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ISPI. “Mediterraneo allargato” e conseguenze economico-finanziarie della nuova instabilità regionale voluta da Trump « LMF Lamiafinanza


Mediterraneo allargato e seconda amministrazione Trump 

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A sei mesi dall’insediamento della seconda amministrazione Trump, le tensioni nel Mediterraneo allargato sono tornate ad alimentare instabilità politica e volatilità economica in un’area già segnata da profonde fratture. L’undicesimo numero del “Focus Mediterraneo allargato” dell’ISPI, redatto per l’Osservatorio di Politica Internazionale del Parlamento e della Farnesina, offre una chiave di lettura aggiornata che intreccia analisi geopolitica e impatto economico-finanziario. In particolare, l’approccio aggressivo dell’amministrazione Trump nei confronti dell’Iran e la ripresa degli attacchi congiunti USA-Israele stanno rimodellando l’architettura di sicurezza della regione, influenzando mercati, flussi energetici e strategie di investimento.

La “guerra dei 12 giorni”: effetti diretti e indiretti

Il breve ma intenso conflitto che ha coinvolto Israele, Stati Uniti e Iran — definito dalla stampa “la guerra dei 12 giorni” — ha avuto un impatto immediato su diversi fronti. Dal punto di vista finanziario, si è registrata un’impennata del prezzo del petrolio, che ha superato per alcuni giorni la soglia psicologica dei 100 dollari al barile. Questa dinamica, guidata da timori di interruzione delle forniture attraverso lo Stretto di Hormuz, ha rafforzato i profitti delle economie esportatrici del Golfo, ma ha penalizzato i paesi importatori netti, in primis Libano, Tunisia ed Egitto, già alle prese con pressioni inflazionistiche e ampie diseguaglianze socioeconomiche.

In Iran, le nuove sanzioni imposte da Washington hanno colpito in particolare i settori bancario e petrolifero, aggravando una crisi valutaria che vede il rial in costante perdita di valore. Le riserve valutarie della Banca centrale iraniana sono diminuite, limitando la capacità del Paese di sostenere l’importazione di beni essenziali. Secondo l’ISPI, la contrazione del PIL iraniano nel primo semestre del 2025 potrebbe aver superato il 4%, compromettendo ulteriormente la stabilità interna, già minata da proteste sociali ricorrenti.

Siria e Libano: tra ricostruzione, debiti e aiuti internazionali

Nel contesto siriano, il sostegno crescente della comunità internazionale si sta traducendo in un aumento degli impegni finanziari per la ricostruzione. Tuttavia, l’afflusso di fondi rimane frammentato e subordinato a condizioni politiche tra cui la tutela delle minoranze e la riduzione dell’influenza iraniana nel Paese, il che rallenta l’effettiva implementazione dei progetti. La Banca Mondiale stima che solo il 12% delle risorse necessarie per la ricostruzione siano state effettivamente mobilitate. L’incertezza continua a scoraggiare gli investimenti privati, mentre le imprese locali affrontano una cronica mancanza di liquidità.

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In Libano, la crisi valutaria e l’insostenibilità del debito pubblico continuano a rappresentare un grave ostacolo alla ripresa. Il ritorno delle tensioni regionali ha portato a un nuovo declassamento del rischio paese da parte delle principali agenzie di rating. La lira libanese ha toccato nuovi minimi storici, mentre il settore bancario resta congelato e incapace di svolgere la sua funzione di intermediazione finanziaria. Nonostante i tentativi di riforma promossi dal Fondo Monetario Internazionale, il contesto politico frammentato rallenta qualsiasi forma di consolidamento fiscale.

Nord Africa e Sahel: linee di frattura e nuovi equilibri

La seconda amministrazione Trump ha finora mostrato scarso interesse nel mediare i delicati equilibri tra le potenze del Nord Africa, lasciando un vuoto che altre potenze, in primis Russia, Turchia e Cina, stanno cercando di colmare. In Tunisia e Algeria, la crescente incertezza geopolitica si riflette in un calo degli investimenti diretti esteri, mentre la dipendenza da importazioni energetiche rende queste economie vulnerabili a shock esogeni. La crisi libica, lungi dall’essere risolta, continua ad avere ricadute economiche regionali, con flussi migratori e traffici illeciti che condizionano le economie di confine.

Nel Sahel, l’instabilità cronica e la penetrazione di gruppi jihadisti stanno mettendo sotto pressione i bilanci pubblici, costringendo gli Stati a deviare risorse dallo sviluppo alle spese militari. Questo squilibrio incide negativamente sulle prospettive di crescita economica, peggiorando le condizioni di vita e alimentando il rischio di fallimenti statali. L’assenza di un piano multilaterale efficace per la stabilizzazione e lo sviluppo economico dell’area continua a rappresentare una grave lacuna nella strategia occidentale.

La strategia Trump e le implicazioni finanziarie globali

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha segnato una discontinuità nella politica estera statunitense, con una rinnovata enfasi sull’unilateralismo e sulla “massima pressione” nei confronti dei nemici tradizionali. Sul piano finanziario, ciò si è tradotto in una maggiore volatilità nei mercati emergenti del Mediterraneo e in un riallineamento delle rotte di capitale verso aree percepite come più sicure. L’effetto domino riguarda non solo il settore energetico, ma anche quello delle infrastrutture, del credito internazionale e dell’assistenza allo sviluppo.

Mentre gli Stati Uniti sembrano focalizzati sulla deterrenza più che sulla diplomazia, cresce lo spazio di manovra per attori alternativi: Cina e Russia stanno rafforzando la loro presenza attraverso strumenti finanziari più flessibili, come il credito infrastrutturale e gli swap valutari bilaterali, in una logica di “realpolitik” economica.

La nuova stagione di instabilità nel Mediterraneo allargato, accelerata dalla politica mediorientale della seconda amministrazione Trump, rischia di compromettere le fragili dinamiche di ripresa economica in una vasta area che va dal Levante al Sahel. Gli shock finanziari e le incertezze geopolitiche riducono la capacità di attrarre capitali, aggravano i divari regionali e alimentano un circolo vizioso tra fragilità politica ed esclusione economica. In assenza di un approccio multilaterale coerente, la polarizzazione tra potenze potrebbe tradursi in un’ulteriore marginalizzazione economica dei paesi più deboli del Mediterraneo allargato



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