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Intelligenza artificiale, ecco le nuove geografie del potere


L’intelligenza artificiale non è più soltanto una tecnologia abilitante, è diventata il cuore di una trasformazione globale che coinvolge la geopolitica, l’economia, il lavoro e la società. Il nuovo rapporto AI 2025 dell’Osservatorio Permanente sull’Adozione e l’Integrazione dell’Intelligenza Artificiale (AI2) dell’Aspen Institute Italia si presenta come una bussola per leggere il presente e orientare il futuro, in un contesto dove la velocità dell’innovazione spesso supera la capacità dei sistemi politici e produttivi di adattarsi.

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Tre modelli in competizione nella geografia del potere AI

Il documento parte da una fotografia geopolitica lucida e aggiornata che mette in evidenza come l’adozione dell’AI rifletta non solo priorità tecnologiche ma visioni divergenti di sviluppo economico, sicurezza e sovranità.

Approccio Usa

Negli Stati Uniti, l’approccio è fortemente orientato al mercato: consorzi privati come Stargate, frutto della sinergia tra OpenAI, Oracle e SoftBank con l’appoggio diretto della Casa Bianca, stanno catalizzando investimenti colossali, fino a 500 miliardi di dollari in quattro anni, per costruire un’infrastruttura AI nazionale che punti su innovazione rapida, leadership globale e vantaggi competitivi nei settori strategici.

Approccio Cina

La Cina, invece, rappresenta il modello opposto: l’iniziativa statale domina, inquadrata nel New Generation AI Development Plan. Il Partito-Stato guida direttamente la ricerca e lo sviluppo, integrando imprese come Baidu, Alibaba e Tencent in un ecosistema centralizzato, volto a garantire autosufficienza tecnologica, controllo sui dati e primato geopolitico entro il 2030. In questo contesto, l’AI non è solo strumento di efficienza, ma elemento fondante della governance autoritaria e della sorveglianza algoritmica.

Europa

In Europa, si sta delineando una “terza via”, ancora in costruzione, che cerca di mediare tra apertura al mercato, protezione dei diritti fondamentali e difesa della sovranità digitale.  

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L’UE punta a creare un ecosistema “affidabile”, sostenuto da strumenti normativi come l’AI Act, da strategie industriali quali InvestAI e da piani abilitanti come l’AI Continent Action Plan.

L’obiettivo è coniugare standard etici elevati, sicurezza e stimolo all’innovazione, ma restano interrogativi sulla reale capacità dell’Europa di competere sui piani infrastrutturale e finanziario con le altre due superpotenze.

Report Aspen 2025: l’ecosistema AI e i suoi cinque strati

Il report propone una chiave di lettura strutturata e multilivello dell’ecosistema dell’intelligenza artificiale, basata su cinque strati (layer) tecnologici e funzionali, che insieme definiscono la catena del valore globale dell’AI.

Hardware

Il primo strato è rappresentato dall’hardware, in particolare dai semiconduttori e dai chip specializzati per l’AI, come le GPU (Graphics Processing Unit) di NVIDIA o le TPU (Tensor Processing Unit) di Google.

Si tratta di componenti essenziali per l’addestramento e l’inferenza dei modelli AI, oggi concentrati in poche mani e oggetto di forti tensioni geopolitiche, come dimostrano le restrizioni USA all’export verso la Cina e gli investimenti asiatici in produzione nazionale.

Cloud

Il secondo livello riguarda le infrastrutture di cloud computing, che forniscono la potenza di calcolo necessaria per sviluppare e distribuire i modelli AI.

Anche qui la concentrazione è elevatissima: pochi attori globali come Amazon Web Services (AWS), Microsoft Azure e Google Cloud dominano il mercato e stabiliscono di fatto gli standard operativi, ponendo problemi di sovranità tecnologica per tutti gli altri paesi.

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Dati

Il terzo layer è costituito dai dati, la risorsa strategica per eccellenza. La qualità, la varietà e l’accesso ai dataset determinano l’efficacia dei modelli. L’asimmetria nella disponibilità di dati, unita alle barriere normative come il GDPR in Europa o le restrizioni cinesi sui dati sensibili, si traduce in vantaggi competitivi significativi e in tensioni sull’interoperabilità transfrontaliera.

I modelli AI

Il quarto livello è quello dei foundation models, ovvero i grandi modelli pre-addestrati come GPT, LLaMA, Claude o Gemini, che costituiscono le fondamenta cognitive su cui vengono costruite le applicazioni.

