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Digital Networks Act: la posizione del BEREC


Il Digital Networks Act Europeo potrebbe portare con sé rischi di eccessiva concentrazione, indebolimento della concorrenza, portando a interventi nomativi centralizzati. Sono questi i principali elementi che hanno portato il Berec, Body of European Regulators for Electronic Communications, a bocciare il Digital Networks Act con il contributo ufficiale pubblicato l’11 luglio nell’ambito della consultazione della Commissione Europea sulla nuova normativa.

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L’obiettivo dichiarato dalla Commissione con il Dna è costruire un vero mercato unico delle reti digitali, rimuovendo le frammentazioni nazionali, promuovendo l’innovazione e incentivando gli investimenti. Tuttavia, il Berec muove critiche a buona parte dell’impianto concettuale alla base della proposta, ponendo l’accento su fatti, dati e conseguenze sistemiche.

Il fair share non ha basi economiche

Una delle misure più discusse del DNA è l’introduzione del cosiddetto fair share, cioè l’obbligo per le grandi piattaforme OTT (come Netflix, Google, Meta) di contribuire ai costi delle infrastrutture di rete. Secondo il BEREC, questa misura non è supportata da alcuna evidenza empirica solida.

“Non solo non ci sono prove che la riduzione del numero di operatori favorisca investimenti e innovazione – si legge nel documento – ma l’esperienza dimostra che è proprio la concorrenza a spingere gli operatori a investire e innovare”.

Al contrario, misure come il fair share o il consolidamento del mercato rischiano di alterare gli equilibri competitivi, riducendo la varietà di offerte, peggiorando la qualità del servizio e facendo aumentare i prezzi per cittadini e imprese.

Il BEREC sottolinea inoltre che gli operatori europei non competono con quelli statunitensi o cinesi, poiché agiscono su mercati geografici separati. Il numero di operatori per paese, quindi, non è una misura di inefficienza, ma una caratteristica intrinseca del mercato europeo.

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5G e fibra: l’Europa cresce con la pluralità, non con il consolidamento

L’analisi evidenzia che la copertura 5G nell’UE ha superato il 94%, con un tasso di crescita delle connessioni superiore a quello OCSE. Anche per la fibra ottica, il 69,2% delle famiglie europee è già coperto, con numerosi Paesi al di sopra della media OCSE.

“I mercati europei delle comunicazioni elettroniche hanno dimostrato una crescita costante – si legge nel documento – L’approccio ex-ante alla regolazione è stato cruciale per aprire mercati monopolistici alla concorrenza”.

In questo contesto, l’Italia viene implicitamente valorizzata: la presenza di più operatori, anche a livello locale, ha favorito investimenti diffusi e una maggiore resilienza delle reti, soprattutto nelle aree periferiche.

Il no al centralismo normativo

Il DNA propone una maggiore armonizzazione e centralizzazione delle decisioni, anche in materia di autorizzazioni allo spettro radio e gestione delle licenze. Il BEREC, pur riconoscendo l’importanza di una visione comune, si oppone a qualsiasi indebolimento del principio di sussidiarietà.

“Ogni proposta di governance sovranazionale deve rispettare la diversità delle condizioni di mercato nei diversi Stati membri”.

L’organismo di regolazione teme che un accentramento eccessivo possa aumentare la burocrazia, ridurre la reattività dei regolatori nazionali e indebolire la loro capacità di agire in modo tempestivo rispetto alle specificità locali.

Switch-off del rame: gradualità e incentivi, non imposizioni

Un altro punto critico è la transizione dalla rete in rame alla fibra ottica. La Commissione, nel suo White Paper, aveva ipotizzato una data unica per lo switch-off a livello europeo. Il BEREC respinge nettamente l’idea:

“Target uniformi in tutta l’Unione sembrano eccessivamente ambiziosi. La disattivazione del rame deve essere basata su indicatori non vincolanti e legata a incentivi mirati.”

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Vincolare tutti i Paesi a una scadenza unica rischierebbe di creare disagi nei territori più svantaggiati o meno preparati tecnicamente, dove la fibra fatica ancora a raggiungere la capillarità richiesta. L’approccio proposto dal BEREC è invece pragmatico e flessibile, capace di accompagnare l’evoluzione tecnologica senza crearne vittime collaterali.

Accesso regolato e simmetrico: attenzione alla deregolamentazione

Il BEREC difende la regolazione ex-ante, sia simmetrica che asimmetrica, come strumento fondamentale per prevenire abusi e garantire investimenti efficienti. L’idea di rimuovere la Raccomandazione europea sui mercati rilevanti, lasciando ai singoli regolatori l’onere della prova per ogni intervento, viene considerata una minaccia alla certezza del diritto e alla continuità delle politiche industriali.

Governance: sì al rafforzamento del ruolo del BEREC, ma nel rispetto dell’equilibrio istituzionale

Il BEREC si dichiara pronto ad assumere maggiori responsabilità nella governance europea del settore, ma a condizione che venga preservata la propria indipendenza e che ogni nuova funzione sia introdotta in modo proporzionato e in linea con i principi di buona amministrazione.

Inoltre, reputa fondamentale rafforzare la cooperazione tra le autorità nazionali e garantire un allineamento delle competenze tra i regolatori. Il modello di coordinamento multilivello viene preferito a un’impostazione top-down.

Concorrenza, indipendenza e flessibilità al centro del modello europeo

L’intervento del BEREC sul DNA segna una presa di posizione netta a favore di un modello europeo fondato sulla concorrenza, sulla pluralità degli attori e sulla capacità di adattare le regole alle esigenze locali. Un posizione simile a quella ufficializzata nei giorni scorsi anche da Aiip, l’associazione italiana degli Internet provider.

Il documento non si limita a una critica, ma propone un approccio alternativo: governare la trasformazione digitale con strumenti intelligenti, costruiti su evidenze empiriche, nel rispetto della diversità dei contesti nazionali. Un’Unione digitale forte, secondo il BEREC, si costruisce con regole efficaci, non con scorciatoie centralizzatrici o meccanismi di redistribuzione forzata.



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