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Oltre la digital transformation. La Terra di Mezzo dell’innovazione


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Industria 5.0, integrazione strategica dell’AI e nuovi modelli di business. La digital transformation non è un punto di arrivo, ma un percorso in continua evoluzione. Con la partecipazione di Amadori, Aria Spa, Autostrade per l’Italia, Cogne Acciai Speciali, Coolidea, Illva Saronno Holding, Leroy Merlin e Saipem

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione digitale che ha trasformato profondamente il nostro modo di vivere, lavorare e interagire. Le aziende hanno abbracciato le nuove tecnologie per migliorare l’efficienza, ottimizzare i processi e offrire esperienze sempre più personalizzate ai clienti. Le imprese sono chiamate ad andare oltre la semplice adozione di strumenti digitali e a interrogarsi su come la tecnologia possa essere un motore di cambiamento ancora più profondo. Come nel mondo di Tolkien, la “Terra di Mezzo” dell’innovazione è una metafora che richiama l’idea di uno spazio di transizione: un luogo intermedio in cui vecchie e nuove logiche si intrecciano, definendo nuovi equilibri. Superata la fase dell’adozione tecnologica, le aziende più avanzate si interrogano su come ridefinire modelli di business, cultura organizzativa e catene del valore.

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Questo è il punto di partenza del confronto promosso da Data Manager, che riunisce manager e leader della trasformazione digitale provenienti da alcune tra le realtà più rappresentative del panorama industriale italiano – diverse per storia, dimensione e settore di appartenenza: Amadori, Aria Spa, Autostrade per l’Italia, Cogne Acciai Speciali, Illva Saronno Holding, Leroy Merlin, Saipem e Coolidea, system integrator del Gruppo Altea Federation. In Italia, la trasformazione digitale corre veloce: il mercato, secondo le stime, è destinato a raggiungere i 75,36 miliardi di dollari entro il 2025, spinto da un tasso di crescita annuo composto (CAGR) del 17,12% fino al 2030 (Fonte: Mordor Intelligence). Un’accelerazione che conferma come l’innovazione tecnologica non sia più un’opzione, ma un driver strategico per la competitività del sistema produttivo. Nel 2024, gli investimenti in tecnologie digitali in Italia hanno superato i 25 miliardi di euro, un aumento del 7% rispetto all’anno precedente. L’automazione industriale, il 5G e la digitalizzazione dei processi stanno ridefinendo interi settori, e ciò spinge le aziende a integrare soluzioni innovative per rimanere competitive. Per quest’anno la crescita stimata è di circa l’1,5% rispetto al 2024, confermando un trend di crescita registrato nel corso degli ultimi 9 anni, sebbene appaia più una crescita fisiologica che di espansione. Secondo i dati degli Osservatori del Politecnico di Milano, tra le priorità di investimento in Innovazione Digitale per il 2025 le grandi imprese confermano la Cybersecurity (55%) seguita da business intelligence (44%) e di Big data management (41%). A queste aree si affianca la costante crescita dell’interesse a investire in applicazioni di artificial intelligence, cognitive computing e machine learning (43%), con una particolare accelerazione di interesse per le soluzioni di Generative AI (39%).

Guardando invece ai dati rilevati del programma politico comunitario Digital Decade 2030, che ha inglobato il codice DESI, ritroviamo una limitata integrazione di nuove tecnologie e difficile scale-up delle imprese. L’Italia è debole per quanto riguarda l’analisi dati, utilizzata soltanto dal 26,6% delle aziende, a fronte di una media europea del 33,2% (diciassettesima posizione nel confronto con gli altri Stati membri).

Bassa digitalizzazione della popolazione e pochi specialisti ICT. Una delle principali lacune del Paese rimangono le competenze digitali: solo il 45,8% delle persone in Italia possiede almeno un livello base, con criticità che riguardano tutte le fasce d’età e scarsa dinamicità negli anni. Un’incidenza che colloca il Paese sotto la media Ue (55,6%) e ventitreesima tra gli Stati membri (per confronto, 52,2% in Germania, 59,7% in Francia, 66,2% in Spagna). A sostenere quanto rilevato, il World Economic Forum stima che in Italia, entro il 2025, saranno necessari 2,7 milioni di nuovi professionisti del digitale, in particolare secondo l’ANPAL, le figure più richieste nel settore digitale sono data scientist, sviluppatori software e digital marketing specialist. Dati che manifestano chiaramente ancora alcuni gap da colmare prima di poter confermare la raggiunta maturità digitale da parte del nostro Paese. Elementi che coinvolgono l’organizzazione e le infrastrutture di un’azienda che però non bastano per guidare un percorso di trasformazione digitale perché a completamento si devono aggiungere i cosiddetti fattori “soft” come una leadership forte e una cultura d’azienda diffusa.

Ciò che conta è comprendere che la trasformazione digitale non rappresenta una semplice fase evolutiva dell’azienda, ma è il percorso stesso su cui si costruisce il suo futuro. Pertanto, una leadership capace di coniugare visione strategica e modello operativo sarà quella che meglio riuscirà a far crescere l’azienda seppur in un panorama sempre più complesso ed incerto. Tuttavia, secondo la terza edizione del Digital Transformation Index 2024 di Alkemy, dedicato alle aziende italiane quotate in Borsa, il 12% del campione analizzato si trova ancora in una fase di «Poor digital», mentre il 60% non ha ancora sviluppato una visione strategica di lungo periodo capace di guidare una reale evoluzione del modello operativo, e solo il 28% ha avviato un percorso di digitalizzazione e trasformazione del proprio modello di business, facendo leva su innovazione, dati e tecnologie.

La sfida di questo percorso è raggiungere la “digital maturity” che non solo rappresenta l’adozione delle tecnologie più avanzate, ma il raggiungimento di un equilibrio sofisticato tra persone, processi e strumenti tecnologici, volto a generare valore continuo e sostenibile. La maturità digitale richiede la capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti, sfruttare i dati per decisioni strategiche, anticipare le tendenze del mercato e rispondere in modo proattivo alle esigenze dei clienti. Un’organizzazione digitalmente matura sa integrare l’innovazione nella propria DNA aziendale, investendo non solo in tecnologia, ma anche in competenze e leadership. I leader devono guidare con una visione chiara, promuovere la collaborazione e incoraggiare una cultura orientata alla sperimentazione e al miglioramento continuo. Il percorso non è lineare perché richiede spesso di superare ostacoli importanti, come la frammentazione dei dati, la resistenza al cambiamento e la gestione della cybersecurity. È un percorso impegnativo, ma necessario per mantenere un vantaggio competitivo in un mercato globale in rapida evoluzione, connotato da discontinuità e imprevisti. Per accelerare il percorso verso la maturità digitale, le aziende italiane devono adottare un approccio strategico articolato: investire nello sviluppo delle competenze digitali, abbracciare la cultura del dato, integrare tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale, promuovere l’innovazione attraverso la sperimentazione e la collaborazione con partner strategici, università, centri di ricerca e altre imprese, condividendo conoscenze e risorse.

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La digital transformation non è tanto l’infrastruttura, ma è il modo di fare le cose. Nel modo di fare le cose c’è prima di tutto la capacità di guardare oltre: avere una visione strategica sul futuro, una chiara centralità del cliente, e saper tradurre il proprio modello di business in un modello operativo concreto. McKinsey sottolinea come la maturità digitale rappresenti un equilibrio sofisticato tra strategia e tecnologia, e tra competenze, processi e macchine. Deloitte evidenzia la necessità di operare all’interno di ecosistemi integrati e la capacità di convertire un modello di business in un modello operativo realmente trasformato. In questo quadro generale, si colloca la riflessione chiave che guida la tavola rotonda di Data Manager: la Trasformazione Digitale è un processo continuo, iterativo, non una meta, ma un percorso che evolve ciclicamente. Di fronte a questa dinamica, è fondamentale interrogarsi su quale sia il livello di maturità raggiunto e quali siano i nuovi paradigmi e leve da considerare in uno scenario sempre più discontinuo dominato da una forte accelerazione delle tecnologie digitali.

