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Perché l’Ucraina sta diventando il cuore della difesa europea


Il processo di adesione dell’Ucraina all’Ue è ancora bloccato per mano dell’Ungheria di Viktor Orbán. Al Consiglio europeo di giugno, per la seconda volta, gli altri ventisei Stati membri hanno dovuto firmare un documento a parte per reiterare il loro impegno a sostenere Kyiv nella sua resistenza all’aggressione russa e aprire la prima fase dei negoziati di adesione. Una contorsione politica che non rispecchia la situazione sul campo, perché l’integrazione è già pienamente in corso in ambiti delicatissimi come quello della difesa.

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Negli ultimi tre anni l’Ucraina è passata dall’essere un semplice beneficiario di aiuti occidentali a un partner essenziale per il resto d’Europa. Anzi, sotto diversi aspetti è già il fondamento della prossima architettura di sicurezza europea. Non si tratta solo delle sue forze armate; le nuove aziende ucraine, giovani, agili e innovative, sono emerse come un modello per le controparti occidentali. Ecco perché, in un’Europa che si riarma per affrontare un mondo instabile, l’integrazione di Kyiv ha assunto una rilevanza completamente nuova.

Verso un nuovo rapporto Occidente-Ucraina

L’Ucraina oggi possiede la più grande forza armata sul suolo europeo dopo quella russa, la quinta a livello globale, temprata da tre anni di conflitto ad alta intensità contro una superpotenza militare. A inizio 2025 il presidente Volodymyr Zelensky parlava di 980.000 membri, quattro volte tanto l’esercito francese, il prossimo in classifica. Il dato non sfugge ai Paesi Ue, che nel documento adottato al Consiglio ribadiscono che le capacità militari ucraine sono una “componente essenziale” dell’approccio “pace attraverso la forza”.

I leader europei hanno ripreso il concetto da Donald Trump, protagonista assoluto del vertice Nato dell’Aja, chiuso il giorno prima che i Ventisette si riunissero a Bruxelles. Il presidente statunitense è notoriamente avverso alla presenza e al sostegno militare Usa ai Paesi europei, Ucraina inclusa, anche se ha appena riavviato l’invio di aiuti dopo i tentennamenti della Casa Bianca. Sull’incontro in Olanda aleggiava la paura che Washington decidesse di non occuparsi più della sicurezza del Vecchio continente. Lo strappo non c’è stato, e Trump è tornato in patria soddisfatto per aver spinto gli alleati ad aumentare drasticamente i loro contributi all’Alleanza.

La conclusione principale di quel vertice è appunto il famoso 5%, ma la rivoluzione è nei dettagli. Nel documento uscito dal vertice Nato la parola “Ucraina” compare solo due volte; i riferimenti sono stati diluiti rispetto agli anni scorsi per non scontentare Trump. Tuttavia, gli alleati riconoscono esplicitamente che la sicurezza dell’Ucraina contribuisce alla loro, “e, a tal fine, includeranno i contributi diretti verso la difesa dell’Ucraina e la sua industria della difesa nel calcolo della spesa per la difesa”. Legando a doppio filo Kyiv e le sue aziende allo sviluppo della sicurezza europea.

Le ragioni del “modello danese”

Quella di investire direttamente nel comparto della difesa ucraino è una pratica avviata dalla Danimarca a cui guardano con interesse altri Paesi europei. Dando il via alla presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, la premier danese Mette Frederiksen ha parlato esplicitamente del successo del “modello danese”, mentre la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha ricordato che gli Stati membri possono ricorrere ai 150 miliardi di euro previsti dallo strumento Safe per indirizzarli verso le aziende ucraine. “I prodotti sono migliori, più intelligenti, più economici e arrivano più velocemente [sul campo]. Quindi è anche a nostro vantaggio”, ha evidenziato, riferendosi al fatto che la soluzione aiuta anche le aziende occidentali a superare il paradosso che le attanaglia: sofisticazione senza massa.