La loro produzione richiede enormi risorse computazionali , team multidisciplinari e capitali consistenti, elementi che stanno concentrando la capacità di innovazione in pochi centri globali. Infine, il quinto strato riguarda le applicazioni verticali dell’AI, declinate in ambiti settoriali: sanità, finanza, pubblica amministrazione, manifattura, cultura. È in questo livello che si misura l’impatto diretto dell’AI sulla vita quotidiana e sulla produttività dei sistemi socio-economici.

Ogni layer rappresenta un nodo strategico e la distribuzione del potere tra gli attori che li controllano definisce le nuove gerarchie economiche globali. L’Europa, attualmente in posizione subordinata nei primi tre strati, punta a rafforzare la propria presenza attraverso iniziative regolatorie (AI Act), industriali (InvestAI) e infrastrutturali (AI Continent Action Plan), cercando di costruire una posizione autonoma e coerente con i propri valori fondanti.

Lavoro e competenze: un equilibrio instabile per il report Aspen 2025

Tra i settori maggiormente scossi dall’ondata di innovazione guidata dall’intelligenza artificiale, il lavoro occupa una posizione centrale. Il rapporto AI 2025 Aspen evidenzia come non ci si trovi di fronte a una distruzione massiva e lineare dell’occupazione, bensì a un rimescolamento profondo e stratificato delle competenze.

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Le trasformazioni non agiscono in modo uniforme: colpiscono selettivamente settori, mansioni e fasce demografiche, accentuando in molti casi divari già esistenti. Il cambiamento è duplice, da un lato, si osserva la progressiva automatizzazione delle attività più ripetitive, predicibili e routinarie, comprese quelle di natura cognitiva, come la redazione di testi standardizzati, l’elaborazione di report, o la gestione base di flussi informativi. Dall’altro, emergono nuove professioni ibride, in cui le competenze tecniche dialogano con soft skill come pensiero critico, gestione della complessità e capacità di interazione con sistemi intelligenti.

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La criticità più acuta non è rappresentata dalla quantità dei posti di lavoro, ma dal disallineamento, lo “skills mismatch“, tra le competenze richieste e quelle effettivamente disponibili nel sistema formativo e produttivo. Questo mismatch ha una forte componente temporale e generazionale: mentre la domanda evolve rapidamente sotto la spinta dell’AI, l’offerta formativa e le traiettorie professionali spesso arrancano. Il rapporto cita una pluralità di fonti, da Daron Acemoğlu al World Economic Forum, per argomentare che solo una strategia strutturale sul lifelong learning potrà colmare il divario. Si tratta di superare il modello educativo lineare, formazione iniziale, lavoro, pensione e abbracciare una logica di apprendimento permanente, capace di adattarsi ai cicli rapidi dell’innovazione.

Per far questo è necessario, aggiungiamo noi, un reskilling anche dei formatori e del ruolo della formazione in azienda.

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Modelli avanzati per le competenze

Alcuni paesi stanno già sperimentando modelli avanzati: Singapore con SkillsFuture, un programma nazionale che assegna crediti formativi spendibili lungo tutto l’arco della vita; la Finlandia, dove il sistema educativo è flessibile, localmente governato e interconnesso con imprese e comunità; i Paesi Bassi, che puntano sull’educazione diffusa e sull’apprendimento contestuale.

In Italia, pur esistendo iniziative rilevanti, come il Fondo Nuove Competenze, gli enti bilaterali e il Piano Nazionale Scuola Digitale, manca ancora un’integrazione sistemica tra politiche formative, innovazione industriale e governance territoriale.

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L’AI richiede che le imprese si trasformino in ambienti di apprendimento continuo, capaci di valorizzare il capitale umano come leva di resilienza e crescita. Il rischio, se non affrontato con visione e investimenti mirati, è quello di una polarizzazione crescente tra lavoratori ad alta qualificazione e quelli più vulnerabili, con effetti di esclusione sociale e marginalizzazione professionale. Il lavoro, come la scuola, diventa il campo di battaglia su cui si giocherà l’equità del futuro digitale.

Livelli di adozione dell’AI: tra entusiasmo di principio e frattura strutturale

Il rapporto AI 2025 Aspen offre un quadro dettagliato e disilluso sullo stato dell’adozione dell’intelligenza artificiale in Italia, mettendo in evidenza una frattura crescente tra il livello di consapevolezza strategica e la reale implementazione operativa.

I dati, raccolti attraverso un’indagine condotta su un campione di 54 imprese italiane, una consultazione empirica, non rappresentativa in senso statistico, rivolta a un target qualificato di aziende italiane, mostrano come l’AI sia ampiamente riconosciuta come leva potenziale di trasformazione, ma solo in rari casi tradotta in progettualità concrete e scalabili.