BERSAGLIO MOBILE

Il dibattito si apre con una visione dell’innovazione non come atto tecnico, ma come atteggiamento strategico e culturale. Mattia Pontacolone, CEO di Coolidea – Gruppo Altea Federation, sottolinea quanto la digital transformation sia un bersaglio mobile, non sempre chiaro, che richiede flessibilità e capacità di navigare l’incertezza. In questa fase storica, caratterizzata da una crescita esponenziale dell’attività innovativa, in particolare nel campo dell’intelligenza artificiale, la velocità del cambiamento è straordinaria. Tuttavia, secondo Mattia Pontacolone resta aperta la questione se tale velocità sia realmente sostenibile o se rischi di essere troppo elevata. Con la velocità entra in gioco un altro tema centrale, la diversa propensione al rischio. L’Italia è ancora reticente al rischio, come mostrano i dati sulle imprese quotate e – ancor più – sulle PMI, che rappresentano l’ossatura del tessuto economico nazionale.

Spesso, queste aziende risultano meno digitali, meno innovative e meno propense a correre rischi, un atteggiamento che inevitabilmente rallenta l’adozione di nuove tecnologie. Eppure, Pontacolone evidenzia che il momento è favorevole: «Le tecnologie disponibili sono supportate da investimenti imponenti, sia da parte dei grandi vendor, sia da comunità open source, dove l’investimento richiesto si misura spesso in tempo e risorse umane, più che in capitali milionari. È finito il tempo della sperimentazione. È il momento di fare». L’invito è di abbandonare l’atteggiamento attendista, il continuo ricorso a progetti pilota per passare all’azione, credendo nella propria visione e strategia. Occorre quindi interrogarsi sul grado di rischio che le imprese sono disposti a sostenere per favorire l’innovazione. Il trade-off tra rischio e valore aggiunto pende chiaramente a favore dell’innovazione, per esempio, i benefici derivanti dall’adozione dell’intelligenza artificiale generativa superano i potenziali rischi, e questo vale trasversalmente per molti settori.

Parlare di maturità digitale significa anche essere consapevoli della reale difficoltà nell’accesso al talento qualificato, soprattutto in Italia. È un limite strutturale già noto, ma che di fatto risulta non essere ancora pienamente indirizzato. Infatti, come rilevato nel Digital Decade 2030 – solo il 45,8% delle persone in Italia possiede almeno un livello base, con criticità che riguardano tutte le fasce d’età e scarsa dinamicità negli anni. Un’incidenza che colloca il Paese sotto la media UE (55,6%) e ventitreesima tra gli Stati membri (per confronto, 52,2% in Germania, 59,7% in Francia, 66,2% in Spagna).

Mattia Pontacolone CEO di Coolidea – Gruppo Altea Federation

L’INNOVAZIONE NEL TOOLKIT

È tempo di andare oltre il mito romantico e “garage-based” delle origini della Silicon Valley. Come sottolinea Alessio Setaro, Digital Solutions leader di Leroy Merlin, l’intuizione geniale da sola non basta: «Non possiamo più immaginare l’innovazione come ai tempi in cui Apple o Microsoft nascevano in un garage. Oggi l’innovazione è nel toolkit: è la capacità di sfruttare al massimo le risorse a disposizione, rendendo i processi più efficaci, performanti e antifragili». In quest’ottica, l’innovazione è soprattutto di processo: è l’integrazione delle competenze, delle tecnologie digitali e delle capacità organizzative nei flussi operativi quotidiani. Il focus si sposta sulla resilienza trasformativa, cioè la capacità delle aziende non solo di reggere l’urto, ma di imparare da esso e uscirne rafforzate. Oggi, la tecnologia è una commodity per oltre il 90% delle aziende a livello globale. Non si tratta più di una scelta, ma di una condizione necessaria per sostenere e potenziare il proprio modello di business. Quando si parla di digital transformation, si parla innanzitutto di una trasformazione del business, abilitata dal digitale, necessaria per rispondere ai profondi cambiamenti in atto. Guardando i dati e le statistiche, emerge chiaramente un ritardo diffuso: la digital transformation, infatti, è ormai da considerarsi un prerequisito per la sopravvivenza stessa nell’era digitale. Un’era che ha già più di 25 anni e che molte aziende stanno ancora cercando di comprendere e affrontare pienamente. In questo contesto, il rapporto tra azienda e cliente si è ribaltato, non è più l’azienda a guidare il cliente, ma è il cliente a guidare l’azienda. Il vero nodo, dunque, è comprendere come trasformare modelli di business nati decenni fa, spesso radicati in una cultura aziendale storica, per renderli ancora competitivi. Si tratta di un processo che richiede ingenti investimenti nell’evoluzione delle strategie, nel cambiamento del mindset interno, nell’adeguamento delle infrastrutture.

È fondamentale saper stabilire delle priorità, pianificare nel tempo e bilanciare con attenzione il cambiamento. In questo quadro, Leroy Merlin ha avviato il proprio percorso di digital transformation oltre cinque anni fa. L’azienda ha dovuto affrontare un profondo cambiamento nella gestione delle persone e nella cultura organizzativa. Il lockdown ha prodotto effetti inattesi: da un lato ha accelerato l’e-commerce, dall’altro ha indebolito il senso di appartenenza, generando un turnover elevato. La ricostruzione delle squadre ha richiesto anni, ma ha anche offerto un’opportunità di rinnovamento. «Durante il Covid abbiamo compreso l’importanza di dedicare maggiore attenzione al benessere dei collaboratori. Le squadre non vanno solo coordinate, ma realmente motivate e supportate. Il ruolo del manager si evolve, spostandosi sempre più dalla gestione operativa alla leadership empatica». Oggi l’azienda si trova in una fase avanzata del percorso, anche se non si può ancora parlare di “maturità digitale”. Secondo Setaro, infatti, il concetto di maturità è dinamico: «Essere maturi oggi potrebbe voler dire essere obsoleti domani». Per questo, la trasformazione digitale viene vista come un processo asintotico e continuo. Leroy Merlin ha ormai ultimato – o si appresta a chiudere – la fase preparatoria che ha dotato l’azienda di un “toolkit digitale” per competere efficacemente nell’era digitale. Ma questa preparazione non equivale alla trasformazione vera e propria, rappresenta l’ingresso in un contesto in cui il cambiamento è costante. Serve la capacità di adattare rapidamente il business e le strategie in risposta alle esigenze del mercato, di costruire relazioni bidirezionali con i clienti, e di interagire con gli altri stakeholder del sistema.

Un elemento centrale in questo approccio è l’accettazione del fallimento come parte integrante del processo di innovazione. La logica del “fail fast” – fallire velocemente – consente di identificare rapidamente le strade non percorribili e ridurre i costi degli errori. L’adozione di una cultura sperimentale, basata su test continui e iterazioni rapide (come l’A/B testing), è una condizione necessaria per l’innovazione. In passato, progetti digitali di tipo tradizionale (come quelli legati alla business intelligence) potevano durare anni, prima di arrivare a risultati, spesso superati già in corso d’opera. Oggi, invece, l’approccio è diametralmente opposto: più veloce è il fallimento, minore è il danno, più utile è l’apprendimento e più velocemente si corregge la direzione. Tuttavia, l’accettazione del fallimento è ancora culturalmente difficile in molti contesti. In ambienti multinazionali, per esempio, l’attitudine varia molto a seconda del contesto geografico. In alcune realtà è ancora forte la tendenza a camuffare il fallimento per presentarlo come un successo. È un retaggio culturale che frena l’innovazione. Per questo motivo, la trasformazione digitale non può prescindere da un profondo cambiamento culturale, che deve partire dal top management. Spetta al management creare un ambiente che favorisca la sperimentazione, la tolleranza verso l’errore e la flessibilità. Infine, non va sottovalutata l’eterogeneità dei team, soprattutto il lavoro con la Generazione Z, che richiede approcci distinti rispetto a quelli adottati con i Millennials. Le aspettative, i comportamenti e le modalità di lavoro stanno cambiando radicalmente, e le aziende sono chiamate a interpretare e accogliere questa trasformazione con consapevolezza. «I giovani talenti oggi sanno dire “no”: non accettano più passivamente, ma portano in dote velocità, adattabilità e competenze digitali innate» – spiega Setaro di Leroy Merlin. «Al tempo stesso, chiedono benessere, rispetto e un senso profondo nel proprio lavoro». Per questo, la leadership deve evolvere, passando da un modello basato sul controllo a uno centrato sulla cura del valore umano. Il manager non è più un semplice esecutore di ordini, ma diventa l’abilitatore di team coesi, motivati e protagonisti del cambiamento. In questo nuovo paradigma, il benessere organizzativo si trasforma in un KPI strategico. «L’investimento sul benessere dei collaboratori è una priorità, che va misurato e gestito come parte integrante della performance aziendale».

