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10 nuove Startup Factories per rivoluzionare l’economia tedesca entro il 2030


La Germania punta a diventare una delle principali fabbriche di innovazione d’Europa. Con un investimento pubblico-privato multimilionario, il governo tedesco ha annunciato la nascita di 10 “Startup Factories”, hub regionali ad alta densità tecnologica progettati per far emergere migliaia di nuove imprese entro la fine del decennio. L’ambizione è chiara: trasformare le eccellenze accademiche tedesche in motori concreti di crescita economica e imprenditoriale.

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Il progetto è il risultato del concorso “Startup Factories”, lanciato nel febbraio 2024 dal Ministero Federale per l’Economia e l’Azione per il Clima (BMWK)

Il progetto è il risultato del concorso “Startup Factories”, lanciato nel febbraio 2024 dal Ministero Federale per l’Economia e l’Azione per il Clima (BMWK), con l’obiettivo di selezionare cinque-dieci hub da integrare stabilmente nel tessuto industriale e universitario tedesco. Oggi, quella visione si concretizza con l’assegnazione dei fondi a dieci realtà che rappresentano un’alleanza strategica tra università, investitori e imprese locali.

Il modello UnternehmerTUM: quando l’università diventa impresa

Le Startup Factories si ispirano a un modello che ha già dato prova di efficacia: UnternehmerTUM, il laboratorio imprenditoriale del Politecnico di Monaco (TUM). Solo nel 2023, le startup supportate da questa struttura hanno raccolto oltre 2 miliardi di euro in investimenti, generato 120 nuove imprese e coinvolto 17mila partecipanti nei suoi programmi di formazione imprenditoriale.

Solo nel 2023, le startup supportate da questa struttura hanno raccolto oltre 2 miliardi di euro in investimenti, generato 120 nuove imprese e coinvolto 17mila partecipanti nei suoi programmi di formazione imprenditoriale.

Il segreto del successo? Una stretta collaborazione con università, fondi di venture capital (come UVC Partners) e aziende industriali del territorio. Questo ecosistema integrato rappresenta il punto di riferimento per il nuovo piano nazionale, che mira a riprodurre quel modello su scala nazionale.

10 Startup Factories, 126 Università, 114 Partner industriali

Tra i vincitori del bando troviamo nomi come Unite (Berlino), Zoho Factory (Baviera), Factory BSA e Bryck Startup Alliance (Renania Settentrionale-Vestfalia), Boost (Sassonia) e altri cinque hub in varie regioni del Paese. Insieme, coinvolgono ben 126 università e istituti di ricerca, oltre a 114 partner industriali.

Il governo tedesco investirà fino a 10 milioni di euro per ciascuna factory nell’arco di cinque anni. A questi si aggiungono 110 milioni di euro raccolti da investitori privati, portando il budget iniziale del progetto a cifre rilevanti.

Ogni Startup Factory ha l’obiettivo di generare, entro il 2030, almeno 1.750 nuove startup all’anno. Un traguardo ambizioso, se si considera che nel 2024 l’intera Germania ha visto la nascita di circa 2.700 startup. Se il piano avrà successo, si assisterà a un vero e proprio raddoppio del tasso di natalità imprenditoriale.

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Startup Factories come entità indipendenti e imprenditoriali

Un aspetto chiave del progetto è la forma giuridica delle factory: non sono entità accademiche, ma GmbH (società a responsabilità limitata) indipendenti. Operano quindi fuori dalla burocrazia universitaria e sono guidate da logiche tipiche dell’impresa: raccolta fondi, sviluppo di clienti, validazione del mercato.

Helmut Schönenberger, CEO di UnternehmerTUM e membro della giuria che ha selezionato i progetti vincitori.

“Le factory devono essere esse stesse imprenditoriali,” sottolinea Helmut Schönenberger, CEO di UnternehmerTUM e membro della giuria che ha selezionato i progetti vincitori. “Devono sapere come acquisire clienti e come fare business. Bisogna praticare ciò che si predica.”

Molte di queste strutture stanno già avviando fondi di investimento pre-seed propri. È il caso di Zoho Factory, che ha lanciato il proprio fondo Zoho.VC. La disponibilità immediata di capitali nelle fasi iniziali è vista come un “gamechanger” da Schönenberger, perché permette di finanziare startup promettenti prima che attirino i grandi capitali istituzionali.

Un processo che rafforza anche chi non vince

Il valore del progetto va oltre i vincitori. Le startup factory che non hanno superato la selezione finale hanno comunque beneficiato del processo. Per partecipare, ogni team ha dovuto creare un concept completo, costruire partnership locali e dimostrare la sostenibilità finanziaria del progetto.

“Non si trattava solo di scrivere un bel documento,” spiega Schönenberger. “Si trattava di unire le forze con il proprio ecosistema regionale, e questo ha liberato un enorme potenziale.” In media, ogni ecosistema ha raccolto circa 20 milioni di euro, una cifra significativa anche per chi non ha ricevuto fondi statali.

Verso una nuova cultura imprenditoriale

Il termine “Gründerzeit” usato da Schönenberger richiama l’epoca d’oro dell’imprenditoria tedesca del XIX secolo, quando l’industria tedesca conobbe un’espansione senza precedenti. Oggi, la Germania vuole replicare quella dinamica, ma nel contesto dell’economia dell’innovazione, digitale e sostenibile.

I numeri sembrano confermare una nuova tendenza. Secondo la German Startups Association, nei primi sei mesi del 2025 sono nate 1.500 nuove startup, con un incremento del 9% rispetto al secondo semestre del 2024.

L’idea è che, strutturando in modo stabile e professionale il passaggio dall’università al mercato, si possa finalmente superare uno dei principali limiti storici dell’ecosistema tedesco: la difficoltà di trasformare la ricerca in impresa.

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Cosa può imparare l’Italia dal modello tedesco

Il caso tedesco offre spunti concreti anche per il contesto italiano, dove spesso le eccellenze accademiche faticano a tradursi in iniziative imprenditoriali. L’adozione di modelli indipendenti, capaci di attrarre capitali privati e collaborare attivamente con aziende e università, potrebbe rappresentare una chiave di volta per rilanciare il sistema startup nazionale. Troppo spesso, eccellenti atenei italiani sono ostaggio di illustri professoroni che hanno perso qualunque contatto con la realtà e si preoccupano soprattutto di come attrarre fondi pubblici di ricerca e fare inutili pubblicazioni autoreferenziali, piuttosto che di come quel lavoro possa davvero risultare utile al mercato reale, alle aziende e agli studenti.

Fonte: Sifted



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