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L’espansione della Turchia in Somalia: tra cooperazione e neoimperialismo


Negli ultimi anni la Somalia è divenuta uno spazio di estrema rilevanza per la proiezione esterna della Turchia in Africa. L’espansione in tale Paese ha permesso ad Ankara di coniugare le proprie strategie di sicurezza con le proprie ambizioni geopolitiche globali, ottenendo un avamposto fondamentale per poter consolidare la propria influenza nella regione del Corno d’Africa. La penetrazione della Mezzaluna in Somalia si è gradualmente innestata su una strategia di cooperazione bilaterale con il governo di Mogadiscio, il quale, non essendo in grado di esercitare la sovranità su tutto il territorio, è stato progressivamente inglobato nell’orbita neo-imperiale turca. Fornendo supporto politico, militare ed economico, nel tempo Ankara ha intensificato sempre di più la propria presa sul fragile Stato somalo.

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Gli inizi del partenariato: la cooperazione umanitaria

L’Africa è tornata nella sfera di interesse turca dall’inizio del nuovo millennio. Dopo la caduta dell’Impero Ottomano, che per secoli esercitò il proprio dominio sulla fascia settentrionale del continente, la Repubblica di Turchia decise di volgere lo sguardo principalmente verso l’Europa e, a partire dalla seconda metà del Novecento e in maniera progressiva, verso il Medio Oriente. Con l’avvento al potere di Erdoğan, Primo Ministro dal 2003 e Presidente dal 2014, la Turchia ha intrapreso una politica di apertura verso l’Africa con l’obbiettivo di espandere la propria influenza nel continente. La Somalia, in particolare, è divenuta uno dei suoi maggiori partners strategici sin dal 2011, quando il Reis visitò la capitale Mogadiscio durante la grave crisi causata dalla siccità che aveva colpito il paese. 

Il governo anatolico diede così il via a una massiccia operazione umanitaria fornendo aiuti alla popolazione in difficoltà e finanziando diversi progetti di sviluppo. Tra questi è possibile citare la ristrutturazione di un importante ospedale di Mogadiscio, ribattezzato Erdoğan Hospital, la realizzazione di diverse infrastrutture pubbliche, progetti in ambito educativo e il contributo turco con 2,4 miliardi di dollari alla riduzione del debito nazionale somalo. Protagonista di tale operazione di state-building è stata l’agenzia governativa turca TİKA (Türk İşbirliği ve Koordinasyon İdaresi Başkanlığı, “Agenzia turca di cooperazione e coordinamento”) che, fondata nel 1992 per sostenere inizialmente la cooperazione con i paesi turcofoni e promuoverne lo sviluppo, ha esteso il proprio impegno anche in altre aree del globo.

La “diplomazia dello sviluppo” ha consentito ad Ankara di assumere un ruolo privilegiato rispetto agli altri attori esterni ivi presenti, tra cui gli Emirati Arabi Uniti e gli Stati Uniti, potendo contare su un approccio apparentemente anticoloniale e basato su relazioni di tipo win-win. Ciò le ha consentito di approfondire questa forma di cooperazione umanitaria traghettandola verso una dimensione sempre più militare ed economica.

La cooperazione politico-militare: sicurezza e diplomazia

Dal 2017, grazie allo stabilimento della base TURKSOM nella capitala somala, la Mezzaluna è riuscita a consolidare la propria presenza militare. La base è divenuta uno dei principali centri per l’addestramento delle forze armate somale: il campo può ospitare circa 1500 allievi e a partire dal 2023 circa 5000 soldati locali hanno completato il corso. L’apparato militare somalo è divenuto sempre più strutturalmente dipendente dalla Turchia. Quest’ultima, infatti, continua a fornire loro armi, veicoli blindati e supporto logistico e di intelligence: per esempio, negli scorsi mesi sono stati messi a disposizione dell’Areonautica somala tre elicotteri da combattimento T129 Atak, oltre a due elicotteri utility per la Marina. In tal modo, Ankara ha potuto rafforzare la propria posizione di garante della – fragile – stabilità regionale nel Corno d’Africa, affermandosi come mediatrice credibile e neutrale. La diplomazia turca adotta un approccio pragmatico e flessibile, spogliato di qualsivoglia narrativa moralistica, che punta sulla cooperazione paritaria e promuove il dialogo tra le parti.