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IL RUOLO DEL BUSINESS

Nel percorso di trasformazione digitale, Amadori, azienda del settore alimentare e dei beni di largo consumo, punta sull’efficienza operativa. Solo quando il business ha iniziato a guidare il cambiamento, i progetti digitali hanno trovato terreno fertile per crescere. Sandro Salvigni, head of digital transformation di Gruppo Amadori, rileva un aspetto spesso trascurato nel discorso sull’innovazione: «Il rischio di andare troppo forte». Un’accelerazione eccessiva, infatti, può compromettere l’equilibrio organizzativo e la sostenibilità del cambiamento. È un richiamo lucido alla complessità della trasformazione digitale, un percorso iniziato da tempo – pur con nomi diversi – e che oggi continua a evolversi in profondità, imponendo alle imprese scelte consapevoli, graduali e strategiche. Nel caso di Amadori, Sandro Salvigni chiarisce che la trasformazione digitale non ha comportato una rivoluzione del modello di business, che è rimasto sostanzialmente invariato. Il cambiamento si è invece concentrato sull’evoluzione delle modalità operative, con un focus strategico sull’efficienza in tutte le sue forme. Questa ricerca di efficienza ha preso avvio nelle aree di back office, dove i benefici dell’automazione e della digitalizzazione si sono manifestati più rapidamente, per poi estendersi gradualmente anche ai processi core che sono stati toccati solo in un secondo momento. La spinta innovativa ha interessato prima l’area commerciale e quella di relazione con il cliente, e solo successivamente la parte produttiva. Un cambiamento facilitato anche dall’ingresso nel mondo del lavoro di nuove generazioni con un background e una quotidianità digitale, che stanno contribuendo ad accelerare il cambiamento.

Riflettendo sul percorso di innovazione intrapreso, Salvigni riconosce che non sono mancati errori o inciampi. Molte criticità sono derivate da una mancanza di convinzione strategica a livello aziendale. In passato in diverse occasioni, il cambiamento è stato spinto soprattutto dalla componente IT, mentre è mancata una reale partecipazione da parte del business. Questo disallineamento e mancanza di ingaggio ha portato a iniziative poco comprese e mal digerite dal business che non hanno raggiunto gli obiettivi attesi o nella migliore delle ipotesi hanno richiesto sforzi molto maggiori di quelli realmente necessari. Oggi, invece, lo scenario è mutato. Gli strumenti digitali sono più familiari e le tecnologie risultano più accessibili e comprensibili. Per Salvigni, restano quindi centrali la chiarezza della strategia, la gestione del cambiamento nelle persone, la convinzione del business. Quando la spinta al cambiamento parte realmente dal business e si accompagna a unitarietà di intenti tra le componenti aziendali – utenti, business, IT e tecnologia – allora anche i progetti più complessi, pur con difficoltà, trovano la forza per arrivare a compimento.

Sandro Salvigni head of digital transformation di Gruppo Amadori

STRATEGIA CHIARA

Nonostante le note complessità strutturali che caratterizzano la Pubblica Amministrazione, Aria Spa, società in-house della Regione Lombardia, traccia una traiettoria di trasformazione digitale fondata su una visione strategica solida. Il focus è su infrastrutture resilienti, adozione del cloud e sviluppo delle competenze interne: una combinazione che dimostra come il cambiamento, anche nei contesti più articolati, sia non solo possibile ma replicabile. Nel panorama della trasformazione digitale, la Pubblica Amministrazione si trova ad affrontare sfide peculiari, legate a vincoli normativi, rigidità organizzative e difficoltà nell’acquisizione di risorse. L’esperienza di Aria Spa rappresenta un esempio concreto di come un ente pubblico possa affrontare questi limiti con una strategia chiara e un approccio graduale ma determinato al cambiamento.

Il suo percorso di trasformazione digitale di Aria Spa affonda le radici in una lucida analisi delle proprie fragilità strutturali. Tra i principali ostacoli emersi: una rigidità organizzativa ereditata, difficoltà nell’attrarre competenze tecnologiche strategiche e i vincoli stringenti della spesa pubblica, che impongono trasparenza ma rallentano l’adozione tempestiva di nuove soluzioni. A questi si aggiungono le limitazioni nella gestione del capitale umano, dove l’acquisizione di nuove professionalità è vincolata a iter approvativi e concorsuali lunghi e complessi. Per superare queste criticità, Aria Spa ha ripensato l’approccio operativo per rispondere in modo efficace alle esigenze dei “clienti interni” – gli enti pubblici regionali – e, indirettamente, ai cittadini e alle imprese del territorio lombardo.

La strategia si basa sull’adozione del cloud come architettura abilitante, implementata in due fasi: la prima di trasformazione e consolidamento infrastrutturale, iniziata circa 12 anni fa, e la seconda orientata alla modernizzazione applicativa e all’integrazione dei servizi. Per dare una misura concreta dell’impatto, oggi Aria Spa gestisce circa 600 servizi digitali per la Regione Lombardia, supportati da un’infrastruttura che conta quasi duemila server. L’obiettivo: rendere il modello di erogazione più flessibile, scalabile, efficiente e sostenibile. Il percorso di consolidamento ha portato alla razionalizzazione dei data center – da quattro a uno – abilitato da una piattaforma multi-cloud capace di ospitare i workload applicativi regionali e di offrire servizi anche ad altre amministrazioni pubbliche. I benefici sono tangibili: maggiore resilienza delle infrastrutture e costruzione di un ecosistema operativo condiviso, orientato alla continuità e all’efficienza. La seconda fase, attualmente in corso, rappresenta il cuore della trasformazione digitale: l’integrazione avanzata delle tecnologie offerte dai principali service provider per accelerare la digitalizzazione dei servizi regionali. Non si tratta solo di adottare nuovi strumenti innovativi, ma di affrontare con rigore aspetti fondamentali come la compliance, indispensabile per garantire una trasformazione sostenibile e conforme alle normative vigenti. Questa fase si svolge in un contesto complesso, dove è essenziale ottimizzare l’uso delle risorse pubbliche a disposizione. Su questo fronte, l’impegno rimane costante, considerata la rilevanza strategica per l’intero sistema amministrativo. «Il passaggio a un’organizzazione più evoluta richiede una gestione attenta delle competenze» – spiega Giuseppe Ceglie, dirigente della struttura Piattaforme Applicative di Aria Spa, che racconta come l’azienda abbia affrontato le resistenze interne alla trasformazione digitale attraverso workshop di ascolto e condivisione. Il risultato? Chi ha colto la nuova direzione ha acquisito nuove competenze strategiche. «Non abbiamo assunto nuovi talenti. Le stesse persone che prima si occupavano di configurare sistemi oggi sono in grado di proporre ottimizzazioni economiche direttamente al top management».

L’IT CAMBIA PELLE

Da supporto tecnico a motore culturale, l’IT di Cogne Acciai Speciali è oggi protagonista di una trasformazione profonda. Leader mondiale nella produzione di acciai inossidabili lunghi e leghe di nichel, con oltre un secolo di storia alle spalle, l’azienda ha compiuto negli ultimi anni un autentico salto evolutivo: da una realtà ancora in gran parte analogica a un’organizzazione immersa nella digitalizzazione. Oggi l’innovazione nasce dal business, alimentata da una crescente maturità interna, da un investimento diffuso in formazione e da una leadership consapevole che guida il cambiamento. Nel 2019, però, lo scenario era ben diverso: sistemi frammentati, processi debolmente strutturati, un’IT percepita come funzione marginale e distante dalle priorità aziendali. Emblematica, in quel contesto, l’introduzione della posta elettronica in cloud, accolta con diffidenza e timori legati alla sicurezza e alla proprietà dei dati.

