ballo appena una manciata di seggi a testa, potrebbe infatti raccogliere oltre 10 seggi a questa tornata elettorale.
I temi caldi su cui si gioca il voto
La campagna elettorale si è concentrata su una varietà di temi, primo tra questi la questione del rilancio economico e in particolare la lotta all’inflazione. È soprattutto l’aumento dei prezzi dei beni di consumo negli ultimi mesi a colpire pesantemente il portafoglio dei cittadini giapponesi, i cui salari reali negli ultimi mesi hanno subito una continua contrazione. A guidare l’inflazione galoppante – assestatasi sopra al 3% negli ultimi 6 mesi – è poi l’aumento del prezzo di uno dei prodotti agricoli alla base dell’alimentazione giapponese: il riso, il cui prezzo rispetto all’anno scorso è praticamente raddoppiato.
Governo e opposizione hanno proposto soluzioni radicalmente diverse per affrontare le difficoltà economiche correnti. L’opposizione si è orientata in blocco verso il taglio delle tasse sui consumi: benché le proposte individuali dei partiti presentino alcune differenze sostanziali tra di loro – ad esempio riguardo l’entità dei tagli e la durata per cui questi dovrebbero restare in vigore – tutte queste proposte partono dal presupposto che vada ridotta la pressione fiscale per aumentare il reddito disponibile dei cittadini a fronte l’aumento dei prezzi. Questa soluzione tuttavia è stata aspramente criticata dal PLD e dal Komeito, che ritengono il taglio delle tasse un pericolo per la sostenibilità dei conti pubblici: secondo Ishiba infatti, la tassa sui consumi è un valido strumento di lungo periodo per finanziare i programmi di assistenza sociale di cui il paese ha un grande bisogno data la crisi demografica in corso. La controproposta del governo per combattere l’inflazione è quella di distribuire un sussidio di 20.000 yen (circa $135) per persona, raddoppiabili a 40.000 per ogni bambino o per ogni adulto con un salario basso. L’idea però, nonostante sia quella finanziariamente meno dispendiosa, non sembra convincere la popolazione.
Un altro tema che ha animato la campagna elettorale è quello dell’immigrazione ed è questo uno sviluppo nuovo nella politica giapponese. Nonostante nell’ultimo decennio la crescente presenza di residenti stranieri nel paese – ma anche di turisti – abbia suscitato reazioni contrastanti, il tema non si era ancora imposto al centro del dibattito pubblico come durante queste elezioni. A soffiare sul fuoco della xenofobia è soprattutto Sanseito, quello che secondo i sondaggi dovrebbe essere il partito-rivelazione della tornata elettorale di domenica. Sotto lo slogan del “Prima i Giapponesi”, la formazione di estrema destra nata nel 2020 raccoglie i propri consensi in quell’ala del nazionalismo giapponese che aveva apprezzato l’ex premier Shinzo Abe, ma che è rimasta delusa dai successivi governi del PLD. Il partito – pur ridotto nelle sue dimensioni attuali – è riuscito ad attirare un notevole interesse online e ad imporre i propri temi nel dibattito pubblico attraverso un uso massiccio dei social media, a tal punto che secondo alcuni il successo inatteso di Sanseito potrebbe anche suggerire un sostegno da parte di attori stranieri.
I possibili scenari post-voto
Per Ishiba, dunque, il voto di domenica potrebbe essere determinante per la continuazione della propria esperienza di governo. Nel caso di un risultato positivo, in cui la coalizione di governo ottenga sui 50-55 seggi, il governo dovrebbe poter continuare a governare come è riuscito a fare negli ultimi mesi. La maggioranza alla camera alta non controbilancerebbe la perdita della camera bassa avvenuta lo scorso anno, ma lascerebbe a Ishiba un certo margine di manovra per portare avanti la propria agenda politica: il controllo della camera alta assicurerebbe infatti al governo quella libertà d’iniziativa che negli ultimi mesi ha permesso a Ishiba di scegliere di volta in volta quale dei partiti di opposizione coinvolgere nella camera bassa – mettendoli magari anche in competizione gli uni con gli altri – per approvare i propri disegni di legge.
Se però la coalizione dovesse raccogliere meno di 50 seggi lo scenario cambierebbe radicalmente. In primo luogo, la seconda sconfitta elettorale di Ishiba nel giro di un anno potrebbe sfociare in una rivolta delle correnti interne del PLD con l’obiettivo di forzarlo a rassegnare le proprie dimissioni e di procedere al ricambio della dirigenza di partito. Ciò significherebbe la fine dell’esperienza di Ishiba a capo del governo giapponese ma verosimilmente non quella del PLD, che rimane il primo partito del paese. Pur ammettendo l’ipotesi di una vittoria dell’opposizione, infatti, sembra difficile pensare che forze così diverse come il PCD, il PDP, Sanseito e gli altri possano trovare un’intesa per formare un governo alternativo a quello guidato dal PLD e da Komeito.
In secondo luogo, si porrebbe con ancor maggiore urgenza il problema di come assicurare la governabilità del paese. Se la coalizione dovesse andare in minoranza anche alla camera alta, il governo perderebbe automaticamente il controllo sul processo legislativo. Ciò metterebbe il PLD di fronte alla scelta di mantenere o espandere l’attuale coalizione di governo, due possibilità che comportano differenti rischi. Da un lato, mantenere l’attuale allineamento comporterebbe una sostanziale paralisi dell’attività politica a meno che il governo non decida di ricorrere al sostegno esterno di un partito d’opposizione, dai cui voleri però la coalizione si ritroverebbe a dover dipendere per poter proseguire la propria esperienza governativa; oltretutto, non è affatto scontato che uno dei 2 o 3 partiti che numericamente possono ricoprire questo ruolo siano interessati a farlo. Dall’altro, includere un nuovo membro nella coalizione di governo rischia di essere un’operazione molto difficile data la lunga convivenza in tra PLD e Komeito, il cui rapporto simbiotico in questa circostanza rischia di deteriorarsi con l’aggiunta di un elemento esterno.
Infine, nel caso si arrivasse allo stallo politico, il governo potrebbe anche decidere di indire elezioni anticipate nella camera bassa con la speranza di provare a conquistare la maggioranza almeno lì. Si tratterebbe però di un’operazione molto rischiosa per il PLD e senza garanzie riguardo l’esito: benché per ora si tratti solo di un’ipotesi, la percorribilità di questa opzione sarà valutabile solo osservando gli sviluppi successivi al voto di domenica.
Per Ishiba, insomma, la strada è decisamente in salita. In affanno sul fronte interno, il primo ministro deve oltretutto destreggiarsi anche sul piano internazionale per gestire la minaccia dei dazi statunitensi, le cui ricadute interne in termini economici e occupazionali rischiano di essere rilevanti. Ma proprio su questo punto il primo ministro cerca di recuperare terreno, assumendo una posizione negoziale dura nei confronti dell’alleato Donald Trump in nome dell’interesse nazionale giapponese. Basterà però a convincere gli elettori?
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