Si è svolto oggi, venerdì 18 luglio, il terzo summit dell’ANEV (Associazione Nazionale Energia del Vento) dedicato all’eolico off-shore, dal titolo “Mai partiti, ma pronti a ripartire: il tempo dell’eolico off-shore in Italia è ora”. L’Auditorium del GSE ospita l’evento patrocinato dal MASE, che si propone come momento clou per definire le condizioni necessarie a sbloccare il potenziale dell’eolico marino in Italia.
Nonostante la programmazione in un un torrido venerdì di metà luglio, la sala dell’Auditorium GSE è gremita: istituzioni, imprese, università e stakeholder si confrontano con l’obiettivo di delineare una visione comune per lanciare un comparto mai davvero partito e i cui dati non sono a portata di mano.
L’eolico off-shore è riconosciuto come una delle tecnologie più promettenti per la decarbonizzazione in Europa. E tuttavia in Italia il suo potenziale rimane inespresso. Scopo del summit è dunque quello di fare il punto per avviare una nuova fase del settore, analizzarne i limiti e le potenzialità, promuovere una “rinascita” capace di integrare soluzioni avanzate, coerenza regolatoria e integrazione territoriale.
Quali sono le ricadute sociali, economiche e occupazionali derivanti dallo sviluppo dell’eolico offshore nel nostro Paese? È quanto analizza lo studio condotto dall’Università “La Sapienza” di Roma, presentato in anteprima durante il summit, con scenari che ne evidenziano il potenziale e i limiti, non solo per i territori ma anche per l’intero sistema industriale della nazione.
L’Italia si trova in una fase di stallo per quanto riguarda la piena valorizzazione del potenziale dell’eolico dal mare. Nonostante il settore sia riconosciuto come risorsa importante ai fini della decarbonizzazione e dell’indipendenza energetica del Paese, le intenzioni di governo, politica e operatori di passare “dalle parole ai fatti” si scontrano con una realtà che di fatto resta in attesa. Per sbloccare questo percorso, sarà indispensabile semplificare l’iter burocratico e decisionale. Attualmente, le decisioni governative sono attendiste, aspettando una maggiore maturità dei progetti o l’individuazione di nuove vie per avviarli. Questo ritardo impedisce lo sviluppo di un comparto industriale che potrebbe rappresentare un volano economico e occupazionale importante.
“Potenziare le rinnovabili significa anche rafforzare la sicurezza energetica del Paese. Specie in un contesto internazionale segnato da tensioni politiche rilevantissime. L’appuntamento di oggi è importante perché contribuisce a fornire una panoramica di ricadute sociali ed economiche legate allo sviluppo generale dell’offshore in Italia. Il settore ha prospettive importanti ed esiste tutto un potenziale per creare una filiera nazionale. Noi la sosteniamo da tempo: ai fini di un’efficace decarbonizzazione, servono tutte le tecnologie disponibili, compreso l’eolico offshore. L’obiettivo è di creare le condizioni migliori per garantirne lo sviluppo. E per farlo serve un confronto continuo con gli operatori”, ha dichiarato il Ministro Pichetto Fratin nel suo intervento da remoto.
Scenari per un potenziale trasformativo
Certo è che le implicazioni per un pieno sviluppo del settore non sono poche: dalle sfide tecnologiche a quelle occupazionali, dallo sviluppo industriale alle preoccupazioni ambientali, soprattutto per quanto riguarda fauna marina, avifauna e pesca.
Cominciamo col dire che lo studio condotto dall’Università La Sapienza rappresenta una bussola significativa per evidenziare il potenziale strategico in Italia delle tecnologie FOW (Floating Offshore Wind). Rispetto al contesto attuale, l’Italia, circondata dal mare, possiede una risorsa energetica naturale molto rilevante e, per questo, l’eolico offshore può rappresentare un motore chiave per la transizione energetica. Nonostante il comparto non sia ancora sviluppato, le proiezioni future ne sottolineano l’importanza come uno dei punti cardine ai fini di sicurezza energetica, decarbonizzazione, creazione di una filiera industriale nazionale, ricadute occupazionali.
Lo studio cerca di definire le principali ricadute e le opportunità industriali per l’Italia. Analizza anche l’accettabilità di queste tecnologie da parte della società civile. L’indagine, frutto della collaborazione tra il gruppo di ricerca della Sapienza e le aziende di settore, sarà anche oggetto di una pubblicazione scientifica internazionale.
Il gruppo lavoro si è focalizzato sull’analisi di scenari con 100% rinnovabili, indicando proiezioni FOW al 2050 in Italia pari a 25-50 GW su 160 di eolico (70-140 TWh/a su circa 700 elettrici). Le analisi sono coerenti con la roadmap di Terna, che prevede 15 GW al 2040.
La fase attuale richiede un confronto costruttivo tra tutti gli attori coinvolti, non solo per la realizzazione degli impianti ma anche per lo sviluppo delle infrastrutture necessarie, la valorizzazione del territorio e del suo apparato produttivo.