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Negli anni successivi, l’azienda ha maturato una nuova consapevolezza. Il cloud è diventato una tecnologia abilitante, adottata non come mantra ma in modo selettivo per rispondere a esigenze concrete. Un cambiamento che ha richiesto prima di tutto un investimento culturale, più ancora che tecnologico. Oggi Cogne si presenta radicalmente trasformata. Non è più l’IT a spingere l’innovazione, ma è il business stesso a richiederla. Le persone – dalla produzione al commerciale – chiedono strumenti utili, efficaci, capaci di abilitare i propri obiettivi. È proprio questa domanda interna di innovazione il segnale più forte di un cambiamento profondo e duraturo. Come sottolinea Flavio Desandrè, ICT manager dell’azienda, il percorso non è stato lineare né privo di errori. Al contrario, sono stati proprio gli errori a generare apprendimento condiviso e reale. L’esperienza ha insegnato che le “lessons learned” non sono un incidente di percorso, ma una risorsa comune. In questo contesto, il ruolo dell’IT si è evoluto: da semplice gestore di ticket a “ammortizzatore tecnologico”, capace di rendere accessibili e comprensibili le soluzioni digitali anche nei contesti più operativi. Non è più il tempo della sola “ricerca”: oggi serve concretizzare, diffondere e accompagnare l’adozione tecnologica, affinché generi vero impatto.

A testimonianza di questo approccio, l’azienda ha lanciato un’Academy interna con programmi di training on the job dedicati ai nuovi ingressi. Che una realtà siderurgica investa sulla formazione digitale è un segnale forte: l’innovazione è parte integrante della visione industriale. Un cambiamento reso possibile anche grazie a un endorsement deciso da parte del CEO, la cui leadership ha garantito coerenza e spinta al cambiamento. «Senza una guida consapevole – spiega Desandrè – la digitalizzazione rischia di restare una firma in calce a un assegno. Ma senza impatto, non è vera trasformazione».

Flavio Desandré ICT manager di Cogne Acciai Speciali

RIPENSARE I PROCESSI

Una trasformazione culturale e organizzativa profonda guida il ripensamento dei processi in Autostrade per l’Italia. Da funzione tecnica a leva strategica, l’IT supporta un cambiamento concreto nei modelli operativi, con attenzione al valore, alla trasversalità delle competenze e all’impatto reale delle tecnologie. Autostrade per l’Italia si è trovata a gestire un percorso di radicale trasformazione dopo il crollo del ponte Morandi di Genova, avvenuto il 14 agosto 2018. Da allora, il gruppo ha intrapreso una revisione profonda della propria struttura, operando non solo come gestore ma anche come progettista e realizzatore delle infrastrutture, affrontando così la complessità propria di un’organizzazione industriale multifunzionale. L’evento traumatico ha imposto una riflessione su tutti i fronti: tecnologico, organizzativo e culturale.

L’IT non è stato semplicemente coinvolto nel cambiamento, ma ne è diventato uno degli assi portanti, cogliendo l’opportunità di dare concretezza al concetto di digital transformation nel senso pieno del termine, ben oltre la semplice digitalizzazione. La trasformazione ha avuto un impatto esteso sui processi, sul modo di lavorare delle persone, sulla governance e sul linguaggio stesso con cui si concepisce la tecnologia in azienda. A supporto di questo percorso, Autostrade per l’Italia ha avviato un programma triennale di trasformazione, sostenuto da un investimento di circa duecento milioni di euro. Sul piano infrastrutturale, l’azienda è passata da tre data center on premise a un’architettura cloud-first, con un approccio ibrido di workload onprem e su ambienti gestiti da provider esterni. Tuttavia, il cambiamento più rilevante non è stato tecnologico, ma culturale e ha riguardato il change management, l’evoluzione dei ruoli e il ripensamento dei processi. «Non è stata solo un’iniezione di tecnologia, ma un lavoro mirato sui processi, allineati e modellati sull’organizzazione» – sintetizza Riccardo Marchiani, Agile, Digital Innovation and IT Group Excellence di Autostrade per l’Italia. Durante questa fase, l’organizzazione ha adottato un approccio Agile lavorando fino a 40 stanze di sviluppo in parallelo e producendo oltre 100 prodotti digitali. I risultati sono stati significativi: «In tre anni abbiamo raggiunto circa l’80% di digital coverage, un indicatore che misura il nostro grado di digitalizzazione dei processi». Un progresso che ha trasformato anche il rapporto tra IT e business, dando vita a un dialogo continuo, strutturato e bidirezionale. Un aspetto distintivo di questo processo è stato l’approccio differenziato ai contesti “greenfield” e “brownfield” iniziando con ambiti poco digitalizzati per poi affrontare anche i settori core, come quello dei processi di esazione, dove era più radicato il debito tecnologico.

Anche in quei casi, però, il focus non è stato sull’upgrade tecnologico fine a sé stesso, ma sulla reingegnerizzazione dei processi. Oggi, Autostrade per l’Italia ha riorganizzato la propria struttura IT con un orientamento chiaro alla produzione di valore, superando la classica struttura verticale dell’IT per dare spazio a competenze trasversali e processuali. La tecnologia è ormai considerata un fattore abilitante, ma non sufficiente se non supportata da una chiara visione di business. L’adozione di nuove tecnologie, incluse soluzioni avanzate come l’intelligenza artificiale, è subordinata alla presenza di use case concreti in grado di generare valore misurabile per il business. La maturità acquisita negli ultimi anni ha portato l’organizzazione a ridefinire il ruolo dell’IT, riconoscendone la centralità strategica. Da funzione di supporto, l’IT è diventa un elemento abilitante e integrato, in grado di connettere processi e obiettivi di business. Guardando al futuro, Autostrade per l’Italia si prepara ad affrontare le sfide poste dalle tecnologie emergenti – «con una struttura value and data-driven» – per sostenere e accelerare il proprio percorso di trasformazione.

CULTURA DEL DATO

Una delle evidenze emerse con maggiore forza nel corso della tavola rotonda è la centralità del dato all’interno dei processi di trasformazione. Il dato non è più soltanto un elemento di supporto, ma un asset strategico, che guida le scelte operative, abilita l’adozione dell’intelligenza artificiale e, soprattutto, consente di generare vero valore di business. L’esperienza di Illva Saronno Holding nasce dalla consapevolezza che la trasformazione digitale non è un evento isolato con un inizio e una fine, ma un processo continuo e ciclico, fatto di fasi successive che si rinnovano costantemente. «Il dato deve essere al centro della trasformazione digitale. Se non so quale informazione mi serve e quale valore intendo generare, il progetto è destinato a fallire» – spiega il CIO Enrico Clerici. Capofila del gruppo multinazionale italiano con sede a Saronno (VA), fondata nel 1947 dalla famiglia Reina, riconosciuta a livello globale per il suo portafoglio di marchi eccellenza nel settore degli alcolici e dei semilavorati alimentari, Illva Saronno Holding ha affrontato questo percorso con una predisposizione favorevole, grazie a una cultura interna già orientata al cambiamento.

La digital transformation viene declinata attraverso quattro elementi chiave: processi, tecnologie, competenze digitali e dati, riconosciuti come punto di partenza e obiettivo centrale del percorso di trasformazione. «Nessun progetto viene avviato senza una chiara definizione preliminare dei requisiti informativi. Io posso gestire un progetto in modo eccellente dal punto di vista operativo, ma se non arrivo a qualificare correttamente il requisito informativo, il progetto fallisce»spiega Clerici. È quindi fondamentale rivedere i criteri di valutazione del valore, includendo non solo l’efficienza operativa, ma anche il valore informativo, quello per il cliente e l’impatto culturale sull’azienda.

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In questo quadro, il fallimento viene distinto dall’errore: «Sbagliare è lecito, anzi necessario, perché rappresenta una tappa nel percorso verso il successo. Il fallimento, invece, viene visto come una condanna definitiva». Una visione che incoraggia la sperimentazione, nella consapevolezza che l’innovazione è un processo di apprendimento continuo. Per Illva Saronno, la trasformazione digitale è anche un processo di misurazione della cultura digitale. «Sebbene difficile da quantificare, rappresenta una variabile chiave per valutare la vera maturità di un’organizzazione. È una dimensione spesso invisibile ma essenziale, che impone l’adozione di nuovi strumenti di misurazione».

