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Accordo UE. Secondo Libera, San Marino deve cedere tutto senza ottenere nulla (nemmeno i fondi europei). Seguiamo quello che ha fatto la Svizzera con la UE … di Marco Severini


Il comunicato pubblicato da Libera presenta l’accordo di associazione con l’Unione Europea come una “tappa fondamentale” per il nostro Paese.
Un’apertura al mercato europeo, alle opportunità, alla libertà di circolazione e di commercio. Una specie di panacea che, secondo il partito di Morganti la cui  penna si vede in questo comunicato evocativo e fin troppo ottimista verso la Ue,  ci renderebbe finalmente “uguali” agli altri, liberi di operare, crescere e contare nel contesto continentale.

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

Peccato che questa visione sia profondamente semplicistica, ideologica e distorta se non accompagnata da un’analisi seria dei costi, delle conseguenze e delle criticità reali.

Libera confonde, forse intenzionalmente, l’adesione all’UE con l’associazione al mercato unico europeo. L’adesione è un ingresso pieno nell’Unione, con rappresentanza, potere decisionale e accesso ai fondi strutturali. L’associazione, che è quella di cui discutiamo, invece è una forma ibrida e passiva: si accettano praticamente tutte le regole del mercato unico, ma senza diritto di voto, senza un commissario UE, senza eurodeputati, senza accesso garantito a fondi o investimenti europei. Tutti oneri e nessun vantaggio! Nemmeno i soldi europei come invece fa pensare Libera nel suo comunicato.

In sostanza accettiamo gli obblighi ma non ci viene garantito nulla in cambio. È questo il quadro che nessuno osa mostrare ai cittadini.

L’accordo di associazione dovrebbe disciplinare, oltre ai settori economici e sociali, anche i rapporti istituzionali tra San Marino e Bruxelles.

Ma quella parte essenziale dell’accordo, il nocciolo vero della questione, non è mai stata resa pubblica. Non si sa chi rappresenterà il nostro Stato davanti alle istituzioni UE. Non si sa quali margini di autonomia normativa manterremo, se la manterremo. Non si sa come i nostri organi giudiziari e legislativi riusciranno a reggere l’impatto di centinaia di normative europee, che dovranno essere recepite, comprese, applicate.

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

Chi parlerà con la Commissione? Con quale autorità? Con quali poteri? Chi valuterà le direttive UE che arriveranno?

E soprattutto: come faranno i nostri giudici ad orientarsi dentro una mole normativa mostruosa, che si sovrappone al nostro ordinamento? Si rischia il caos giuridico e amministrativo, un sovraccarico ingestibile che paralizzerà la macchina pubblica e moltiplicherà i contenziosi.

Ma di tutto questo, Libera non parla. Poi chi pagherà tutto questo?

I benefici? Solo per le grandi aziende. E per pochi Libera racconta che le imprese saranno finalmente libere di operare. Ma solo le grandi imprese, quelle strutturate, con studi legali e fiscali internazionali, riusciranno a beneficiare davvero di questo accordo.

Le piccole e medie imprese sammarinesi saranno invece soffocate da una concorrenza interna feroce e spietata, da adempimenti burocratici nuovi, da regole dettate da Bruxelles che difficilmente saranno compatibili con la nostra scala economica.

Il rischio concreto è che il tessuto economico locale venga cannibalizzato, e che a sopravvivere siano solo i grandi gruppi stranieri, agevolati da un contesto più flessibile e normativamente protetto a livello europeo.

L’accordo aprirà anche le porte alla libera circolazione delle persone. Apparentemente una conquista. Ma con quali strumenti di controllo? Con quale capacità di assorbimento?

Il rischio, concreto, è che San Marino diventi un “dormitorio fiscale” per ricchi non residenti, un po’ come quello che voleva fare Banuelos, e Beccari attratti da vantaggi fiscali e residenziali, ma senza alcun legame con il territorio. I cittadini sammarinesi veri si troveranno ai margini: meno case, meno opportunità, più concorrenza, meno peso economico e politico.

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 

Questa prospettiva non è teorica: è già accaduta altrove. E l’accordo di associazione, senza tutele forti e senza visione, può accelerare questo processo irreversibile.

Nessun fondo strutturale. Zero contropartite Libera accenna, quasi come una postilla, alla questione dei fondi strutturali europei. Ma lo dice chiaramente: non sono previsti nell’accordo attuale. Anzi, i negoziatori non hanno nemmeno affrontato il tema. Fantastico!

Eppure, proprio questi fondi sono ciò che renderebbe l’associazione un’opportunità e non solo un pacchetto di obblighi. Ma non avremo un soldo!

Parlare di Europa senza fondi significa semplicemente adattarsi a un sistema più complesso, costoso e vincolante, senza ottenere nulla in cambio. Le imprese e i cittadini pagheranno il prezzo. Le istituzioni lo subiranno. E l’autonomia sarà solo un ricordo, come la bella San Marino di oggi. Solo un semplice bel ricordo. E’ questo che vogliamo?

