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“A rischio l’aristocrazia imprenditoriale dell’Isola”


L’allarme dazi torna a far tremare la Sicilia. Una seconda ondata di tensione e preoccupazione è pronta a lasciare il segno per tutta l’estate. L’ultima presa di posizione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump spaventa non solo l’Isola, ma tutto il vecchio continente. L’Europa, infatti, si muove tra l’incudine del 30% e la possibilità di un’intesa tra il 10 e il 15%. L’ombra di un’aliquota al 20% continua però a stagliarsi sul tavolo negoziale. Il tycoon ha rilanciato la sua dottrina tariffaria con un’imposta generalizzata per oltre 150 Paesi “più piccoli”, lasciando aperto uno spiraglio anche per Bruxelles seppur a condizioni “molto diverse” dal passato.

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Perché così tanta paura? Un dazio del 20% sull’agroalimentare made in Italy, per esempio, potrebbe danneggiare le piccole-medie imprese siciliane che trasformano prodotti agricoli, incidendo sulla loro competitività e, potenzialmente, causando perdite nel mercato statunitense. O ancora, il polo petrolchimico di Siracusa potrebbe essere colpito, interrompendo le catene di fornitura globali e mettendo a rischio l’esportazione di prodotti chimici e materiali strategici.

L’export siciliano rischia così una brusca frenata, con gravi ripercussioni sull’economia regionale, che perderebbe uno dei suoi tasselli fondamentali, fino a questo momento tra i più solidi. Una certezza che adesso potrebbe persino sgretolarsi. Per comprendere al meglio il perché le imprese locali hanno iniziato a interrogarsi sul proprio futuro, basta leggere alcuni dati lampanti sull’impatto che i dazi potrebbero imprimere. Un caso che più di tutti impressiona è quello relativo alla produzione di vino. Un comparto conosciuto in tutto il mondo e che ha permesso alla Sicilia di potersi esporre in una vetrina non indifferente e di tutto rispetto, riconosciuta e ammirata per unicità e qualità

Nino Caleca

Il valore della produzione del vino siciliano è di circa un miliardo di euro. Il 55-60% è destinato all’esportazione, per un valore circa di 500 milioni di euro, di cui il 20% è diretto agli Usa, circa 120 milioni di euro.La questione dei dazi influisce su un comparto particolarmente importante per la Sicilia. Se non adeguatamente contrastati, questa politica potrebbe mettere in pericolo quella che io definisco l’aristocrazia imprenditoriale della Sicilia. Chi produce e lavora con il vino rappresenta l’aristocrazia imprenditoriale cui nel mondo è legata l’immagine stessa della Sicilia. Se perde il vino siciliano è la Sicilia intera che perde“. A lanciare il grido d’allarme è Nino Caleca, che oltre ad essere giudice siciliano del Consiglio di giustizia amministrativa, è componete del cda di un’impresa produttrice di vino.

Inutile piangersi addosso. Urgono soluzioni nel più breve tempo possibile. E in tal senso Caleca ha le idee molto chiare, suggerendo delle strada da percorrere, che abbiano, però, tutte un elemento in comune: la sinergia.

Davanti a questo pericolo – spiega Caleca – servirebbe la creazione in un Osservatorio permanente sull’evoluzione della situazione dei dazi e che veda insieme il decisore politico, la Regione Siciliana, e chi rappresenta il vino, in questo caso Assovini, che rappresenta la quasi totalità dei produttori. L’obiettivo sarebbe quello di individuare le migliori iniziative che possano prevede e in caso compensare le perdite a dei dazi“.

