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Dazi, levata di scudi dell’agroalimentare italiano. “Nel 2026 calo dell’export fino al 40%” – Virtù Quotidiane


Cronaca 15 Lug 2025 10:54

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foto Ansa

ROMA – Il dazio del 30% imposto dagli Stati Uniti su un’ampia gamma di prodotti europei, tra cui molti simboli dell’agroalimentare italiano, rappresenta per il mondo produttivo un serio colpo all’economia nazionale.

Secondo un’elaborazione di ReportAziende.it, condotta su dati Istat-Comext ed Eurostat aggiornati al 2024, l’Italia esporta verso gli Usa oltre 70 miliardi di dollari all’anno (circa 63 miliardi di euro). Di questo volume, oltre 30 miliardi di euro sono riferibili ai comparti direttamente colpiti dai dazi. Le prime stime indicano che l’effetto immediato dell’applicazione della tariffa potrebbe tradursi in una perdita diretta fino a 9 miliardi di euro mentre considerando anche le conseguenze su filiere, marginalità, investimenti e consumi la forchetta complessiva stimata si colloca tra 18 e 22 miliardi di euro nel biennio 2025–2026.

Settori più vulnerabili

I settori maggiormente interessati comprendono il farmaceutico con circa il 18 % dell’export italiano di medicinali e preparazioni è diretto negli Usa (pari a?13,7 miliardi di dollari su 75 miliardi di dollari totali di settore), la meccanica generale con il 6,8 % del valore del comparto, l’automotive con il 5,5 % dell’export nazionale e il 14,7 % dell’export globale del settore, le macchine industriali con un’esposizione tra il 5,0 % e il 6,8 %, il vino e bevande con un 4,4 % dell’export italiano pari al 22,7 % dell’export mondiale di settore, la moda e la pelletteria con il 3,2 % dell’export nazionale e il 9,1 % di quello globale, i mobili e l’arredamento pari al 2,5 % dell’export italiano e al 14 % di quello globale, i metalli e l’acciaio con una quota di export verso Usa prossima al 7 %, l’elettronica medicale con il 2,6 % delle esportazioni mondiali di settore.

Impatto territoriale e occupazionale

La “mappa del rischio” di ReportAziende.it evidenzia un’incidenza più forte nel Nord Italia, dove si concentrano le produzioni verso gli Usa, in particolare Lombardia (Milano, Brescia, Mantova) pharma, meccanica, moda, formaggi; Emilia-Romagna (Parma, Modena, Reggio) agroalimentare Dop, automotive; Veneto (Treviso, Verona, Vicenza) occhialeria, vino, moda, salumi; Toscana (Firenze, Arezzo, Siena) vino Doc, moda, gioielleria; Piemonte (Torino, Cuneo) componentistica auto, meccanica di precisione, agroalimentare. Secondo le stime, il 75 % dell’impatto occupazionale si concentrerà nel Nord Italia, con una perdita potenziale tra 115.000 e 145.000 posti di lavoro a livello nazionale e oltre 25.000 posti a rischio in Emilia-Romagna.

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Effetti sui prezzi interni

Le difficoltà a smaltire le scorte e l’aumento dei costi di produzione potrebbero tradursi in un +10 % medi dei prezzi al consumo nei settori colpiti, a partire dal primo trimestre 2026, in particolare per formaggi Dop, salumi e olio Evo, vini premium e Doc, abbigliamento e calzature di fascia medio-alta.

Cronoprogramma degli effetti

Agosto–settembre 2025: stock precauzionali e nuove trattative commerciali.

Quarto trimestre?2025: piena applicazione dei dazi con riduzione dei margini e cancellazioni di ordini.

2026: calo dei volumi fino al 40?% in agroalimentare, meccanica e moda; rischio di abbandono del mercato Usa da parte di molte Pmi.

Risposta europea

A livello europeo si valutano contromisure su whiskey, automotive e prodotti tech, insieme a strumenti straordinari di sostegno per le imprese.

