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Da Confindustria e Medef l’appello all’Europa: “Competitività a rischio, subito un piano strategico per sostenere gli investimenti”


Un appello congiunto, un allarme severo e una serie di proposte concrete per evitare che l’Europa perda la sua base produttiva. Da Roma, dove è in corso il settimo Forum economico italo-francese, i presidenti di Confindustria, Emanuele Orsini, e del Medef (la Confindustria francese), Patrick Martin, chiedono alle istituzioni europee un cambio di passo immediato. In una dichiarazione congiunta, le due principali organizzazioni imprenditoriali di Italia e Francia hanno messo nero su bianco le fragilità di un continente messo a nudo dagli shock geopolitici e da debolezze economiche strutturali.

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La richiesta è chiara: “Il tempo delle dichiarazioni è finito”, scrivono i presidenti; bisogna agire subito per restare una macro-regione produttiva e non essere relegati a un ruolo di mercato di consumo. Serve un piano strategico che, partendo da una visione improntata al realismo, sappia coniugare transizione ecologica, autonomia strategica e competitività.

Decarbonizzazione sì, ma con pragmatismo

La transizione verde è una necessità, ma il modo in cui l’Unione Europea la sta implementando rischia di trasformarla in una trappola per la sua stessa industria. Secondo Confindustria e Medef fissare un obiettivo di riduzione delle emissioni del 90% entro il 2040 senza adeguate e credibili garanzie per il sistema produttivo potrebbe innescare un’ondata di delocalizzazioni, una contrazione dell’occupazione e un prevedibile calo del sostegno pubblico al percorso ecologico. Se l’ambizione climatica non si àncora a un solido pragmatismo economico, l’Europa rischia di perdere su entrambi i fronti: quello ambientale e quello industriale.

Il nodo centrale resta quello dell’energia. I prezzi elevati e volatili continuano a minare la competitività delle imprese e a scoraggiare gli investimenti a lungo termine. Abbassare subito i costi dell’energia è una necessità improcrastinabile. Le associazioni industriali chiedono quindi una risposta coordinata che sia fondata sulla neutralità tecnologica. In concreto questo significa ampliare e rendere più rapido l’accesso a tutti gli strumenti di decarbonizzazione, come i meccanismi di compensazione per i costi indiretti nell’ambito del sistema di scambio di quote di emissione (EU ETS), i Contratti per Differenza (CfD) o i Power Purchase Agreement (PPA). E questi strumenti devono essere meglio coordinati per sostenere sia i costi di investimento (Capex) sia quelli operativi (Opex), contrastando le aggressive politiche industriali dei concorrenti globali.

Riconoscere il ruolo di tutte le tecnologie, nucleare incluso

La dichiarazione congiunta si sofferma poi sul nodo del nucleare: la richiesta è di riconoscere il contributo di tutte le tecnologie a basse emissioni di carbonio e rinnovabili, incluso il nucleare, come pilastri per la competitività, la decarbonizzazione e la sovranità energetica. Italia e Francia, che vedono in questa tecnologia un importante elemento di cooperazione, chiedono che al nucleare sia garantito un trattamento equo in tutti i quadri normativi europei, dalla tassonomia agli aiuti di Stato, fino agli strumenti di finanziamento. La neutralità tecnologica non è uno slogan, ma l’unica via percorribile.

I criteri europei per la determinazione del prezzo del carbonio devono essere rivisti. Il sistema degli ETS, concepito per sostenere una decarbonizzazione economicamente sostenibile, si è trasformato in un fattore di costo rilevante e instabile, disallineato rispetto ai cicli di investimento delle imprese.

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Anche l’attuale meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM) non rappresenta un’alternativa credibile alle quote gratuite. Per questo gli industriali chiedono che le quote gratuite dell’ETS siano mantenute almeno fino al 2030, e anche oltre se necessario, a meno che una valutazione trasparente non dimostri l’efficacia del CBAM nel prevenire la rilocalizzazione delle emissioni senza danneggiare le esportazioni. E c’è un’altra richiesta: che tutti i proventi derivanti da ETS e CBAM siano reinvestiti in modo trasparente nella decarbonizzazione industriale e nell’innovazione, non assorbiti dai bilanci generali.

Ricostruire l’autonomia strategica a partire dalla difesa

Le guerre in Ucraina e in Medio Oriente hanno evidenziato che la deterrenza e la sicurezza richiedono una base industriale solida, capace di produzione sostenuta e di controllo delle tecnologie critiche. L’autonomia strategica europea, affermano Confindustria e Medef, resterà un’illusione senza un ecosistema della difesa credibile e integrato. Francia e Italia, che ospitano comparti dell’aerospazio e della difesa di primo piano, si candidano a guidare questa trasformazione.

L’appello è ad accelerare l’adozione del Programma Industriale Europeo per la Difesa (EDIP) e a prevedere un aumento significativo dei finanziamenti dedicati nel prossimo Quadro Finanziario Pluriennale. Tuttavia i fondi da soli non bastano. È indispensabile rimuovere le barriere che ancora ostacolano la cooperazione, armonizzando le normative sul controllo delle esportazioni, le regole sugli appalti pubblici e i requisiti di capitale per le aziende del settore. Investire nella difesa non è solo una questione di sicurezza, ma una precisa scelta di politica industriale che promuove innovazione, crea posti di lavoro qualificati e può supportare la riconversione di altri settori.

Un bilancio per la competitività, non per nuove tasse

Per guidare la duplice transizione, verde e digitale, e sostenere l’impegno nella sicurezza, l’Europa deve sostenere “un’ondata di investimenti senza precedenti”. La risposta deve arrivare da un Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) audace e visionario, che sappia combinare “un aumento del bilancio comune con una rinnovata capacità di mobilitare capitali privati”. Le imprese chiedono un uso equilibrato di strumenti di debito europeo comune e di risorse proprie per finanziare progetti di alto valore aggiunto.

Orsini e Martin tracciano però una “linea rossa” invalicabile: la competitività non può essere finanziata con nuove imposizioni fiscali. Le imprese europee non possono farsi carico, allo stesso tempo, di finanziare e realizzare le transizioni. L’attuale architettura finanziaria del QFP è inoltre giudicata eccessivamente frammentata e burocratica. Deve essere semplificata, con regole chiare e accessibili, per colmare il divario tra la ricerca e l’implementazione industriale su larga scala.

La politica commerciale come strumento di potere

Di fronte a politiche orientate al protezionismo e al crescere delle tensioni geopolitiche l’Europa non può permettersi di restare ferma. Ridurre le dipendenze strategiche da Cina e Stati Uniti richiede, secondo gli industriali francesi e italiani, uno strumento essenziale: accordi commerciali ambiziosi ed equilibrati.

Confindustria e Medef chiedono quindi alle istituzioni UE di agire senza ulteriori indugi per ratificare l’accordo con il Mercosur: un patto commerciale che è anche un segnale strategico per diversificare le catene di approvvigionamento e costruire legami solidi con una regione dal grande potenziale.

La stessa urgenza deve essere applicata per finalizzare gli accordi con Australia, India e Indonesia. Bloccarli significa chiudere la porta a opportunità che i concorrenti globali non esiteranno a cogliere. L’Europa, concludono le due confederazioni, deve “trasformare l’ambizione in azione e la politica commerciale in un vero strumento di potere strategico”.

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