L’annuncio dell’amministrazione statunitense sull’introduzione di dazi doganali al 30% verso i prodotti provenienti dall’Unione Europea può rappresentare un punto di svolta per gli equilibri commerciali globali, con effetti, certamente, significativi sulla nostra economia nazionale.
L’Italia, storicamente tra i Paesi europei più legati al mercato americano, vede un’esposizione diretta su questa misura: oltre 64 miliardi di euro esportati verso gli USA nel 2024, con crescita del 42% rispetto al 2019, sottolineano la centralità dello Stato americano come partner economico.
Questo scenario pone interrogativi importanti sulla capacità di reazione del comparto industriale e agroalimentare italiano e sul potenziale impatto sociale.
La decisione di dazi al 30% da parte di Trump, se dovesse diventare realtà dal 1 Agosto, come annunciato dalla lettera inviata all’Ue, sarebbe davvero una combinazione a dir poco esplosiva, soprattutto considerando i rischi connessi sia per la competitività delle imprese sia per consumatori e lavoratori.
Impatto dei dazi sui settori chiave del Made in Italy
Il Made in Italy trova tradizionalmente riconoscimento negli USA per l’elevato valore aggiunto.
I dazi colpiscono in maniera selettiva ma ampia: secondo i dati Istat, 3.300 aziende risultano direttamente vulnerabili, con una concentrazione nei comparti agroalimentare, farmaceutico e meccanico.
Il settore agroalimentare, dagli oli extravergini ai vini e ai formaggi DOP, rischia rincari delle tariffe anche fino al 45% cumulando l’effetto della nuova misura con i dazi già esistenti.
Le proiezioni di Svimez mostrano possibili riduzioni dell’export fino al 16,4% per agroalimentare, chimica e farmaceutica, mentre la moda e l’arredamento evidenziano una maggiore resilienza con diminuzioni previste attorno al 2,6%.
Il comparto vinicolo italiano subisce un rischio particolarmente elevato. Coldiretti stima per le cantine nazionali costi aggiuntivi di quasi 6 milioni di euro al giorno.
L’incidenza settoriale dipende dalla destinazione extra-UE: il 39% delle esportazioni di bevande e il 30,7% di autoveicoli e prodotti farmaceutici sono diretti verso il mercato americano.
In tabella sono sintetizzati i comparti più esposti:
Settore | Quota export verso USA (%) |
Bevande | 39 |
Autoveicoli | 30,7 |
Farmaceutica | 30,7 |
Alimentare | 21,8 (per la Toscana) |
Moda | 21,5-51,6 (Emilia-Romagna, Toscana) |
Le ricadute si differenziano anche per area geografica: Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana segnano i volumi assoluti maggiori, mentre Sardegna, Molise e Sicilia risultano più vulnerabili per una minore diversificazione produttiva e una forte dipendenza dal mercato americano su singole filiere.
Effetti sulle aziende e sulle PMI italiane: rischi, tenuta e strategie di risposta
La nuova politica tariffaria americana colpisce in modo particolare le PMI (piccole e medie imprese), che nel periodo 2024-2025 hanno realizzato circa 17,8 miliardi di euro di export verso il mercato statunitense. Per molte microimprese, spesso specializzate nella produzione di nicchia o di eccellenza, aumentano i timori sull’erosione dei margini di redditività e sulla sostenibilità delle operazioni commerciali con l’estero.
Facendo solo alcuni numeri a livello regionale, si può sottolineare:
- Lombardia: 4.419 milioni di export PMI, con predominanza nel settore moda (45,5%)
- Veneto: 3.094 milioni, trainati da gioielleria e occhialeria (56%)
- Toscana: 2.943 milioni, moda (51,6%) e alimentare (21,8%)
Confartigianato sottolinea che queste realtà hanno, comunque, dimostrato elevata flessibilità e adattamento negli anni, ma ci riusciranno anche questa volta?