“L’obiettivo non è creare allarmismo, ma fornire uno strumento tecnico per pianificare strategie di adattamento e supporto alle Pmi più esposte,” dichiara il team di Analisi Economico Finanziarie di ReportAziende.it.

L’indagine si basa sui dati ufficiali Istat, Comext ed Eurostat del biennio 2023–2024. Documento completo disponibile su richiesta per istituzioni, associazioni di categoria e media.

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Le reazioni

Il mercato statunitense – ricorda Federdoc – costituisce uno dei più importanti e strategici sbocchi per le esportazioni italiane di vino, con un valore che nel 2024 ha superato i 2 miliardi di euro. L’introduzione di tariffe doganali aggiuntive rischia di penalizzare gravemente le nostre imprese, già impegnate nel mantenimento di elevati standard qualitativi, e di mettere a rischio l’intera filiera produttiva, che coinvolge migliaia di operatori e contribuisce in modo significativo allo sviluppo socioeconomico delle comunità rurali italiane.

I vini a denominazione d’origine non sono solo prodotti commerciali, ma portatori di una storia, di tradizioni secolari, di metodi produttivi sostenibili e di un forte legame con il territorio. Essi rappresentano un patrimonio culturale e ambientale che contribuisce a valorizzare l’immagine e la reputazione dell’Italia nel mondo.

In questa fase di grande incertezza, si registra già una riduzione degli ordinativi da parte degli importatori statunitensi, timorosi dell’impatto che i dazi potrebbero avere sui costi finali e sulla competitività del prodotto.

Per questo, Federdoc sollecita il Governo italiano e le istituzioni europee a intensificare il dialogo con le autorità statunitensi, per trovare soluzioni condivise che evitino l’applicazione di misure tariffarie penalizzanti. La cooperazione internazionale e la diplomazia commerciale devono prevalere, al fine di tutelare un settore vitale per l’economia e la cultura italiane.

Federdoc conferma la propria disponibilità a collaborare con tutte le parti coinvolte per salvaguardare il futuro dei vini a denominazione d’origine e delle comunità che li producono, convinta che solo attraverso un impegno condiviso sia possibile garantire la continuità di un patrimonio di qualità riconosciuto a livello globale.

Di “duro colpo per il settore vitivinicolo italiano” parla la Federazione italiana vignaioli indipendenti (Fivi) guidata Rita Babini, che ha scritto al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida.

“Il mercato statunitense rappresenta il primo mercato per l’export vitivinicolo italiano, per tutte le tipologie di aziende, dalle più grandi a quelle di dimensioni più esigue. Quelle verticali lavorano spesso in aree di montagna e di collina, in quelle aree interne che contribuiscono a mantenere vive, con costi di produzione significativamente più alti. Serve quindi un impegno diplomatico per una soluzione negoziale che possa scongiurare l’imposizione di nuovi dazi, ma al contempo bisogna avviare fin da subito una riflessione a livello europeo per costruire soluzioni strutturali e durature, dall’attivazione di un intervento di promozione intracomunitaria ad accordi commerciali con altri Paesi, ma anche alleggerendo il carico burocratico delle aziende”, si legge nella nota dell’associazione che rappresenta oltre 1.800 aziende agricole verticali in tutta Italia.

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“Davanti alla possibilità di dazi fino al 30% sui prodotti agroalimentari italiani, incluso il vino, serve una reazione concreta e orientata al futuro. È inutile piangersi addosso: va vista come l’occasione per accelerare una nuova strategia di export, che punti su mercati alternativi e più stabili”, dice Giovanni Busi, presidente del Consorzio Vino Chianti docg.

“Apprezziamo l’orientamento dell’Unione Europea ad aprire una trattativa con gli Stati Uniti, mercato fondamentale per il vino italiano, senza innescare una guerra di dazi e controdazi – spiega Busi – ma non possiamo continuare a rincorrere gli annunci che arrivano da Oltreoceano e che cambiano ogni giorno. Serve una visione più ampia e strutturata”.