Essendo molto vicina a clienti e consumatori, la multinazionale italiana dà priorità all’adozione di tecnologie immediate, intuitive e coinvolgenti. «Il consumatore stesso diventa il banco di prova delle soluzioni digitali, mentre il dato rappresenta il vero motore che abilita tutte le altre tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale». Un tema ricorrente è la necessità di superare una visione dell’efficienza fine a sé stessa. «Il rischio concreto è investire in tecnologie digitali solo per contenere i costi, trascurando il valore che possono generare in termini di qualità della relazione con il cliente, cultura aziendale e sviluppo delle persone». Per questo è fondamentale imparare a misurare anche il valore qualitativo, per esempio, quanto un progetto abbia migliorato il customer service o rafforzato il posizionamento competitivo.

Enrico Clerici CIO di Illva Saronno Holding

VISIONE DEL CAMBIAMENTO

Seguire un percorso strutturato, adottare gli strumenti adeguati, trasformare la comunicazione interna in un alleato strategico e monitorare attentamente le diverse fasi dei progetti: questi sono i quattro pilastri del change management che permettono alle organizzazioni di evolversi mantenendo il passo con i tempi. La percentuale di iniziative di cambiamento che falliscono o non raggiungono gli obiettivi rimane ancora troppo alta. Secondo Assochange, oggi più che mai è urgente diffondere e applicare la disciplina del change management per costruire una nuova cultura dell’organizzazione alla luce della trasformazione digitale. Saipem è leader globale nella progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture e impianti complessi nel settore energetico, sia offshore che onshore. Per Roberto Chiarion, head of Transformation Projects and Change Management di Saipem, siamo nel pieno di una trasformazione epocale. «Un cambiamento che non è solo tecnologico, ma anche sociale e culturale, e che si muove con una velocità e imprevedibilità senza precedenti». Questo percorso di trasformazione richiede prima di tutto un cambiamento di mindset, che significa accettare l’errore, adottare un approccio agile, muoversi per micro-obiettivi e rimettere continuamente in discussione strategie e tempi. È essenziale, infatti, rivedere costantemente obiettivi e scelte, mantenendo la capacità di adattarsi e correggere la rotta, anche nel breve periodo.

In un contesto così dinamico, è importante fare sistema, mantenere una visione strategica, ma anche coltivare prudenza e capacità di gestire il rischio. La sponsorship del top management rappresenta un fattore critico nella trasformazione digitale: «Una leadership coesa permette di definire strategie credibili e di comunicarle efficacemente». In settori complessi come quello energetico, dove opera Saipem, questa sfida si fa ancora più stringente, data la rapidità con cui gli scenari globali mutano, spesso a causa di fattori geopolitici imprevedibili. «La trasformazione non è un evento unico, ma un processo da governare quotidianamente». Per gestire il cambiamento servono coraggio, la capacità di accettare il rischio e, soprattutto, politiche di accompagnamento delle persone. «L’aspetto umano – spiega Chiarion – è imprescindibile per garantire valore a questo percorso di trasformazione». La componente umana è centrale ed è uno dei pilastri fondamentali della cosiddetta Industria 5.0. In tal senso «il change management gioca un ruolo chiave, non solo come metodo, ma come supporto concreto per abilitare le persone a vivere il cambiamento con fiducia anziché con timore».

RESILIENZA DINAMICA

L’Industria 5.0 non si limita a ottimizzare i processi produttivi, ma mira a creare un’armonia tra uomo e macchina, valorizzando le competenze umane e promuovendo un’economia circolare. In particolare, le PMI, possono abbracciare questo paradigma, sfruttando da un lato le tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, l’IoT e i big data, e investendo dall’altro in formazione e sviluppo delle competenze. La nuova roadmap europea si fonda su tre principi fondamentali: la centralità dell’essere umano, la sostenibilità ambientale e l’antifragilità, intesa come capacità del sistema industriale di reagire alle crisi e turbolenze economico-finanziarie cicliche. La direzione indicata dalla Commissione Europea punta con decisione verso un approccio human-centric nello sviluppo e nell’adozione delle tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale. Tra le priorità: rafforzare e riqualificare le competenze dei lavoratori, con un focus specifico sulle skill digitali; promuovere l’impiego di risorse, materiali e pratiche sostenibili per supportare la transizione verso un’economia circolare; e accelerare gli investimenti in ricerca e innovazione, rendendoli leve strategiche per una crescita inclusiva e responsabile.

Una presa d’atto di come la tecnologia applicata ai modelli di produzione può essere messa al servizio dell’uomo e della società per disegnare un futuro dove la collaborazione uomo-macchina diventa realtà. Ma cosa rappresenta “l’oltre” delineato dal piano Industria 5.0 per le aziende sedute al tavolo? Il confronto diventa l’occasione per esplorare quanto le imprese si sentano pronte ad abbracciare un nuovo modello di sviluppo, fondato su centralità umana, sostenibilità sistemica e innovazione guidata dal valore. Ne emerge una riflessione concreta sul livello di maturità organizzativa necessario per integrare questi principi nelle strategie operative e nelle decisioni di business.

ECOSISTEMI IBRIDI

Per Coolidea – oltre la digital transformation significa costruire contesti lavorativi dove la tecnologia potenzia e non sostituisce le capacità umane. L’attenzione si sposta dalla semplice automazione alla collaborazione uomo-macchina, dove l’intelligenza artificiale, i dati e i sistemi intelligenti diventano strumenti per amplificare creatività, decision-making e apprendimento continuo. In questo scenario, la leadership aziendale gioca un ruolo cruciale: non solo guida la trasformazione, ma la interpreta come leva culturale per generare impatto, attrarre nuovi talenti e rafforzare la resilienza dell’impresa nel tempo. A differenza di molte narrative europee incentrate sulla regolazione, la difesa o la correzione, Coolidea propone un approccio che guarda all’innovazione come occasione di ripensamento radicale. In questa visione, l’intelligenza artificiale non è semplicemente uno strumento da integrare nei processi, ma una vera e propria soglia evolutiva, che segna un punto di discontinuità nella relazione tra l’essere umano e la tecnologia. E come accaduto in altri passaggi storici – dall’introduzione delle prime automobili all’arrivo della telefonia mobile – ciò che all’inizio appare dirompente finisce, col tempo, per diventare parte della normalità.

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Emerge un ecosistema ibrido, in cui gli esseri umani condividono lo spazio operativo con agenti intelligenti e comunità digitali. I documenti non sono più solo destinati alla lettura da parte di persone, ma diventano fruibili anche da intelligenze artificiali, generando una nuova forma di accessibilità e condivisione della conoscenza. È la dualità informativa – leggibile dall’uomo e dalla macchina – a diventare un elemento chiave di questo “oltre”. L’essenza delle organizzazioni non è messa in discussione, ma ha l’opportunità di rafforzarsi e rigenerarsi, trovando nuove forme di espressione e valore. L’innovazione diventa uno strumento per rinnovare la missione originaria, senza snaturarla. L’esempio di Nintendo, nata nel 1870 con lo scopo di far giocare le persone, e oggi ancora fedele a quella stessa vocazione, dimostra come la coerenza nel tempo non escluda il cambiamento dei mezzi. La presenza dell’essere umano nei processi, inoltre, non deve più essere data per scontata. Alcune attività sono già gestite autonomamente da sistemi intelligenti.

Il numero di processi a “supervisione zero” è destinato ad aumentare. Non si tratta di sostituzione, ma di riposizionamento, in molti contesti. Il contributo umano può spostarsi verso ruoli più strategici, mentre le macchine si fanno carico delle operazioni ripetitive o standardizzabili. In mercati come quelli del Golfo o di alcune aree africane, la trasformazione ha saltato intere fasi intermedie, adottando soluzioni digitali che bypassano modelli precedenti, abilitando un’interazione uomo-macchina immediata e diretta, anche nei servizi pubblici. In questi contesti, l’adozione di tecnologie come gli LLM non è sperimentazione, ma risposta concreta a esigenze quotidiane. Oltre la digital transformation – per Coolidea – si apre una visione di sistema più fluida e meno gerarchica, dove l’uomo non è più al centro in senso esclusivo, ma diventa parte di un disegno più ampio, adattivo, aperto e coabitato da attori digitali autonomi.