Poche aziende hanno già integrato soluzioni AI nei propri processi core; molte restano ferme a una fase di esplorazione preliminare, limitandosi a proof of concept isolati o a iniziative sperimentali affidate a unità marginali rispetto all’organizzazione. L’adozione effettiva risulta concentrata in settori ad alta intensità digitale come ICT, finanza e servizi professionali, mentre comparti come la manifattura, l’agroalimentare o i servizi pubblici evidenziano ritardi significativi.

Le barriere principali non sono solo tecnologiche o economiche, ma culturali e organizzative: mancanza di competenze interne, assenza di una governance dell’innovazione, difficoltà a individuare casi d’uso ad alto valore aggiunto. Inoltre, molte imprese faticano a individuare figure capaci di fungere da “traduttori” tra il linguaggio tecnico dell’AI e i bisogni strategici del business.

Il report sottolinea un disallineamento marcato tra la visione strategica, che spesso include l’AI nei documenti di piano industriale, e la capacità concreta di adottarla in modo sistemico. Solo una piccola parte delle imprese valuta sistematicamente l’impatto dell’AI su processi, ruoli e modelli di business. Ancora più rara è l’adozione accompagnata da percorsi strutturati di change management, misurazione del valore generato e ridefinizione dei meccanismi decisionali.

Questa frattura rischia di consolidare un AI divide interna al tessuto produttivo italiano: da un lato, poche imprese leader capaci di capitalizzare il potenziale trasformativo dell’AI; dall’altro, una vasta maggioranza che rischia di restare ai margini, esposta a perdita di competitività e dipendenza tecnologica. La sfida non è solo colmare un gap tecnologico, ma costruire un’infrastruttura abilitante fatta di competenze, alleanze, strumenti finanziari e visione industriale. Solo così l’AI potrà diventare una leva concreta di innovazione diffusa e sostenibile.

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Sostenibilità, ma quale?

La relazione evidenzia come l’AI possa svolgere un ruolo chiave nella promozione della sostenibilità ambientale, economica e sociale, ma sottolinea al tempo stesso la complessità e le contraddizioni insite nel suo impiego. In particolare, i modelli predittivi basati sull’AI possono contribuire all’ottimizzazione delle risorse naturali, alla riduzione degli sprechi e all’efficienza energetica in molteplici settori: dall’agricoltura di precisione, che consente un uso mirato di fertilizzanti e irrigazione, fino alla gestione dei flussi logistici e alla manutenzione predittiva delle infrastrutture critiche.

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Nel campo dell’energia, l’AI è in grado di supportare la transizione verso fonti rinnovabili attraverso sistemi intelligenti di gestione della rete elettrica, previsione della domanda, e bilanciamento dei carichi. Analogamente, in ambito urbano, può facilitare l’evoluzione verso smart cities più resilienti e meno impattanti sul piano ambientale, grazie a un monitoraggio continuo della qualità dell’aria, del traffico e dei consumi. La stessa AI presenta un’impronta ecologica non trascurabile.

L’addestramento dei grandi modelli linguistici richiede una potenza di calcolo elevatissima, che si traduce in consumi energetici significativi e, se alimentati da fonti non rinnovabili, in emissioni di CO₂ rilevanti. Inoltre, il funzionamento quotidiano di applicazioni AI su larga scala implica un continuo ricorso a data center energivori, la cui distribuzione geografica e alimentazione impattano direttamente sull’equilibrio climatico globale. Il report invita dunque a un approccio integrato e circolare, che tenga conto del ciclo di vita energetico delle soluzioni AI, dall’addestramento alla dismissione.

Serve una politica industriale orientata alla sostenibilità by design: incentivi per l’adozione di modelli più leggeri ed efficienti, uso crescente di fonti energetiche rinnovabili per alimentare l’AI infrastructure, promozione di standard ambientali per i data center. Senza questo bilanciamento strategico tra potenziale trasformativo e footprint ambientale, il rischio concreto è che l’AI contribuisca ad aggravare le crisi ecologiche invece di mitigare le vulnerabilità sistemiche che si propone di affrontare.

Una governance multilivello, urgente e globale

Dal punto di vista etico e normativo, la sfida cruciale che emerge dal rapporto Aspen AI 2025 è quella di prevenire una deriva verso la deresponsabilizzazione, causata da una delega cognitiva cieca ai sistemi intelligenti.