Uno dei dossiers più spinosi affrontati da Ankara riguarda il Somaliland, regione nel nord della Somalia che ha dichiarato unilateralmente la secessione nel 1991 e che il governo di Mogadiscio continua a considerare parte integrante del proprio territorio, seppur incapace di esercitare alcuna forma di controllo su tale area. Nel gennaio 2024 il governo del Somaliland ha concluso un accordo con l’Etiopia, bramosa di ottenere uno sbocco sul mare e ridurre la propria dipendenza dai porti di Gibuti. Grazie all’intesa, Addis Abeba ha ottenuto in prestito il porto di Berbera sul Mar Rosso in cambio di un riconoscimento – per ora informale – dell’indipendenza del Somaliland. Ciò non ha fatto che alimentare le già presenti tensioni regionali, offrendo ad Ankara la possibilità di intervenire e mediare tra le parti

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L’11 dicembre 2024 Etiopia e Somalia raggiunsero un accordo grazie all’intervento turco al fine di superare le dispute. Tuttavia, dopo pochi mesi di negoziazioni il processo di normalizzazione delle relazioni si è arenato. La proposta somala di cogestione di uno dei porti sull’Oceano Indiano (che avrebbe coinvolto anche aziende turche) è stata respinta dall’Etiopia. Ciò è avvenuto a causa di preoccupazioni logistiche sollevate dalla presenza di milizie fondamentaliste lungo il nuovo corridoio infrastrutturale che avrebbe dovuto collegare i due Paesi. Inoltre, Addis Abeba insiste sulla necessità di un accesso sovrano al mare per stabilire una base navale, condizione inaccettabile per Mogadiscio.

Nonostante tutto, la questione prioritaria di sicurezza per la Turchia rimane la lotta al terrorismo. Il gruppo jihadista di Al-Shabaab, affiliato ad Al-Qaeda, continua, infatti, a destabilizzare il territorio somalo e negli ultimi mesi ha intensificato le proprie attività. In risposta a tale offensiva, Ankara ha dispiegato quasi 500 soldati, raddoppiando il personale militare di stanza in Somalia. Nonostante mostri una postura alquanto assertiva, il governo di Erdoğan non appare intenzionato a intervenire direttamente, preferendo supportare l’esercito somalo grazie alla fornitura di droni armati come i Bayraktar TB2 o gli Akinci. Questi ultimi risultano notevolmente efficaci contro i gruppi terroristici in quanto consentono alle forze somale, prive di un’aviazione efficiente, di colpire i covi dei terroristi in modo rapido e preciso, riducendo la dipendenza dai raid dei partner occidentali. Tale strategia permette anche di valorizzare e fornire visibilità all’industria bellica turca in un banco di prova operativo. Inoltre, nella base TURKSOM vengono addestrati i commandos Gorgor, forze speciali impegnate in prima linea nella guerra contro le milizie fondamentaliste. 

La cooperazione economica: infrastrutture, spazio ed energia

La cooperazione nell’ambito della difesa si affianca alla collaborazione in campo economico, sempre più approfondita. Grazie a diversi accordi, Ankara si è progressivamente assicurata il controllo di diversi asset strategici dell’economia somala: diverse imprese turche hanno infatti ottenuto concessioni di lungo periodo senza gara per poter gestire le infrastrutture chiave, tra cui il porto e l’aeroporto di Mogadiscio. Il controllo degli snodi logistici risulta pertanto fondamentale per esercitare una leva politico-economica sul governo locale.

Parallelamente, è in fase di costruzione una base per il lancio di satelliti e missili presso la capitale somala. D’altronde, la vicinanza geografica all’equatore del nuovo spazioporto consentirebbe ad Ankara di ridurre i costi e migliorare l’efficienza dei lanci. Il progetto, una volta completato, potrà essere utilizzato sia per scopi civili che militari, per testare le capacità tecnologiche turche nell’ambito spaziale.