TRASFORMAZIONE DI SISTEMA

Nel caso di Amadori, l’oltre non è un orizzonte tecnologico, ma una trasformazione di sistema, in cui digitale, sostenibilità e capitale umano si intrecciano per rispondere a sfide complesse e interconnesse. In un’impresa con una filiera articolata (dagli allevamenti alla GDO) e fortemente legata al territorio, la digitalizzazione è parte di un disegno più ampio, che riguarda l’organizzazione, i modelli decisionali e la relazione tra le persone e i processi. L’azienda – essendo asset intensive in una filiera ad alta eterogeneità – adotta un approccio simile a quello del restauro: intervenire con precisione e rispetto sulle infrastrutture esistenti, ottimizzando risorse e processi senza possibilità di spostamenti o sostituzioni radicali. Andare oltre significa riconoscere che l’innovazione non può essere verticale né calata dall’alto, ma deve essere orizzontale, distribuita, trasversale. L’impulso non arriva solo dalla tecnologia, ma anche dalle tensioni esterne come la transizione energetica, l’instabilità climatica, l’incremento dei costi e la carenza di manodopera. La risposta non può essere automatica o standardizzata, ma richiede una profonda riorganizzazione culturale.

In questo scenario, i dati e gli strumenti digitali sono fondamentali, ma non sufficienti. Servono per migliorare l’efficienza, per tracciare, per ridurre gli sprechi, ma da soli non bastano. Così come la cybersecurity, ormai prioritaria e urgente, da sola non basta perché richiede adeguati comportamenti e una attenta gestione da parte dell’uomo. Quindi per Amadori, l’oltre significa costruire un’intelligenza diffusa, mettere in connessione i saperi interni e quelli esterni, coinvolgere le persone, formarle, renderle parte attiva del cambiamento. «Non possiamo parlare di intelligenza artificiale senza parlare di intelligenza naturale» – sintetizza Sandro Salvigni. «Il valore dell’impresa non sta solo nell’adozione delle tecnologie, ma nella capacità di connetterle al contesto umano e sociale». Oltre la digital transformation, c’è la sfida più radicale di rinnovare il senso dell’impresa stessa, facendone un luogo dove il cambiamento non è imposto, ma co-progettato, sperimentato e sostenuto nel tempo.

ETICA E SOSTENIBILITÀ

Per Leroy Merlin l’oltre significa aver appreso che non basta adottare la tecnologia più all’avanguardia disponibile sul mercato per fare la differenza, ma che è necessario capire come integrare le nuove competenze tecnologiche e digitali all’interno dei processi aziendali per renderli più efficienti, performanti e soprattutto antifragili. Questa capacità di adattarsi, di rialzarsi dopo un “cazzottone” e di farlo in modo più intelligente, è ciò che si chiama antifragilità. Non basta più essere resilienti, cioè semplicemente resistere agli urti e continuare a stare in piedi: bisogna imparare a evitarli, a schivarli, per essere davvero pronti al futuro. È questa una delle ragioni profonde per cui la trasformazione digitale è imprescindibile, non solo per restare competitivi, ma anche per mettere l’essere umano al centro del cambiamento.

Se da un lato si teme che l’intelligenza artificiale possa un giorno sostituire l’uomo, dall’altro abbiamo finalmente la possibilità di affrontare tematiche come la qualità del lavoro, il work-life balance e il valore del tempo in modo disruptive. Stiamo passando dalla digital transformation all’AI transformation. L’automazione e l’intelligenza digitale evolvono da strumenti di semplice esecuzione di compiti monotoni a sistemi capaci di muoversi lateralmente, di comprendere contesti, di supportare team di lavoro ibridi che aumentano produttività e controllo. Il vero bivio è capire da che parte vogliamo stare, se sulla barricata dei nostalgici e dei contrari al cambiamento, o su quella di chi, invece, ha saputo cavalcare le rivoluzioni industriali per creare vantaggi competitivi, migliorare la vita dei propri collaboratori e far fiorire il business. Rispetto alle rivoluzioni industriali precedenti, oggi convivono due fattori: maggiore consapevolezza e velocità senza precedenti. Se un tempo servivano decenni, persino secoli, per assistere a cambiamenti significativi, oggi l’intelligenza artificiale rimodella interi settori in pochi mesi, imponendo alle organizzazioni una flessibilità e una capacità di integrazione mai viste prima.

Alessio Setaro Digital Solutions leader di Leroy Merlin

Il modello economico alla base dell’AI generativa è oggi profondamente sbilanciato. I grandi provider stanno sostenendo costi enormi in perdita, in cambio della raccolta massiva di dati degli utenti. L’AI è in fase di adozione ed è anche aperta e gratuita. Ma un domani, queste tecnologie, che saranno integrate nei processi, potrebbero diventare inaccessibili o non controllabili. Questa considerazione apre al tema strategico del failover. Cosa succede se l’AI si blocca, se un servizio cloud viene sospeso, se un modello viene reso inaccessibile? Le organizzazioni devono essere pronte a regredire in sicurezza, senza perdere operatività. «L’AI deve essere integrata con equilibrio, mantenendo sempre un piano B. Il valore delle persone resta centrale» – afferma Alessio Setaro. L’innovazione deve integrarsi con la responsabilità sociale, tenendo conto dell’impatto ambientale e sociale delle scelte tecnologiche.

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La trasformazione digitale è parte integrante di un percorso verso la decarbonizzazione e la sostenibilità. Oggi più che mai, il rapporto tra azienda e collaboratore non è più un semplice scambio di prestazioni, ma un gioco di squadra basato su fiducia, responsabilità reciproca e capacità di adattamento. La trasformazione digitale si conferma quindi come un processo umano oltre che tecnologico, un ritorno alle questioni etiche fondamentali, all’equilibrio tra uomo e macchina, che ci spinge a utilizzare l’esperienza del passato per non ripetere gli stessi errori e per valorizzare le competenze specialistiche che oggi sono richieste.

Il futuro di Leroy Merlin si gioca sulla capacità di integrare le nuove tecnologie senza mai perdere di vista la centralità dell’uomo, promuovendo il benessere dei collaboratori e costruendo team coesi e motivati. Solo così la trasformazione digitale si potrà realmente superare, diventando un’opportunità di crescita sostenibile e duratura, capace di andare oltre la digitalizzazione e abbracciare una nuova concezione dell’industria 5.0, dove tecnologia, etica e sostenibilità convivono per generare valore.

GOVERNANCE E COMPLIANCE

Dal punto di vista di Aria Spa, l’evoluzione digitale va affrontata con una strategia strutturata e responsabile, soprattutto nei percorsi di adozione dell’intelligenza artificiale. Non si tratta solo di conoscere la tecnologia, ma di definire un vero processo di adozione, in cui alla trasformazione si accompagnino concetti come l’etica e soprattutto la compliance normativa. Quest’ultima è fondamentale per poter utilizzare i dati nel rispetto dei vincoli che regolano i contesti pubblici e istituzionali, diventando così un prerequisito per l’adozione consapevole delle tecnologie. La trasformazione digitale è continua, ma si caratterizza anche per alcuni punti di discontinuità che ne accelerano l’evoluzione come il PC, Internet, il mobile, e ora l’intelligenza artificiale. «Proprio per questo – spiega Giuseppe Ceglie – la governance non può più essere gestita con modalità tradizionali, ma deve essere affrontata con approcci innovativi, che richiedono anche nuove competenze». Diventa così centrale la gestione delle risorse umane perché sarà la loro capacità di evolvere a determinare il successo o l’insuccesso della trasformazione. Di certo non manca l’attenzione alla sostenibilità come valore presente e futuro, come dimostra il consolidamento dei data center che ha portato alla dismissione di migliaia di server fisici obsoleti e ad alto consumo energetico, con un impatto significativo sulla sostenibilità e sulla razionalizzazione dei costi. Infine, Aria porta nella sua visione dell’oltre il concetto di antifragilità che si è toccata con mano durante il periodo della pandemia, portando l’azienda a realizzare un SOC (Security Operations Center) interamente da remoto, trasformando così un’esigenza di emergenza in un’opportunità. Questo SOC è poi diventato un servizio offerto anche ad altri enti del Sistema sanitario lombardo, dimostrando come affrontare in modo resiliente e proattivo situazioni di rischio possa generare valore condiviso. L’antifragilità, quindi, non è solo un concetto affascinante, ma un vero paradigma operativo che permette di intercettare i rischi e prepararvisi con competenza e visione. Questo è oggi parte integrante della missione di Aria.