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L’esempio per eccellenza è l’industria della difesa statunitense. Da Washington arriva il 43% delle esportazioni globali di armi, ma nel corso dei decenni è passata dal produrre equipaggiamento in quantità (per sostenere le guerre degli anni Quaranta e Sessanta) a fabbricare pochi armamenti, estremamente sofisticati. Lo racconta l’Economist, evidenziando che questo cambiamento ha spinto le aziende Usa a consolidarsi (29.000 nel 2022 contro le 42.000 del 2000) e specializzarsi, tanto che molte sono l’unico fornitore di un certo componente. Tutto questo pesa sulla velocità di produzione: oggi fabbricare la maggior parte dei sistemi d’arma richiede almeno un anno, uno e mezzo per un caccia, due per i missili a lunga gittata. Ed è quasi impossibile convertire rapidamente una linea di produzione esistente per fabbricare un nuovo prodotto.

Innovazione frugale

Questi tratti, riscontrabili in altri Paesi occidentali, non sono validi per l’Ucraina. Quando la Russia l’ha invasa a febbraio 2022, l’82% dell’industria bellica era in mano allo Stato, che produceva il 90% dell’equipaggiamento ucraino. Ma dal 2023 il Paese ha assistito alla crescita meteorica di nuove aziende private, che hanno conquistato il 58% dell’industria, ignorando le vecchie fabbriche sovietiche su cui si appoggiavano le aziende statali e creando nuove linee produttive in piccoli capannoni. La capacità produttiva nazionale è esplosa, passando da 1 miliardo di dollari nel 2022 a 35 miliardi nel 2024 e arrivando a coprire il 40% delle armi utilizzate dalle forze armate del Paese.

Per l’ex ministro della Difesa Oleksii Reznikov si tratta del “più grande laboratorio militare del pianeta”, una Silicon Valley composta da “ricercatori e ingegneri geniali in garage sparsi per il Paese”. “Quello che potrebbe richiedere mesi o anni di sviluppo, collaudo e produzione in Occidente qui richiede solo settimane”, ha spiegato un funzionario delle Forze armate ucraine coinvolto nei processi produttivi a Foreign Policy. “Siamo il miglior campo di prova al mondo perché gli errori qui significano morte: possiamo dirvi molto rapidamente come il vostro prodotto funziona o non funziona sul campo di battaglia”. Una premessa tanto cinica quanto attraente per il riarmo di un’Europa che in difesa spende più della Russia in termini assoluti (anche se non in termini di potere d’acquisto) e ha bisogno di efficientare i propri processi produttivi.

I droni sono diventati la specialità ucraina per eccellenza. Nel 2024 le aziende ucraine ne hanno prodotti 2,2 milioni, il 95% di quelli utilizzati dalle forze armate. Il numero, che già supera l’intera produzione europea, è destinato a crescere nel 2025. I droni FPV (con visione in prima persona) sono responsabili per l’80% delle perdite russe e stanno ridefinendo i paradigmi del combattimento moderno. Ma Kyiv è riuscita a incrementare anche la produzione di proiettili d’artiglieria (da 50.000 nel 2022 a 2,4 milioni nel 2024), triplicare quella dei veicoli corazzati, e far partire quella di obici, fabbricandone dieci al mese, stando all’Economist. E l’implementazione di intelligenza artificiale, metodi di guerra cibernetica e sistemi autonomi nelle operazioni belliche procede a ritmi che l’industria occidentale può solo invidiare.

La via europea verso Kyiv

L’interconnessione industriale è già in corso, anche se lontano dai riflettori, complice anche il fatto – reiterato dai leader europei – che circa il 40% della capacità industriale bellica ucraina è inutilizzata. Per esempio, stando a Zelensky, la produzione di droni potrebbe quadruplicare se arrivassero i finanziamenti. E secondo la stima del segretario generale della Nato Mark Rutte, il Paese dispone di circa 35 miliardi di capacità produttiva in eccesso. Dal canto loro, le realtà europee iniziano a muoversi: il colosso tedesco Rheinmetall ha già aperto fabbriche in Ucraina, seguito dalla britannica Bae Systems.

La via sembra tracciata. Il Consiglio europeo ha già esortato gli Stati membri ad “accelerare il lavoro per supportare e sviluppare l’industria della difesa ucraina” e “approfondire la cooperazione e l’integrazione” con quella europea. Sia le istituzioni europee che la Nato hanno creato gli strumenti per farlo. Nello scenario che tratteggiano, l’Ucraina e le sue forze armate non solo sono un’estensione dell’apparato di sicurezza europeo, ma anche il centro industriale più naturale per il riarmo del continente. La guerra l’ha trasformata nella prima linea di difesa europea; l’integrazione industriale la sta trasformando nel cuore pulsante di una nuova architettura di sicurezza continentale.



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