“Sud America, Asia e Africa rappresentano oggi rotte fondamentali per il futuro del vino italiano – prosegue Busi – e l’accordo tra Unione Europea e Mercosur può diventare una leva reale per lo sviluppo del nostro comparto”.

“Mercati come Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay – continua il presidente del Consorzio Vino Chianti – offrono grandi margini di crescita per un vino come il Chianti, simbolo della tradizione, della qualità e dei territori italiani”.

“Anche in Asia registriamo segnali positivi – sottolinea Busi – con una domanda crescente in paesi come Cina, Giappone, Vietnam e Thailandia: dobbiamo essere presenti in modo strutturato, con promozione e distribuzione mirate”.

“Non vanno trascurate Africa e India – aggiunge il presidente del Consorzio Vino Chianti – aree in cui il consumo di vino sta cominciando a diffondersi e dove possiamo posizionarci con prodotti di alta qualità e forte identità culturale”.

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“Se da una parte è importante evitare il muro contro muro con gli Usa – conclude Busi – dall’altra è nostro compito costruire nuove opportunità. L’export del vino italiano ha bisogno di mercati diversificati e di una strategia europea solida, capace di accompagnare le imprese in un mondo che cambia”. ?

Per Italia del Gusto – il consorzio fondato nel 2006 da Giovanni Rana, che rappresenta 37 brand con un fatturato aggregato di 25 miliardi di euro e 55mila dipendenti – è una misura di fatto punitiva e strategicamente miope. Il provvedimento, aggravato dalla svalutazione del dollaro, rischia di compromettere l’accesso al mercato statunitense e di tradursi in aumenti significativi dei prezzi per i consumatori americani.

Il Made in Italy agroalimentare è il risultato di filiere industriali avanzate, costruite su qualità, tracciabilità e continuità nei rapporti internazionali. Non si tratta di un settore di nicchia, ma di un sistema che genera occupazione, reputazione e competitività, anche oltre i confini nazionali.

“Non è in discussione solo l’export italiano – afferma il Consorzio Italia del Gusto – ma un equilibrio economico che ha prodotto valore concreto su entrambe le sponde dell’Atlantico. I nostri prodotti sono parte integrante di una filiera americana che va dalla logistica alla distribuzione, dalla ristorazione alla cultura alimentare. Rompere questa catena significa danneggiare anche l’economia statunitense”.

Secondo il Consorzio, gli effetti rischiano di essere amplificati dal contesto macroeconomico: ai dazi si aggiungono i riflessi negativi del cambio e le tensioni sui costi. Per alcuni segmenti chiave, i rincari al consumo potrebbero superare il 40%, con un rallentamento della domanda e una corsa al ribasso nei canali distributivi: margini ridotti, sostituzione del prodotto originale, diffusione di imitazioni di bassa qualità. A pagarne il prezzo sarebbe l’intero sistema, non solo l’Italia.

Italia del Gusto chiede che l’Unione Europea agisca con compattezza, puntando su un’azione diplomatica solida e su una strategia industriale lucida. Serve una voce autorevole che tuteli le filiere strategiche con realismo e competenza. Il Made in Italy ha costruito la sua forza grazie a trasparenza, innovazione e affidabilità: è questa la postura da difendere.

“Difendere il Made in Italy oggi significa proteggere un’economia reale fatta di imprese, lavoro e visione industriale. Non è solo una questione di export: è una questione di credibilità, di coerenza e di civiltà economica – conclude Italia del Gusto – . Il Consorzio continuerà ad affermare la centralità della qualità italiana sui mercati globali, sostenendo con determinazione le imprese che ogni giorno la rendono possibile. In un tempo che chiede coerenza, non slogan, il Made in Italy merita politiche solide, fondate su ciò che il Paese sa esprimere meglio: eccellenza, cultura e fiducia”.

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