Giuseppe Ceglie dirigente Piattaforme Applicative di Aria Spa

GESTIONE DELLA COMPLESSITÀ

In Cogne Acciai Speciali, l’adozione della tecnologia ha prodotto fin da subito risultati tangibili: maggiore velocità nei processi, riduzione dei costi, ottimizzazione operativa. Ma in un contesto industriale complesso e ad alta intensità come il nostro, l’efficienza non è tutto: entra in gioco anche la sicurezza delle persone. «Se una macchina alimentata da intelligenza artificiale compie un’azione imprevista – per un errore o per un attacco informatico – le conseguenze possono essere gravissime» spiega Flavio Desandrè. «Pensiamo, ad esempio, a un forno fusorio che lavora 80 tonnellate di acciaio liquido a oltre 1.500 °C: un errore minimo può diventare un evento catastrofico».

Questi temi sono da tempo al centro dell’attenzione dell’azienda, che ha adottato un approccio orientato alla security by design: non solo per conformarsi alla normativa, ma per garantire affidabilità e continuità anche a clienti che operano in settori altamente regolamentati. La lezione appresa è chiara: la tecnologia va governata, non semplicemente implementata. Guardando oltre il percorso di trasformazione intrapreso, l’azienda ha individuato tre direttrici strategiche per sostenere la propria evoluzione: eccellenza operativa, non è un’opzione, ma una condizione necessaria per competere in mercati globali; data empowerment, i dati diventano leva decisionale: da valorizzare con strumenti come l’AI per abilitare scelte rapide, consapevoli e scalabili; governo della complessità, ogni innovazione introduce nuovi livelli di articolazione. Senza una visione d’insieme, la complessità rischia di diventare fragilità. «Viviamo in un’epoca in cui ogni salto tecnologico ci rafforza, ma ci espone anche a una complessità crescente. Non possiamo più limitarci a essere “muratori” che intervengono in emergenza. Dobbiamo diventare anche “architetti” dei nostri sistemi: progettare, integrare e mantenere tecnologie nuove senza compromettere l’affidabilità di impianti che non si possono semplicemente sostituire».

In questo scenario, l’intelligenza artificiale non è solo un fattore abilitante per il business, ma anche per le persone e per chi nell’IT ci lavora. Inizialmente, lo leggevamo spesso nei forum di settore, permaneva una certa diffidenza, legata alla percezione dell’AI come potenziale minaccia per i programmatori. In realtà, si tratta di uno strumento che amplifica le competenze, non che le sostituisce. L’introduzione dell’AI nello sviluppo software non serve a delegare la scrittura del codice, ma a rendere il lavoro più efficiente, accurato e sostenibile. La vera sfida, oggi, è estendere l’adozione dell’AI oltre la produzione, portandola anche nelle funzioni di supporto: un passaggio che richiede un cambiamento culturale profondo, ma che apre la strada a un nuovo paradigma industriale, in cui le persone si riscoprono progettisti del futuro.

IL FATTORE UMANO

Per Autostrade per l’Italia, il passaggio verso un’industria sempre più digitale e interconnessa richiede prima di tutto una profonda riflessione sul ruolo del capitale umano. Il vero punto di svolta non è rappresentato solo dall’adozione di nuove tecnologie, ma dalla capacità delle persone di relazionarsi in modo consapevole. «In azienda, l’adozione di certi strumenti digitali non ha fatto davvero presa al momento della loro introduzione tecnica, ma quando le persone ne hanno colto l’impatto concreto sul proprio modo di lavorare. È stato allora che la tecnologia ha smesso di sembrare distante, indossando un vestito nuovo: più vicino, più accessibile, più rilevante» – spiega Riccardo Marchiani.

La trasformazione digitale è stata solo il primo passo. Dopo una fase iniziale, più divergente e incentrata sugli investimenti e sull’ampliamento delle capacità, oggi l’attenzione si sta spostando sulla razionalizzazione dei modelli organizzativi, sulla governance e sulla costruzione di standard condivisi. Sono in corso processi di certificazione (come ISO 20000 per i servizi IT di gruppo), che mirano a garantire un livello più alto di qualità anche nel rapporto con il cliente interno. La digitalizzazione, infatti, viene affrontata non come un progetto tecnico, ma come una trasformazione del modo stesso di erogare valore all’interno e all’esterno dell’organizzazione. L’intelligenza artificiale è uno dei fronti più strategici. L’azienda è tra le prime in Italia ad aver avviato un percorso di certificazione per una gestione dell’AI strutturato, che implica anche possibili cambiamenti organizzativi.

Riccardo Marchiani Agile, Digital Innovation and IT Group Excellence di Autostrade per l’Italia

Si tratta di un passaggio delicato, in cui la vera innovazione non risiede tanto nella potenza dell’algoritmo, quanto nella capacità attiva del business di comprenderne le implicazioni e governarne l’impiego, mantenendo l’equilibrio tra funzionalità e responsabilità. La sostenibilità è un altro asse centrale del cambiamento. Il tema non riguarda solo le infrastrutture fisiche, ma anche la progettazione e lo sviluppo del software: l’adesione ai principi della Green Software Foundation, per esempio, spinge verso codici meno impattanti e più efficienti, che per loro natura risultano anche meglio scritti. Una virtuosa convergenza tra qualità tecnica e responsabilità ambientale.

Sul piano strategico, l’azienda riconosce l’elemento umano come invariante fondamentale, l’unico vero fattore capace di dare senso e direzione al cambiamento. È l’essere umano a determinare come la macchina viene usata, non viceversa. Questa centralità, oggi, si traduce nella necessità di integrare la cultura del lavoro con una nuova cultura della relazione con la tecnologia, in una logica di “augmented humanity”, più che di sostituzione. Come ricordato anche dal CEO di Microsoft Satya Nadella, non si tratta di uomo «contro» macchina, ma di uomo «con» la macchina, in una relazione evolutiva.

In questa prospettiva, la sfida non è solo tecnologica, ma educativa e culturale. Bisogna saper distinguere chi ha la capacità di anticipare, di immaginare scenari nuovi, da chi si limita a seguire l’onda. E oggi che l’accesso agli strumenti è sempre più diffuso, ciò che fa la differenza è proprio la passione, la preparazione, la voglia di mettersi in gioco. In un contesto che evolve rapidamente, rimettere la persona al centro non è solo un atto etico, ma una vera scelta strategica. 

LA FRAGILITÀ DIGITALE

I concetti di Industry 4.0 e Industry 5.0 sono spesso percepiti come elementi legati principalmente all’ufficio investimenti o alla conformità normativa, più che come reali opportunità di innovazione tecnologica e strategica. Per Illva Saronno Holding, tale percezione rischia di ridurre tali processi a semplici obblighi da assolvere, invece che a leve per ripensare in profondità i modelli produttivi, la gestione dei magazzini e l’intera catena del valore. L’adozione di tecnologie avanzate dovrebbe essere guidata da un’analisi accurata delle informazioni necessarie a migliorare la produzione, aumentarne la sostenibilità e valorizzare i dati per indirizzare le decisioni aziendali. Molte imprese si concentrano principalmente sul raggiungimento della compliance normativa invece che sulla sicurezza effettiva dei propri sistemi, investendo risorse più per rispettare le regole che per garantire la reale protezione operativa.

