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UE-USA: la spada di Damocle dei dazi


Analisi Nelle prossime settimane potrebbe chiudersi l’estenuante negoziato tra UE e USA sui dazi introdotti da Trump lo scorso aprile, messi in pausa per 3 mesi fino alla scadenza del 9 luglio, ora prolungata al 1° agosto.

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L’URGENZA DI UN ACCORDO

La tensione è certamente alta. La scadenza del 9 luglio è stata estesa: ora il 1° agosto è la data X, a partire dalla quale, in mancanza di accordo, si ritornerà ai “livelli precedenti”.
Al momento, sui prodotti europei che entrano negli USA sono in vigore tre tipi di dazi: uno del 10% che colpisce circa il 70% delle esportazioni, un dazio del 25% che colpisce le auto e le componenti automobilistiche prodotte in Europa e infine uno del 50% su alluminio, acciaio e prodotti collegati
Da qui l’imperativo di raggiungere rapidamente un accordo che salvaguardi i flussi commerciali e contenga l’inflazione e i problemi di produzione. L’urgenza di trovare un’intesa che soddisfi entrambe le parti è innegabile. Anche se Washington si presenta come la parte negoziale più forte, ha tutto l’interesse a evitare un ulteriore aggravamento delle pressioni inflazionistiche interne. Il Presidente della FED Jerome Powell, intervenendo al Forum BCE, ha detto che “se non ci fossero stati i dazi di Trump, avremmo già tagliato di nuovo i tassi”, rispondendo così alle critiche del tycoon.
Dall’altro lato del tavolo negoziale, Bruxelles con le posizioni divise dei 27 Stati membri. Alcuni Governi europei sono pronti ad accettare un accordo “asimmetrico” pur di non scontrarsi con Trump. Primo fra tutti quello tedesco. La Germania, infatti, la cui economia si sorregge principalmente sull’export, vede l’acciaio e soprattutto il settore automobilistico come i propri pilastri. Il Cancelliere Friedrich Merz spera, perciò, che i costruttori di auto tedeschi, che esportano sia verso gli USA, sia dagli USA verso Paesi terzi, possano ottenere esenzioni o quote privilegiate per sfuggire alla guerra commerciale. La linea tedesca, sostenuta anche dall’Italia, si propone di raggiungere un accordo con gli Stati Uniti nei tempi più brevi, per dare certezza alle imprese europee. 
La Francia, dal canto suo, si mostra più combattiva e disposta a prolungare le trattative pur di assicurarsi un’intesa più vantaggiosa per l’UE. Sulla stessa lunghezza d’onda si pone anche la Spagna, il cui Ministro dell’Economia reclama un accordo “giusto e bilanciato” con gli Stati Uniti.

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Fig. 1 – Il Commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic

LA DISTANZA DELLE POSIZIONI 

Una delegazione tecnica della Commissione europea sotto la guida del Commissario al Commercio Maroš Šefčovič sta lavorando alacremente per giungere a una soluzione condivisa. L’obiettivo è arrivare a un accordo di principio entro il 9 luglio, lasciando i dettagli da definire in un secondo momento.
L’ipotesi che sta prendendo forma è quella di un deal squilibrato a scapito dell’UE, che si vedrebbe costretta ad accettare l’imposizione di un dazio del 10% su tutte le merci europee da parte degli Stati Uniti. Questo dazio, già applicato unilateralmente da Washington a quasi tutti i suoi partner commerciali dal 2 aprile, rappresenterebbe una concessione significativa da parte del blocco economico europeo.
Tuttavia, l’Europa ha posto delle “linee rosse” invalicabili per quanto riguarda le barriere non commerciali: le direttive sulla regolamentazione del digitale, inclusi i dibattuti DSA (Digital Services Act) e DMA (Digital Markets Act), che tanto preoccupano i colossi e l’Amministrazione statunitensi, non saranno rinegoziate. L’UE intende mantenere la sua sovranità fiscale, la sua IVA e le sue tasse sul digitale. Allo stesso tempo, la controparte europea starebbe spingendo per dazi più bassi per bevande alcoliche, prodotti farmaceutici, semiconduttori e aerei. Inoltre, l’Europa chiede una riduzione dei dazi sui settori chiave, quali auto, acciaio e alluminio e non in un secondo momento come previsto nell’accordo tra Stati Uniti e Regno Unito.
In cambio della rinuncia a tariffe più severe, Bruxelles potrebbe dirsi disponibile a ridurre i suoi contro-dazi sulle auto importate dagli USA o a riconoscere un trattamento favorevole per l’esportazione dei prodotti energetici, anche se ciò a cui Washington mira è lo smantellamento dell’insieme di regole e standard poste a difesa della produzione europea. Sono le barriere non tariffarie al commercio, insomma, l’obiettivo che l’Amministrazione Trump vuole demolire. 
Gli USA sembrano intenzionati a riproporre all’UE un accordo simile a quello siglato con la Gran Bretagna. Tuttavia, questa strategia ignora una differenza fondamentale: il Regno Unito non possiede il peso economico (e negoziale) globale del Mercato Unico europeo, che comprende 27 Paesi, tra cui potenze economiche come Germania, Francia e Italia. È proprio la forza del mercato europeo che potrebbe incoraggiare i negoziatori europei ad adottare posizioni più assertive e strappare un accordo vantaggioso nel tentativo di ridurre al massimo il danno a imprese e cittadini.