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Calcoli alla mano, le perdite sarebbe abbastanza grosse.Un dazio al 10% significa una cosa ben precisa. Negli Stati Uniti la filiera che porta dall’importazione alla vendita al dettaglio è la filiera complessa che prevede almeno tre o quattro passaggi. In ognuno di questi i prezzi aumentano. Chi acquista con un dazio al 10% avrà sicuramente un aumento dei prezzi. Se si mantiene al 10% le imprese che producono vino riescono in qualche modo, anche diminuendo i ricavi, a non aumentare il prezzo finale, ma se dovesse essere superato questo limite, senza dubbio si tratterebbe di un notevolissimo aumento del prezzo finale. Questo inciderebbe sulla quantità del prodotto venduto e ne potrebbero seguire dei veri momenti di crisi per l’imprenditoria siciliana“.

Contrastare la politica dei dazi sì, ma questo non basterebbe. Per un futuro più roseo e ricco di opportunità, una delle soluzioni, oltre allo sviluppo del mercato interno, potrebbe essere rappresentata dalla ricerca di nuovi orizzonti, mercati alternativi agli Stati Uniti, nuovi continenti, come il Giappone o il Sud America. “Ma – precisa Caleca – queste scelta vanno fatte insieme. Ogni impresa deve mantenere la sua autonomia, ma queste scelte devono trovare anche l’intervento della politica, che guida e aiuta. Servono fondi, anche finanziamenti nuovi, che consentano allo strumento principale, la Doc Sicilia, di penetrare in mondi nuovi. La Doc Sicilia è un’invenzione straordinaria, perché la Sicilia nel mondo ha un’immediata riconoscibilità e diventa uno strumento di penetrazione importantissimo“.

Europa

Mentre si attendono con paura i prossimi passi del presidente Trump, buone notizie non giungono nemmeno dall’Europa, dove non convince la proposta di Bilancio Ue presentata dalla Commissione Von der Leyen a Bruxelles. Particolarmente deluso è il comparto agricolo.Qualora non venisse modificata, rischia di penalizzare fortemente il settore dell’agricoltura, e dunque anche del vino. Prevede un abbassamento per gli interventi in agricoltura del 20% e la cosa più grava è che mette la Pac insieme ai Fondi di coesione, senza finalizzare fondi precisi per lo sviluppo dell’agricoltura, ma facendo un unico calderone in cui le somme possono essere destinate anche a settori diversi. I soldi destinati prima all’agricoltura oggi possono essere destinati alle armi. Con questo bilancio diventa possibile. Serve un’aperta presa di posizione ,anche politica, a difesa della parte migliore dell’imprenditoria siciliana“.

E’ un momento delicatissimo – conclude Caleca – in cui la sinergia tra imprenditoria e decisore pubblico deve essere spinta al massimo. ognuno con la sua autonomia, ma con una visione comune. Il vino ha dato tanto alla Sicilia a livello di immagine e di esposizione. Ora la politica deve dare qualcosa al vino. E può farlo creando strumenti nuovi per fondare una nuova sinergia. Iniziare a pensare al vino come uno dei soggetti che produce cultura“.

Schifani in aula all’Ars

La Regione interverrà? Certamente non si tratta di un tema estraneo e nei mesi scorsi l’amministrazione regionale aveva già dimostrato una certa sensibilità, prevedendo circa 5 milioni di euro, all’interno della manovrina da 55 milioni approvata inizio giugno a Sala d’Ercole, da destinare alle imprese. La misura fu poi esclusa dal testo con il rasserenarsi del clima internazionale sul tema di economico. “Ho preso atto del ritiro della norma che nasceva da un momento in cui il problema dei dazi creava problemi e preoccupazioni. Era una norma protettiva rispetto ad uno scenario che ci preoccupava. Pensavamo potesse essere d’aiuto alle nostre imprese. Ci rivedremo a luglio“. Aveva spiegato in quell’occasione, in aula, il presidente della Regione Renato Schifani. Chissà se l’allarme delle ultime ora non spinga il governatore o i deputati regionali, affinché all’interno della variazione di bilancio da 345 milioni di euro possano essere incluse anche nuove misure per contrastare i dazi statunitensi e sostenere i comparti maggiormente coinvolti, come appunto il vino.  



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