Risultati chiave dello studio
“Lo studio intende accompagnare lo sviluppo industriale italiano nell’ambito dei target ufficiali al 2030. Perché il PNIEC già fa determinate previsioni. Ma soprattutto si inserisce nel quadro europeo del Green Del, che non è affatto morto. È uno studio che guarda alla valutazione degli impatti economici nazionali e sociali. È uno dei primi studi che in qualche modo mette in fila una serie di dati che provengono da varie parti: stakeholders industriali, situazioni esistenti, esperienze internazionali, soprattutto in nord Europa”, ha dichiarato Livio De Santoli, prorettore per la Sostenibilità, Università Sapienza.
Emerge che lo sviluppo dell’eolico offshore in Italia richiede investimenti consistenti ma genera un impatto occupazionale significativo e apre a importanti opportunità industriali. I risultati principali riguardano:
- Investimenti necessari: per ogni megawatt, si stimano 5-6 milioni di euro di CAPEX nel breve termine, che scenderebbero a 4,3 milioni nel medio periodo. Le spese operative (OPEX) sono fissate a 1,9 milioni di euro. Complessivamente, per obiettivi di potenza tra 2 e 3,8 GW, gli investimenti totali oscillano tra 10 e oltre 20 miliardi di euro.
- Impatto occupazionale significativo: la fase di costruzione potrebbe creare circa 14.400 posti di lavoro per gigawatt (fino a 18.600 con l’indotto), mantenibili nel tempo grazie a un innovativo approccio “a lotti” che sfrutta meglio le peculiarità dei porti italiani. La fase di gestione garantirebbe circa 1.000 posti di lavoro stabili per la vita utile dei progetti.
- Vantaggi dell’approccio “a lotti”: questo modello costruttivo, diverso da quelli tradizionali, si adatta meglio alla conformazione dei porti italiani (meno spaziosi) e massimizza l’utilizzo del potenziale occupazionale nel tempo.
- Opportunità industriale: l’Italia ha il potenziale per sviluppare una filiera industriale nazionale, in particolare nel floating e nella componentistica elettrica, settori in cui vanta già eccellenze.
- Accelerazione della transizione: Raggiungere l’obiettivo di 3,8 GW di capacità eolica offshore entro il 2030 è cruciale per accelerare il processo di decarbonizzazione, richiedendo azioni immediate dal 2025 in poi.
- Formazione e accettazione sociale: lo studio sottolinea l’importanza di avviare immediatamente programmi di formazione specifici per preparare le competenze necessarie. La percezione degli impatti risulta articolata, con l’86% degli intervistati favorevole allo sviluppo dell’eolico offshore, una percentuale minoritaria contraria, e con preoccupazioni ambientali rispetto alla fauna marina, avifauna e pesca.
Il miglior eolico offshore possibile per l’Italia
Emerge che il percorso di sviluppo deve essere semplificato, ma che le decisioni istituzionali rimangono al momento in sospeso, in attesa di una maggiore “maturità” dei progetti. Un’attesa critica, poiché dietro ogni progetto c’è l’opportunità di avviare un comparto industriale significativo.
E’ Massimiliano Atelli, presidente Commissione PNRR-PNIEC, a sollevare la questione. Un punto cruciale è la consapevolezza della sicurezza: realizzare un eolico offshore “qualunque” non basta. L’Italia deve puntare al miglior eolico offshore possibile e, una volta costruito, deve essere in grado di difenderlo. L’esperienza dei recenti eventi globali dimostra come un piccolo incidente possa avere ripercussioni enormi. Bisogna pensare strategicamente alla protezione di infrastrutture che richiedono anni e miliardi di euro di investimento, valutando sistemi di difesa avanzati che vanno oltre la semplice rilevazione. Questo significa integrare la strategia energetica della difesa e considerare la vulnerabilità intrinseca di tali impianti.
Emergono inoltre sfide legate alla sostenibilità finanziaria degli investimenti, dato che le operazioni sono gigantesche e richiedono ingenti capitali. Questo potrebbe portare a iter amministrativi non simultanei per parchi eolici complessi, richiedendo una maggiore elasticità procedurale a livello europeo.
Infine, si solleva un dibattito sul modello autorizzativo italiano, non adeguato a un settore che non gode di “infinite risorse” di suolo o di spazio marino. Privo di un fattore selettivo intrinseco, questo schema può portare a una potenziale congestione, col rischio di “crisi di rigetto” da parte dei territori. È necessario riflettere su formati amministrativi alternativi che diano al paese più leve per gestire le crisi e i rapporti a lungo termine con gli operatori, specialmente se l’eolico offshore arriverà a coprire una quota significativa del fabbisogno energetico nazionale. Non adottare un approccio più flessibile e di controllo potrebbe esporre il paese a vulnerabilità future.
“Noi non abbiamo bisogno di sviluppare un eolico offshore quale che sia. Non ci serve un eolico offshore qualunque. Non è questo cui ha bisogno un Paese con caratteristiche morfologiche del tutto peculiari, se non straordinarie, come il nostro. Noi abbiamo bisogno di fare il miglior eolico offshore possibile e, una volta fatto, abbiamo bisogno di difenderlo. Dove difenderlo significa tante cose, compresa l’aggregazione delle forze tra chi ha maturato esperienze in aree diverse, o in contesti europei. Dovremo avere la consapevolezza sin dal principio di sviluppare un disegno strategico sulle politiche offshore. E questo disegno ci serve elaborarlo da principio alla fine. Non lo possiamo fare a rate”, commenta Atelli.
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