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Fig. 2 – Donald Trump durante il “Liberation Day”

UN VERO E PROPRIO BRACCIO DI FERRO 

Per ora è l’intimidazione la strategia di Trump, che nel giorno dell’Indipendenza, lo scorso sabato ha minacciato di firmare ordini di dazi che arrivano al 17% sulle esportazioni agroalimentari europee, a meno che l’UE non conceda alle aziende statunitensi esenzioni dalle regole comunitarie e non si impegni ad acquistare più prodotti per aiutare gli USA a ridurre il proprio surplus commerciale. Alla notizia, le Borse hanno riaperto in negativo, mentre l’euro si è ulteriormente rafforzato nei confronti del dollaro e l’oro ha continuato la sua ascesa.
“L’Europa è sempre pronta a un buon accordo. Ma siamo anche pronti a rispondere con contromisure e a difendere i nostri interessi”, ha ricordato la Presidente della Commissione europea. Infatti, l’UE si dice pronta anche all’ipotesi di un “no deal”, all’eventualità che non si raggiunga un accordo soddisfacente.
D’altronde, il Presidente Trump ha dimostrato di essere forte (se non spietato) con i più deboli e più orientato al negoziato con i forti. È quanto, per esempio, è successo con la Cina. Quando, il 9 aprile, Trump sospese i dazi verso la maggior parte dei partner (inclusa l’Europa), aveva mantenuto quelli sulle merci cinesi, e anzi li aveva alzati al 145% su alcune merci. La forte risposta di Pechino non ha tardato ad arrivare. I dazi a quel punto avevano raggiunto un livello che rendeva impossibile il commercio tra i due Paesi, danneggiandoli entrambi. Trump, dunque, ha fatto marcia indietro: gli Stati Uniti abbasseranno al 30% i dazi sulle merci cinesi e la Cina dal 125% al 10% quelli sulle merci statunitensi. 
L’auspicio è che tra le due sponde dell’Atlantico continui a prosperare la tradizionale alleanza atlantica e che i tentativi dei negoziatori non naufraghino come successe in occasione del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), che fu  bocciato proprio da Trump durante il suo primo mandato. Il timore europeo è ulteriormente esacerbato dalla rottura dei colloqui commerciali con il Canada a causa di una tassa sui servizi digitali che Trump ha interpretato come “un diretto e chiaro attacco” agli Stati Uniti, costringendo Ottawa ad annullare, in ultima istanza, la tassa in questione al fine di far avanzare i colloqui commerciali.
La paura, fondata, è quella di un’Europa inerme, pronta a soccombere a eventuali (e possibili) richieste del Presidente statunitense, che potrebbe spingersi ben più in là del dazio al 10%.
L’UE, intanto, guarda anche ad altri potenziali partner (ergo, cerca altri mercati). Ha inviato agli Stati membri la proposta legislativa dell’accordo commerciale con il Mercosur. Inoltre, il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha cominciato il 30 giugno una visita ufficiale in Europa, che ha previsto anche una tappa a Bruxelles per il Dialogo strategico di alto livello tra Cina e UE. La missione è servita anche per definire i dettagli del summit Cina-UE di Pechino, del 24-25 luglio, per celebrare i 50 anni delle relazioni diplomatiche.

CONCLUSIONI 

L’esito dei febbrili negoziati con gli USA determinerà non solo il futuro immediato delle relazioni commerciali transatlantiche, ma anche la capacità dell’Europa di proteggere i propri interessi economici. L’Unione Europea rappresenta una delle aree più avanzate del pianeta in cui valgono le regole dello Stato di diritto, che armonizzano e tengono insieme gli apparati dei 27 Stati Membri. Ebbene, quest’area merita di essere sviluppata tanto all’interno dei confini europei quanto all’esterno, per orientare l’immagine che gli altri attori globali hanno dell’UE. 
Per la parte statunitense è possibile che il desiderio di sorpassare l’amica-nemica Pechino spinga Trump ad accelerare un accordo con gli europei, per salvare, almeno apparentemente, le relazioni con l’alleato europeo. 
Insomma, la pericolosa situazione di un muro contro muro non beneficerebbe nessuno: né Trump, né i Governi dei 27, né tantomeno i consumatori di ambo le parti, destinatari ultimi delle decisioni dei piani alti.

Filomena Ratto

Photo by GregMontani is licensed under CC BY-NC-SA



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