La parte finale del comunicato di Libera invoca una “campagna informativa chiara e accessibile”. Ma allora ci chiediamo: perché non è stata fatta prima? Anzi è stata fatta ma era talmente faziosa che nessuno ci ha creduto!

Perché ai cittadini non è stato spiegato che tipo di vincoli assumerà San Marino? Che non entreremo in Europa, ma subiremo le sue norme? Che non riceveremo fondi, ma dovremo riscrivere leggi, regolamenti, prassi, sistemi fiscali e giudiziari?

L’accordo, in questa forma e senza garanzie, è un salto nel buio. E chi ne promuove la ratifica senza spiegarlo nei dettagli sta raccontando una favoletta irresponsabile.

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Questa non è una posizione anti-europeista. È una richiesta legittima di verità e autodeterminazione. L’Europa può essere un’opportunità, ma solo se il percorso è trasparente, equilibrato e graduale. Cosa che assolutamente non lo è ora con questo accordo di associazione

San Marino ha già adottato, in modo unilaterale, moltissime normative europee, spesso senza benefici. Prima di sottoscrivere un accordo che cambierà il volto del nostro Paese per sempre, è doveroso aprire un confronto vero, non ideologico, non propagandistico, e soprattutto informare correttamente i cittadini e poi far decidere i cittadini, anche se per qualcuno sono troppo scarsi per comprendere, con un referendum. Fare diversamente e’ solo prepotenza ed e’ calpestare i diritti dei cittadini.

Perché chi oggi firma sulla linea tratteggiata, lo sta facendo alla cieca. E non lo sta facendo per sé. Lo sta facendo per le generazioni future. Che, a quel punto, non potranno più tornare indietro.

Esiste già un modello di relazione efficace tra un piccolo Stato indipendente e l’UE, che non implica l’adesione né la cessione della sovranità a blocchi. Questo modello si chiama Svizzera.

La Svizzera, pur non essendo né membro dell’UE né dell’Area Economica Europea (EEA), ha negoziato una rete di oltre 120 accordi bilaterali, costruiti nel corso di anni e calibrati sulle esigenze nazionali. Ogni accordo è autonomo, settoriale, specifico.

Tra i più rilevanti:

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  • Accordo sulla libera circolazione delle persone
  • Accordo sul trasporto terrestre e aereo
  • Accordo sul reciproco riconoscimento in ambito tecnico (MRA)
  • Accordo sulla partecipazione ai programmi di ricerca e formazione dell’UE (come Horizon e Erasmus)
  • Accordo sulla fiscalità del risparmio
  • Accordo agricolo
  • Accordi doganali specifici

La chiave di volta è che la Svizzera ha mantenuto il pieno controllo del proprio ordinamento giuridico e istituzionale, senza adottare in blocco il diritto europeo. Non esiste alcuna automatica cessione di sovranità. Ogni modifica o aggiornamento passa dal parlamento o, se necessario, da referendum popolari.

La strategia elvetica è chiara: partecipare dove conviene, ma mantenere il diritto di dire no.

Questo consente di:

  • proteggere l’identità istituzionale e giuridica nazionale;
  • evitare l’imposizione di normative estranee alla realtà socio-economica locale;
  • decidere in modo trasparente, con il coinvolgimento dell’opinione pubblica;
  • non dipendere dai meccanismi di arbitrato dell’UE, spesso opachi o sbilanciati.

In altre parole, la Svizzera commercia come un Paese europeo, ma decide come uno Stato sovrano.

Perché San Marino non ha seguito o non può seguire il modello svizzero?

San Marino avrebbe potuto, e ancora potrebbe, intraprendere un percorso di accordi bilaterali specifici, partendo dai settori realmente strategici: dogane, telecomunicazioni, servizi digitali, movimento di persone, professioni, energia, formazione.

Invece, con l’accordo di associazione si è scelto di inglobare tutto in un unico contenitore rigido, senza avere né il peso politico, né la capacità tecnica, né le risorse per gestirlo.

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La conseguenza è che accetteremo tutto, in blocco, senza poter dire no, senza referendum, senza selezione, e con l’obbligo di recepire il diritto europeo anche dove non ci serve o ci danneggia.

Il modello svizzero dimostra che esiste un’alternativa all’adesione ideologica e totalizzante.

Una piccola nazione può restare libera, prospera, connessa all’Europa, senza rinunciare a sé stessa.

San Marino avrebbe potuto fare lo stesso.

E se oggi è ancora in tempo per correggere la rotta, è dovere della politica proporre con coraggio una via più razionale e meno sottomessa.

Una via fatta di accordi mirati, trasparenti, reversibili, valutati uno per uno.

Perché la sovranità non si baratta in blocco. Si costruisce, trattato dopo trattato. Come ha fatto la Svizzera.

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Ma questi politici, ove alcuni schifano i cittadini sammarinesi ritenendoli incapaci di capire,  faranno i nostri e gli interessi di San Marino?  Ne dubito.

Marco Severini – direttore GiornaleSM



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