Ieri la Commissione Europea ha presentato il prossimo Quadro Finanziario Pluriennale (QFP), ovvero il bilancio dell’Unione Europea, che coprirà le spese dal 2028 al 2034. Si tratta di un periodo centrale per le ambizioni imperialistiche di Bruxelles, e perciò il QFP che è stato annunciato oggi rappresenta, in numeri, la sfida che la UE si vuole porre nella competizione globale.
Lo ha reso chiaro la stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che ha affermato che il bilancio è stato concepito per una “nuova era” e “corrisponde all’ambizione dell’Europa, affronta le sfide europee e rafforza la nostra indipendenza“. Le sue novità non riguardano solo l’ammontare della spesa, ma anche la distribuzione tra le voci, le voci stesse, e anche le forme di organizzazione dei fondi.
Sono 2 mila i miliardi previsti per il QFP 2028-2034. Ciò che cambia in questo nuovo piano è innanzitutto il fatto che, a differenza di quel che succedeva con i suoi precedenti, gli stanziamenti non sono legati a programmi specifici, garantendo all’impiego delle sue risorse una maggiore flessibilità, in linea con i tempi turbolenti che stiamo vivendo.
Questa è la lezione imparata con pandemia e guerra in Ucraina. Il QFP che andava dal 2021 al 2027 era stato dotato inizialmente di poco più di mille miliardi. Ad essi vennero però poi aggiunti i circa 750 miliardi del NextGen EU, una misura straordinaria che rispondeva a una logica emergenziale che ora, dice von der Leyen, è diventata la norma.
Per questo la Commissione ha proposto l’istituzione di un meccanismo di crisi stabile, dotato di una capacità di 400 miliardi, attraverso cui erogare prestiti ai paesi membri in difficoltà. Si tratta sempre della stessa logica di strozzinaggio economico che ha segnato i vincoli di bilancio e altre misure europee, dato che, ovviamente, questi prestiti si ripercuoterebbero in ogni caso sui debiti pubblici.
La novità forse principale, almeno per quanto riguarda l’organizzazione delle voci di spesa, è quella riguardante la fusione tra i fondi per agricoltura, pesca, coesione e politica sociale. Soprattutto quando si parla di Politica Agricola Comune (PAC) e i fondi di coesione, si parla del fulcro degli interventi economici della UE.
Le risorse che sono destinate a questo nuovo pilastro del bilancio, per un totale di 865 miliardi, dovrebbero essere distribuite attraverso “piani di partenariato“ che ogni membro “sviluppa secondo le priorità europee, integrando i fondi diversi in modo più efficiente“. È un modo attraverso cui la Commissione vuole evitare sprechi e creare sinergie.
Un altro grande blocco di spesa prevede 410 miliardi di euro per il Fondo Europeo per la Competitività, costruito seguendo le indicazioni dei rapporti Letta e Draghi. Lo scopo è quello di accelerare e catalizzare gli investimenti privati verso le tecnologie strategiche, quali quelle per la transizione ecologica e digitale, le biotecnologie, la difesa e lo spazio.
Dobbiamo dunque aspettarci una ancora più profonda subordinazione delle attività accademiche con questi obiettivi strategici. Infatti, in stretta relazione con il Fondo per la Competitività, verrà potenziato anche il quadro di spesa riguardante la ricerca, e in particolare il suo programma centrale, l’Horizon Europe, che arriverà a valere 175 miliardi di euro.
Ben 131 miliardi del Fondo di Competitività dovrebbero essere destinati alla Difesa Europea, alla sicurezza e allo spazio. Si tratta di un ammontare che è cinque volte superiore a quello dell’ultimo QFP. Viene duplicato anche lo stanziamento per la mobilità militare, mentre viene scritto nero su bianco che verranno supportati investimenti infrastrutturali dual use.