Oltre a ciò, la Mezzaluna ambisce a mettere le mani sulle risorse energetiche somale presenti nel sottosuolo e nei fondali off-shore. Già nel 2016 i due Paesi siglarono un Memorandum d’Intesa, poi ratificato nel 2020, che sancì il diritto della Turchia di esplorare e, in futuro, sfruttare i giacimenti di petrolio e gas naturale, consolidando la partnership tra i rispettivi enti nazionali incaricati di gestire la cooperazione energetica, la Somali Petroleum Authority (SPA) e la TPAO. Le attività di esplorazione turche al largo delle coste somale, nelle acque dell’Oceano Indiano e del Golfo di Aden, hanno attirato però le preoccupazioni di altri attori presenti nella regione, tra cui il Kenya che da anni rivendica un tratto della costa meridionale della Somalia. Al fine di proteggere le proprie attività estrattive, il governo anatolico ha iniziato a sostenere lo sviluppo della marina militare somala, addestrandone il personale e assicurandogli un equipaggiamento efficace. Il supporto è rilevante soprattutto per le operazioni antipirateria e antisabotaggio e per il contrasto alla pesca illegale e allo scarico di rifiuti tossici. In tal modo Ankara è in grado di tutelare la propria posizione in un’area marittima altamente contesa.

A conferma di ciò, nel febbraio 2024 è stato siglato un nuovo accordo di difesa comune tra i due Paesi dalla durata di dieci anni che ha assegnato alla Turchia benefici e vantaggi decisivi per espandere la propria influenza. In cambio dell’assistenza alla marina somala, soprattutto nel pattugliamento della costa, Ankara otterrà il 30% degli introiti provenienti dallo sfruttamento dalle risorse della Zona Economica Esclusiva (ZEE) somala.

Un nuovo modello di cooperazione?

La Somalia costituisce perciò un avamposto strategico che la Turchia può sfruttare come punto di partenza per proiettare potere nel resto dell’Africa Orientale ed estendere la propria influenza in tutto il continente, ridisegnandone completamente gli equilibri geopolitici. Per poter raggiungere tale scopo, non può esimersi dal competere coi propri rivali che hanno interessi simili nella regione, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita tra tutti, senza dimenticare le ambizioni dell’Egitto, bramoso anch’esso di rafforzare la partnership con la Somalia in funzione anti-etiope.

Ankara ha saputo sfruttare la fragilità di un territorio per anni dilaniato dalla guerra civile e trascurato dalle altre potenze, in primis occidentali, inserendosi gradualmente e costruendo nel tempo una piattaforma chiave integrata, caratterizzata da un’incisiva penetrazione economica, militare, politica e – non meno importante – culturale. La Mezzaluna combina strumenti di hard e soft power per consolidare a lungo termine la propria influenza sulla società somala, investendo sull’attrattività del proprio modello sociopolitico. Ne è un esempio il forte interesse turco nei confronti del settore dell’istruzione: molti giovani somali hanno ricevuto borse di studio per studiare in Turchia e allo stesso tempo quest’ultima ha finanziato diversi istituti e programmi educativi rafforzando la propria presenza nel campo della formazione. L’obbiettivo è produrre consenso nella popolazione, soprattutto nelle fasce più giovani, e plasmare una futura classe dirigente somala filoturca.

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La visione politica di Ankara, tuttavia, è ancora più ampia. La sua ambiziosa strategia persegue la promozione di un modello di cooperazione alternativo a quelli proposti da Pechino e dall’Occidente, il cosiddetto “Ankara Consensus”, fondato su un intreccio di supporto militare, investimenti infrastrutturali, progetti di sviluppo, e vantaggi politico-diplomatici per gli Stati partners. Tale progetto si innesta in una prospettiva globale a carattere multipolare nella quale la Mezzaluna cerca un proprio spazio di autonomia, pur perseverando nel proprio approccio di politica estera multivettoriale basato sul dialogo attivo con diversi attori, tra cui gli alleati NATO, la Cina e la Russia. Nonostante tutto, tale paradigma di cooperazione avanzata rischia di perdere il carattere anticoloniale che la Turchia pretende di rispettare. Dietro la facciata del partenariato su base paritaria si nasconde probabilmente un progetto “neo-ottomano” con connotazioni neoimperialiste. Le relazioni turco-somale hanno ormai assunto tratti fortemente asimmetrici, quasi di vassallaggio: come si può osservare infatti, la cooperazione winwin si è tradotta in un’influenza egemonica strutturale sulla società, sull’economia e sulle deboli istituzioni somale. È probabile, quindi, che nel breve e medio periodo questa forma di controllo possa intensificarsi, alimentando la dipendenza di Mogadiscio dalla Turchia, specialmente per ciò che concerne la propria sicurezza. Tuttavia, ciò dipenderà anche dalla capacità dei rivali di Ankara di ostacolare i suoi progetti.





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