Istat, pubblicati i dati 2008–2024 sul gettito delle tasse ambientali: scopriamo nel dettaglio i numeri e i guadagni dello Stato.
Il 16 luglio 2025 l’Istat ha reso disponibili nella banca dati IstatData – nell’ambito del tema “Conti nazionali”, sottotema “Conti ambientali\Gettito delle imposte ambientali” – le nuove serie relative al gettito delle imposte ambientali in Italia.
I dati, aggiornati al periodo 2008–2024, sono articolati per categoria di imposta – energia, inquinamento, trasporti e risorse – e per tipo di soggetto che versa il tributo: attività economiche (secondo la classificazione Ateco), famiglie residenti e unità non residenti.
Che cosa si intende per imposte ambientali?
Nel comunicato ufficiale, l’Istat precisa che le imposte ambientali rientrano nella più ampia categoria dei tributi, ma si distinguono per una caratteristica fondamentale: sono prelievi obbligatori che non garantiscono un ritorno diretto in termini di servizi o benefici individuali per chi li versa.
In altre parole, il contribuente non riceve un vantaggio proporzionato alla somma pagata, come invece avviene in altri casi (ad esempio con i contributi previdenziali). La natura dell’imposta ambientale risiede dunque nella sua funzione redistributiva e, in alcuni casi, disincentivante.
Secondo la definizione adottata dall’Istat – e coerente con le linee guida internazionali per la compilazione delle statistiche fiscali ambientali – un’imposta può essere classificata come ambientale se la sua base imponibile è costituita da una grandezza fisica (oppure da un indicatore che ne fa le veci) legata a un effetto negativo, dimostrato e specifico, sull’ambiente. Si tratta, ad esempio, di elementi come le emissioni inquinanti, il consumo di carburanti fossili, l’uso di risorse naturali esauribili o la produzione di rumore.
Questo approccio, evidenzia l’Istat, si concentra esclusivamente sulla struttura dell’imposta, ovvero sul tipo di fenomeno che essa intende tassare, indipendentemente dalle finalità dichiarate dal legislatore. È proprio questa impostazione che consente di includere nella categoria anche quei tributi che non sono stati istituiti esplicitamente per finanziare interventi ambientali, ma che colpiscono attività o comportamenti nocivi per l’ecosistema.
Tipologie di imposte
In questo quadro, vengono distinti due tipi di imposte: quelle “generiche”, che rientrano nella classificazione ambientale per via della loro base imponibile, e le “imposte di scopo”, in cui la legge definisce anche un utilizzo vincolato del gettito per finalità ecologiche. Tra queste ultime rientrano misure come il finanziamento della raccolta differenziata, la bonifica dei siti contaminati, il miglioramento dell’efficienza energetica o il sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili.
I numeri dell’ISTAT
L’Istat sottolinea inoltre che le nuove serie statistiche sul gettito ambientale sono pienamente coerenti con i dati già resi noti nell’aprile 2025, relativi a imposte e contributi sociali delle pubbliche amministrazioni. Tali informazioni, raccolte anch’esse nella banca dati IstatData all’interno del tema “Conti nazionali”, sottotema “Conti e aggregati economici delle Pubbliche Amministrazioni\Conto annuale\Imposte e contributi sociali per sottosettore”, rappresentano la fonte principale per la stima ufficiale dei flussi fiscali.
Famiglie
Analizzando i dati aggiornati al periodo 2020–2024, emerge come il gettito delle imposte ambientali legate alle categorie “inquinamento e risorse” abbia registrato un costante aumento, passando da 568 milioni di euro nel 2020 a 792 milioni nel 2024. A sostenere la crescita sono stati soprattutto i nuclei familiari, che da soli hanno versato 474 milioni di euro nel 2024, contro i 333 milioni di quattro anni prima. Un incremento del 42%, che evidenzia come gran parte del carico fiscale in questa categoria ricada sulle famiglie residenti.
Attività economiche
Anche le attività economiche hanno contribuito in modo rilevante, con un gettito salito da 230 milioni nel 2020 a 305 milioni nel 2024, mentre le unità non residenti rappresentano ancora una quota marginale, sebbene in lieve crescita (da 5 a 13 milioni di euro nello stesso periodo).
La suddivisione del gettito per settore economico (secondo la classificazione Ateco 2007) mostra un quadro più articolato. Nel comparto dei servizi – che include commercio, trasporti, ospitalità e ristorazione – le imposte ambientali hanno generato i valori più elevati, con un picco nel 2016 di oltre 16 miliardi di euro. Tuttavia, il settore ha registrato un netto calo a partire dal 2020, fino ad arrivare a 12,1 miliardi nel 2023 e addirittura zero nel 2024, un dato che potrebbe indicare una revisione contabile, una riclassificazione o un aggiornamento ancora in corso.
Nel dettaglio, la voce “commercio, trasporto, alloggio e ristorazione” ha contribuito per 8 miliardi di euro nel 2023, in recupero rispetto al crollo del 2022 (6,4 miliardi), ma ancora distante dai livelli pre-pandemici, che sfioravano i 9,7 miliardi nel 2019. Le costruzioni hanno invece mostrato una tenuta migliore, con un rimbalzo nel 2023 a 1,96 miliardi di euro, dopo il calo del 2022 (1,46 miliardi).
La raccolta e il trattamento delle acque e dei rifiuti, inclusa la gestione delle reti fognarie, hanno generato un gettito compreso tra i 400 e i 490 milioni di euro tra il 2015 e il 2022. Tuttavia, anche qui si registra una forte contrazione nel 2022 (rispettivamente 218 e 340 milioni per i due sotto-settori), con dati per il 2024 ancora non disponibili.
Destinazione imposte ambientali
Un aspetto centrale dell’analisi riguarda la destinazione delle imposte ambientali. Sebbene il gettito complessivo abbia superato i 60,7 miliardi di euro nel 2024, solo una parte minoritaria – circa 9,4 miliardi – risulta effettivamente destinata a finalità ambientali, come la bonifica dei suoli, la gestione dei rifiuti o il sostegno alle energie rinnovabili. Il resto, pari a oltre 51 miliardi, risulta confluito nel bilancio generale dello Stato, senza vincolo d’uso ecologico.
Questo squilibrio risulta particolarmente evidente nel 2022, quando appena 1,6 miliardi di euro (su un totale di 45,5 miliardi) sono stati indirizzati a interventi ambientali, pari a poco più del 3% del totale. Anche nel 2023, il gettito “verde” effettivamente utilizzato per l’ambiente si è fermato a 5,7 miliardi, a fronte di quasi 49 miliardi non vincolati.
Solo una quota limitata mitiga veramente gli effetti ambientali
In sintesi, i numeri confermano che le imposte ambientali rappresentano una voce rilevante per le casse pubbliche, ma mostrano anche che solo una quota limitata delle entrate viene reimpiegata per mitigare gli effetti ambientali dei comportamenti tassati. Una dinamica che riapre il dibattito sull’opportunità di rafforzare il carattere “di scopo” di almeno una parte di questi tributi, rendendoli più coerenti con gli obiettivi della transizione ecologica.
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