“Dedalo è un laboratorio permanente che ha la missione di comprendere a fondo le cause che spingono tanti giovani a uscire dai percorsi scolastici, formativi e lavorativi. Ma non solo: Dedalo vuole anche mappare e dare visibilità alle buone pratiche già attive sul territorio e stimolare iniziative efficaci di prevenzione e reintegro…”
Dopo la presentazione del 9 luglio alla Camera dei deputati la sento entusiasta, dottor Dionigi Gianola, vicepresidente della Fondazione Gi Group e Strategic Selling Director Gi Group Holding Italia…
“Guardi, lo sono perché Dedalo è l’esito di un impegnativo lavoro ed è un progetto unico nel suo genere. Lo abbiamo fortemente voluto come Fondazione Gi Group, in partnership con l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, in collaborazione con ZeroNeet – il programma di contrasto al fenomeno dei Neet promosso da Fondazione Cariplo – e Fondazione Compagnia di San Paolo”
Avete costruito un progetto che ha una forte valenza digitale. Nel senso che l’osservatorio/laboratorio è una piattaforma che mette a disposizione online strumenti e dati.
“Abbiamo voluto costruire uno strumento di lavoro adatto alla contemporaneità. Dedalo è un portale interattivo, dove mettiamo a disposizione una vera e propria biblioteca digitale sul mondo NEET: banche dati nazionali e regionali, analisi approfondite, interpretazioni e sintesi dei dati, raccolte di buone pratiche.”
Quale obiettivo perseguite?
“Vogliamo offrire uno spazio condiviso per istituzioni, scuole, terzo settore, famiglie, università, aziende, per ridurre nel tempo fortemente il numero di ragazzi e di ragazze che non studiano e nemmeno lavorano.”
Al netto del fattore morale, che pure ha la sua importanza, anche solo per mero calcolo data la glaciazione demografica l’Italia non può permettersi di sprecare neanche un giovane…
“Come ha detto la nostra presidente Chiara Violini, “non possiamo permetterci di continuare a lasciare “soli”, ai margini del mondo dello studio e del lavoro, più di due milioni di giovani, dilapidando il potenziale delle nuove generazioni a scapito non solo della loro realizzazione di vita ma anche delle possibilità di sviluppo e benessere dell’intero Paese.”
Durante la presentazione, avete illustrato anche un vostro studio. Cosa emerge da questa prima indagine a cura di Dedalo?
“Attraverso un approccio multidimensionale – supportato dal contributo scientifico di alcuni tra i maggiori esperti di politiche del lavoro e demografia in Italia e dalle elaborazioni di ODM Consulting – il nostro studio introduce una nuova classificazione dei NEET, basata su un’elaborazione originale dell’indagine ISTAT “Forze di Lavoro” e sulla metodologia Eurofound. Questo ci ha permesso di leggere il fenomeno con una profondità mai raggiunta prima, cogliendo sfumature fondamentali. Ad esempio, emerge con forza la presenza di giovani “scoraggiati”: oltre l’11% del totale, di cui il 9,5% è convinto che non riuscirà mai a trovare un lavoro.”
Quali sono le altre evidenze significative?
“Abbiamo osservato differenze sostanziali per genere ed età. Le donne risultano NEET in larga parte per responsabilità familiari (oltre il 20%), mentre tra gli uomini prevale la disoccupazione di lungo periodo. E poi c’è una progressione con l’età: tra i 15-19 anni troviamo NEET “in transizione”, tra i 20-24 anni aumentano i disoccupati e gli scoraggiati, e nella fascia 30-34 anni le responsabilità familiari diventano prevalenti.”
In pratica, un labirinto. Per questo avete scelto Dedalo, come nome del laboratorio, il grande architetto della mitologia greca costruttore del labirinto del Minotauro, a Creta.
“È così, perché non esiste una sola tipologia di giovane che non studia e non lavora. Alcuni esempi. C’è chi è disoccupato di lungo periodo (14%), chi per motivi familiari, come volere più tempo per la famiglia o aspettare un figlio (13,1%), chi è in attesa di risposte da ricerche di lavoro passate (12,4%). Oppure c’è chi è NEET per motivi di cura familiare (11,8%) o chi è scoraggiato (11,2%) e pensa di non riuscire a trovare un lavoro in generale o di non riuscire a trovare un lavoro adeguato alle proprie esigenze.”
Per affrontare con efficacia la questione, è evidente che sia necessario sviluppare azioni sia in ottica di prevenzione sia di reintegro nella società. A tal proposito, voi avete anche mappato delle buone pratiche. In modo coerente con il nome del progetto, avete chiamato questa mappatura “Il filo di Arianna” Cosa avete scoperto?
“In Italia non esisteva fino a oggi una raccolta di progetti che permettesse di far conoscere oltre i confini locali le buone pratiche di intervento, Fondazione Gi Group ha avviato un’operazione di sistematizzazione delle progettualità lanciate sui territori, con riferimento nello specifico a quelle di reintegro.”
Questo mi sembra un buon punto di metodo. È lo stesso che pratichiamo alla Fondazione Pensiero Solido con il progetto Economia Circolare delle Competenze: raccontare chi già pratica un proficuo rapporto tra le generazioni, affinché possa essere di esempio per altri. Che risultati ha prodotto la vostra mappatura?
“Ad oggi abbiamo individuato 20 iniziative di successo che si fondano su un’idea comune: riattivare i giovani, renderli consapevoli delle proprie capacità, desideri e valori. Per farlo servono reti solide e professionisti con background diversificati, dagli educatori ai peer educator, dai link worker agli assistenti sociali.”
E quali sono, invece, le criticità emerse?
“La prima è la mancanza di un sistema centrale che mappi le realtà locali da coinvolgere: scuole, università, aziende. Poi c’è il problema del reperimento di figure professionali “informali” come i peer educator, che spesso vengono escluse dai bandi per mancanza di titoli riconosciuti. Ci sono anche ostacoli nella relazione con le famiglie, che in alcuni casi scoraggiano la partecipazione ai percorsi. Infine, c’è il problema della precarietà economica e del lavoro sommerso, che spesso diventa un’alternativa più immediata rispetto a un progetto strutturato.”
In conclusione, a partire dal vostro studio e dalla vostra esperienza, avete presentato alle istituzioni e a tutti gli stakeholder cinque proposte per supportare in modo sistemico i giovani nel loro percorso verso il lavoro e la realizzazione di sé…
“Proponiamo cinque azioni per un intervento sistemico. Primo, un vero sistema duale scuola-lavoro. Secondo, rafforzare l’orientamento precoce, anche con sostegni economici per i giovani più fragili. Terzo, investire sull’istruzione terziaria e sull’apprendimento permanente. Quarto, avviare percorsi di reinserimento multistakeholder, supportati da strumenti come cohousing, incentivi e servizi di mobilità. E infine, serve un sistema di dati continuo che segua il percorso individuale delle persone, per poter davvero prevenire la dispersione.”
C’è un grande lavoro da fare, che riguarda in primo luogo la responsabilità di noi adulti verso i giovani…
“È così e questo senso di responsabilità è da sempre ciò che caratterizza Gi Group. Dedalo è per noi un passaggio fondamentale nel nostro impegno per il “Lavoro Sostenibile”: un lavoro che generi valore per le persone e per la società, promuovendo coesione sociale e sviluppo. Non possiamo più permetterci di lasciare ai margini milioni di giovani. Il nostro impegno è dare loro strumenti, fiducia e prospettive concrete.”
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