Certamente, vista in una ottica di crescita, la maggiore esposizione ai rincari tariffari delle imprese italiane ai dazi Usa dovrà imporre ancora di più riflessioni sulla necessità di diversificare i mercati e incrementare innovazione e sostenibilità produttiva, volendola vedere in maniera positiva.
Un altro spiraglio postivo, lo lasciano intravedere i dati della Cgia di Mestre che indicano, anche considerando la vulnerabilità, che la quota delle esportazioni verso gli USA incide in media solo per il 5,5% del fatturato totale delle aziende esportatrici, mentre la marginalità operativa resta mediamente al 10%, lasciando margini per eventuali strategie di contenimento dei prezzi finali e ricalibrazione dei piani commerciali.
Dazi, cittadini e consumatori: ricadute economiche e possibili sviluppi negoziali
L’imposizione di un balzello del 30% sui prodotti italiani in arrivo oltreoceano non coinvolge unicamente le filiere produttive, ma si riflette anche nello scenario socio-economico nazionale e internazionale.
Federalimentare e Coldiretti rimarcano che l’aumento dei costi di accesso per beni iconici del Made in Italy ricade anche sui consumatori americani, potenzialmente incoraggiando fenomeni come l’italian sounding e l’acquisto di prodotti alternativi non autentici.
Coldiretti stima che il danno sulle famiglie statunitensi e sull’agroalimentare italiano possa superare i 2,3 miliardi di euro. In parallelo, la possibilità che le imprese statunitensi decidano di rivolgersi a fornitori interni o extra-UE rischia di rimettere in discussione la leadership qualitativa dei prodotti made in Italy nel mercato globale.
Ma, la vera posta in gioco riguarda la tenuta delle catene di approvvigionamento transatlantiche e l’equilibrio dei mercati interni sopratutto quello europeo, e a cascata l’italiano.
Un’eventuale chiusura del mercato americano alle esportazioni dell’Unione Europea produrrebbe, infatti, effetti asimmetrici, considerando anche la struttura qualitativa delle esportazioni italiane: il 43% delle stesse, secondo Banca d’Italia, ha un posizionamento di alta gamma e si rivolge a una clientela ad alto reddito, potenzialmente meno sensibile agli aumenti, il che mitiga – ma non elimina – i rischi di contrazione dei volumi.
Molto più forti sarebbero le ripercussioni per gli italiani. Le ricadute si farebbero sentire anche sui cittadini americani, ma non in maniera così forte, come abbiamo appena scritto, rispetto potenzialmente ai danni per i cittadini italiani che sarebbero potenzialmente di 2 tipologie.
La prima, riguardante il mercato del lavoro, in quanto una contrazione degli scambi con gli Usa portebbe molte imprese a rivedere le proprie strategie anche a livello di personale, limitando le nuove assunzioni, congelando le carriere e promozioni, ma anche procedendo a licenziamenti se non nel peggiore dei casi a chiusure.
La seconda, sarebbero i problemi derivanti dall’aumento di numerosi prezzi di prodotti importati direttamente o indirettamente dagli Usa come l’elettronica, l’informatica, i servizi digitali e numerosi prodotti industriali, nonchè alcuni agroalimentari.
Rimane quindi centrale il tema della negoziazione, con la prospettiva di una soluzione che possa salvaguardare competitività e accessibilità dei prodotti italiani, tutelando cittadini, filiere strategiche e i principi di un commercio internazionale equo e regolato.
E proprio per questo, la Commissione Europea ha confermato in queste ore una strategia bilanciata ed equilibrata con il mantenimento del dialogo, apertura al confronto bilaterale e adozione di misure proporzionate di risposta in caso di mancata soluzione negoziale.
Palazzo Chigi supporta questa impostazione, sostenendo la necessità di evitare una spirale di tensioni commerciali che danneggerebbe entrambe le sponde dell’Atlantico
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link