L’espressione “Sistema 0”, elaborata da Massimo Chiriatti e Giuseppe Riva, descrive un paradigma in cui l’intelligenza artificiale agisce come protesi cognitiva esterna, capace di fornire risposte efficienti ma priva di reale comprensione e intenzionalità. In tale scenario, l’essere umano rischia di ridurre la propria funzione a quella di esecutore passivo, rinunciando alla dimensione critica e deliberativa.

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Il rapporto richiama l’attenzione sui rischi strutturali dell’adozione massiva dell’AI senza adeguate salvaguardie, l’opacità dei processi decisionali automatizzati (black box), la possibilità di discriminazioni algoritmiche basate su dati distorti o incompleti, l’erosione della privacy, e, in prospettiva, l’impoverimento delle capacità cognitive individuali e collettive. La concentrazione del potere tecnologico in pochi attori, pubblici o privati, amplifica il rischio di disuguaglianze e di marginalizzazione delle comunità meno attrezzate a comprendere, controllare o utilizzare le nuove tecnologie.

Per far fronte a queste criticità, il rapporto propone una governance multilivello e interdisciplinare, che combini competenze tecniche, giuridiche, filosofiche e democratiche. Non si tratta solo di introdurre norme, ma di costruire un’infrastruttura etica e istituzionale capace di assicurare trasparenza, accountability e rispetto dei diritti fondamentali. In questo senso, l’AI Act europeo rappresenta un tentativo importante, ma ancora parziale, di rispondere a queste sfide. La sua efficacia dipenderà dalla capacità di armonizzarsi con altri ordinamenti e dalla definizione di standard comuni su auditing algoritmico, gestione del rischio, responsabilità dei soggetti coinvolti e protezione dei dati. Senza una convergenza internazionale su questi temi, il rischio concreto è quello di una frammentazione normativa, che non solo ostacola l’innovazione responsabile ma acuisce i divari tra aree geopolitiche, generando asimmetrie di potere, insicurezza giuridica e nuove forme di esclusione sociale e tecnologica.

Quattro scenari secondo Aspen

Il rapporto AI 2025 di Aspen non si limita a diagnosticare. Propone una traiettoria ambiziosa e insieme necessaria: governare l’AI vuol dire costruire un nuovo patto tra innovazione e società, tra tecnologia e valori, tra algoritmi e responsabilità collettive. La posta in gioco non è soltanto la competitività economica o la leadership tecnologica, ma la qualità della convivenza civile e la tenuta dei diritti fondamentali in una società sempre più automatizzata.

Per affrontare questa sfida è necessario un salto di paradigma: servono visioni politiche coraggiose, investimenti pubblici e privati in ricerca e formazione, riforme sistemiche nei modelli educativi e nei processi decisionali, nonché alleanze strategiche tra stati, imprese, università e cittadini. In un’ottica di foresight e design thinking, proviamo a costruire quattro scenari partendo dal rapporto di Aspen.

Scenario 1 – AI civica e diffusa: grazie a una governance multilivello, l’AI viene progressivamente integrata nei processi democratici e partecipativi. I cittadini accedono a strumenti intelligenti per comprendere, deliberare e incidere sulle decisioni pubbliche. L’educazione civica digitale è parte integrante della scuola e della formazione continua. Le tecnologie AI sono progettate con logiche di open innovation e auditabilità pubblica.

Scenario 2 – AI oligarchica e estrattiva: la concentrazione del potere tecnologico in pochi attori globali produce un ecosistema chiuso, inaccessibile e dominato da logiche estrattive. I dati sono sottratti ai cittadini senza contropartite, le piattaforme impongono standard e norme de facto. Le disuguaglianze si accentuano e il ruolo dei governi si riduce a quello di regolatori impotenti o collusi.

Scenario 3 – AI sostenibile e integrata: l’AI diventa strumento chiave per la transizione ecologica e sociale. Ogni soluzione è valutata in base al proprio impatto ambientale, sociale e cognitivo. Vengono creati indicatori per la sostenibilità delle infrastrutture AI, e promosse architetture leggere, decentralizzate e alimentate da fonti rinnovabili. Il concetto di “sostenibilità by design” diventa criterio guida per tutta la filiera tecnologica.

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Scenario 4 – AI latente e sistemica, basato sui segnali deboli presenti nel report. Lo scenario arricchisce la prospettiva foresight sottolineando l’emergere di forme di AI distribuite, invisibili ma strutturanti e apre interrogativi su trasparenza e agency umana in un contesto ambientale automatizzato.

Solo muovendosi in una direzione sistemica, fondata sulla capacità di anticipazione e co-progettazione del futuro, l’AI potrà diventare una tecnologia davvero generativa anche sul piano sociale, culturale e democratico.



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