Accanto a queste risorse viene previsto anche il Catalyst Europe, un programma da 150 miliardi di euro di prestiti, garantiti dal bilancio dell’UE, di cui potranno usufruire a condizioni di favore i paesi membri che ne faranno richiesta per implementare ulteriori investimenti in settori cruciali come energia, difesa e tecnologie all’avanguardia.
È poi interessante l’istituzione del Global Europe Instrument, per riunire in un solo fondo da 200 miliardi gli strumenti di politica estera della UE. Ha detto von der Leyen che si tratta di “un aumento del 75% per sostenere le nostre responsabilità globali. Riuniamo Global Gateway, aiuti umanitari, partnership strategiche, e, punto cruciale, il supporto all’allargamento” a nuovi paesi.
C’è poi una voce di bilancio dedicata esclusivamente all’Ucraina, che dopo i 50 miliardi per la ricostruzione dello Ukraine Facility, ora dovrebbe prevede ulteriori 100 miliardi per sostenerne la ripresa e le riforme per l’adesione alla UE. Il supporto militare continuerà per mezzo dello European Peace Facility, mentre anche per ciò che riguarda i fondi per la gestione dei migranti essi vengono triplicati.
Vi è infine il prestito comune contratto col NextGen Eu, 421 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto che devono essere rimborsati. Poiché la volontà è quella di non aumentare i contributi nazionali, la Commissione sta valutando nuove forme di entrata, tra cui altre imposte sui tabacchi e tasse su emissioni, rifiuti tech e imprese con un fatturato di almeno 100 milioni l’anno. Il totale è previsto in 44 miliardi l’anno.
Già dalla richiesta di questi ulteriori soldi è facile capire che non sarà facile far digerire un tale piano ai vari paesi membri, che ricordiamo devono tutti accettare il QFP. Va sottolineato che la conferenza stampa di presentazione del bilancio è stata rimandata 4 volte, e da fonti del Fatto Quotidiano si è saputo che ciò è derivato da varie tensioni sulla definizione del piano di spesa.
A creare dissapori è stata la decisione di unificare i fondi di coesione e quelli delle politiche agricole, che da sempre rappresentano uno strumento fondamentale della distribuzione politica delle risorse garantite da Bruxelles. Le critiche sarebbero arrivate dalle opposizioni, ma anche dalla maggioranza, dal PPE di von der Leyen e dall’interno della stessa Commissione.
Bisogna ricordare che la presidente della Commissione ha appena superato una mozione di sfiducia, e che quindi la sua posizione è tutto fuorché solida. A ciò si aggiunge un QFP che non ha affatto soddisfatto le prospettive dell’Europarlamento. A partire dai fondi stanziati: i 2 mila miliardi di euro su base nominale devono fare i conti con la pesante inflazione che ha colpito l’Europa dallo scorso bilancio.
I relatori dell’Aula di Strasburgo, Siegfried Mureșan (PPE) e Carla Tavares (S&D), hanno giudicato “semplicemente insufficiente” il QFP. “Per quanto la si voglia confezionare diversamente – hanno detto – si tratta in realtà di un congelamento degli investimenti e della spesa in termini reali, con in più i rimborsi per NextGenerationEU“.
Sono stati sollevati poi dubbi sulla mancanza di controllo democratico dei programmi di spesa e sulla marginalizzazione del Parlamento Europeo. Anche in questo va ricordato che la Commissione e il Parlamento si sono recentemente scontrati anche sull’approvazione, senza passaggio in Aula, dello strumento SAFE del piano Readiness 2030. Un ulteriore tassello sulle difficoltà del secondo mandato von der Leyen.
Ad ogni modo, il bilancio fino al 2034 esprime la profonda tendenza della UE alla guerra, al riarmo, all’implementazione di ulteriori misure securitarie e contro i migranti, al sacrificio della spesa sociale in funzione della competitività e degli obiettivi strategici di chi vuole assumere un ruolo da protagonista nella competizione globale. Che vuole essere, appunto, una “Europa globale“.
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