Nel modo di andare oltre la digital transformation – Enrico Clerici evidenzia la crescente preoccupazione per la “fragilità digitale” delle aziende: «Una dipendenza critica da infrastrutture come cloud, data center, reti, sistemi ERP e CRM che espone le organizzazioni a rischi di interruzione, con potenziali impatti diretti su produzione e fatturato». Questo stato di vulnerabilità richiede piani di continuità operativa ben strutturati, con definizione di parametri come RPO (Recovery Point Objective) e RTO (Recovery Time Objective), per assicurare il rapido ripristino delle funzioni critiche. Ne consegue che il concetto di antifragilità, inteso come capacità di crescere a seguito di uno shock, sia una caratteristica ancora lontana per molte aziende.

Vi è quindi la necessità di sviluppare strategie e progettualità proprie, oltre la mera conformità alle normative come la NIS 2 (per garantire la protezione e la resilienza aziendale. Illva Saronno guarda all’Industry 5.0 come l’integrazione di sistemi informativi con le unità produttive e l’adozione di tecnologie sempre più sofisticate dove la componente umana rappresenta ancora una parte significativa del processo produttivo. Tale integrazione permette di ottenere risparmi energetici, incrementi di efficienza e migliori programmazioni delle attività produttive, purché l’obiettivo sia quello di migliorare concretamente i processi. Non manca una riflessione sul contesto europeo, in cui la regolamentazione etica dello sviluppo tecnologico è più stringente rispetto ad altri Paesi. Inoltre, si considera come problema di fondo che l’Europa rischia di abbandonare lo sviluppo scientifico e tecnologico, fondamentale per sostenere la competitività, affidandosi quasi esclusivamente a normative che non sempre sono accompagnate da adeguati investimenti in ricerca e innovazione. «La trasformazione è un flusso continuo: i progetti possono concludersi, ma il cammino non si arresta».

HUMAN AUGMENTATION

Saipem considera il fattore umano elemento centrale del proprio modello di business e la trasformazione digitale in atto – «veloce, pervasiva e inarrestabile» – ha reso ancora più evidente il ruolo delle persone come asset strategico per il successo aziendale, aumentando la consapevolezza che il capitale umano non possa essere relegato a un ruolo secondario. Questa visione ispira la people strategy di Saipem, che integra approcci culturali, organizzativi e tecnologici eterogenei, coerentemente con l’identità complessa e globale dell’azienda: 35mila dipendenti, attività in oltre 70 paesi, business differenziati che spaziano dall’offshore all’ingegneria impiantistica, fino alle energie rinnovabili e alla robotica. In questo contesto, l’interazione tra uomo e tecnologia rappresenta una delle sfide chiave rappresentata dalla Human Augmentation, un pilastro della strategia che riconosce nell’automazione e nell’intelligenza artificiale gli strumenti al servizio dell’uomo, capaci di potenziarne le capacità e non di sostituirle. L’adozione concreta dell’intelligenza artificiale per supportare le attività ingegneristiche e la progettazione è già una realtà, così come l’utilizzo di soluzioni digitali per ottimizzare la sicurezza sul lavoro e per migliorare il benessere fisico e psicologico del personale. «La sicurezza è storicamente un elemento centrale della cultura aziendale e del modello di business di Saipem» – spiega Roberto Chiarion.

Roberto Chiarion head of Transformation Projects and Change Management di Saipem

Il collegamento tra people strategy e business strategy non è solo necessario, ma vitale: «Ogni progetto – spesso pluriennale e ad alta specializzazione – impone la pianificazione attenta delle risorse, la gestione dinamica delle competenze e la capacità di integrare rapidamente know-how critico quando serve». La people strategy di Saipem nasce proprio dalla consapevolezza che, oggi più che mai, uno dei fattori chiave per il raggiungimento degli obiettivi di lungo periodo è la capacità di generare un ecosistema orientato alla crescita, alla motivazione e al benessere delle persone, creando le condizioni affinché ciascuno possa esprimere pienamente il proprio valore. In questo scenario, l’integrazione tra automazione, sostenibilità e centralità dell’essere umano delinea un orizzonte che va oltre la digital transformation, verso una prospettiva riconducibile ai principi dell’Industry 5.0.

LE PAROLE CHIAVE

Tutte le imprese sono nel mezzo di una fase di transizione strategica: da Industry 4.0 a Industry 5.0. La tavola rotonda “Oltre la Digital Transformation” ha evidenziato il passaggio dall’efficienza di macchine e processi alla centralità delle persone. Questo nuovo paradigma riconosce l’importanza del fattore umano come elemento chiave per guidare e sostenere l’innovazione tecnologica. I partecipanti hanno condiviso una visione chiara che consiste nella sfida di riuscire a organizzare e sviluppare competenze che permettano di creare sinergie efficaci tra uomo e macchina. In questo scenario emergono le cosiddette capacità aumentate: la possibilità di valorizzare l’interazione tra l’intelligenza umana e le potenzialità della tecnologia avanzata. L’obiettivo non è solo ottimizzare i processi, ma costruire modelli di lavoro più integrati, flessibili e creativi.

Questa prospettiva pone al centro il ruolo delle persone, non più semplici utilizzatori di strumenti digitali, ma protagonisti attivi del cambiamento, capaci di orientare le scelte strategiche e culturali dell’impresa. Tuttavia, mentre si procede lungo questo percorso evolutivo, cresce anche la complessità da gestire che porta con sé nuove vulnerabilità e dipendenze da comprendere e affrontare. Tra queste, assume particolare rilievo il tema del failover. In un contesto sempre più automatizzato e guidato dall’AI, l’eventualità di un’interruzione, sia tecnica che sistemica, non può essere ignorata. Serve un cambio di mentalità che integri la continuità operativa nei modelli di progettazione, prevedendo meccanismi di resilienza e piani di fall-back. Il failover non è solo una misura d’emergenza, ma una condizione strutturale per garantire affidabilità e fiducia. Alla fine, la domanda che più di tutte incalza imprese e decision maker è forse la più semplice, ma anche la più decisiva: qual è il vero valore generato dalla trasformazione digitale?

Non basta innovare, è anche necessario misurarne l’impatto sia in termini quantitativi che qualitativi. Solo così sarà possibile comprendere se le scelte intraprese producono benefici concreti e duraturi per l’impresa e per il mercato. Oggi, però, solo l’8% delle aziende italiane ha strumenti adeguati per valutare i progressi e i risultati ottenuti dalla digital transformation (Fonte: Osservatori PoliMI). Un dato che conferma quanto la misurabilità sia non solo una sfida, ma una condizione abilitante per rendere la trasformazione davvero strategica. Un percorso che non si esaurisce e che continua a generare nuovi interrogativi, sfide e dubbi che dovranno essere indirizzati e compresi.

Proprio per questo a conclusione della tavola rotonda è stato chiesto quali saranno gli elementi fondamentali appresi in questi anni che continueranno a guidare il successo del percorso trasformativo. Le risposte le abbiamo volute condensare in una parola chiave per ogni partecipante: sintesi simbolica del loro approccio ma anche tasselli di una visione plurale. Processi: per rimarcare l’importanza dell’efficienza e dell’ottimizzazione. Marche: a indicare il cammino e il percorso di crescita necessario in un contesto in continua evoluzione. Co-formazione: pratica di apprendimento condiviso, intragenerazionale e continuo. Dati: pilastro per decisioni informate e alimentare l’intelligenza artificiale. Mindset: per sottolineare la necessità di un cambiamento culturale profondo delle aziende nel modo di pensare e agire. Perché: per valorizzare la visione dietro le azioni. Competenze: come risorsa indispensabile per affrontare le sfide sia quelle di una tecnologia in costante evoluzione che quelle del mercato sempre più imprevedibile e discontinuo. Hybrid: per rappresentare la ricerca di una dimensione integrata tra digitale e umano. Questi concetti costituiscono la base per costruire un futuro sostenibile e innovativo, in cui la trasformazione digitale si traduce in valore reale e duraturo. Possiamo concludere dicendo che oltre la digital transformation, quando cala il sipario e si guarda al backstage, ciò che si scopre sono sempre le persone.

Foto di Gabriele Sandrini


Point of view

Intervista a Mattia Pontacolone CEO di Coolidea – Gruppo Altea Federation: Co-formazione, AI e partnership


Brother – Digital Transformation e Printing Security

CRIF – La digital sovereignty nel finance

Formula – Carioca: l’innovazione digitale come leva strategica di crescita





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