Commissione Parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale
Audizione del Ministro dell’economia e delle finanze
Giancarlo Giorgetti
9 luglio 2025
Signor Presidente, Onorevoli Membri della Commissione,
vi ringrazio per l’opportunità di presentare i progressi e gli sviluppi del recente percorso di attuazione del federalismo fiscale e condividere con voi i risultati finora raggiunti e le prospettive future.
Negli ultimi mesi, il Governo si è concentrato su una serie di iniziative volte a dare effettività al percorso di attuazione del federalismo, avviato oltre quindici anni fa con la legge delega n. 42 del 2009. Abbiamo lavorato intensamente nel corso di questa legislatura per garantire che ogni fase del processo fosse allineata agli obiettivi prefissati, con particolare attenzione a quelli da ultimo dettati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Ricordo infatti che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha stabilito una serie di riforme abilitanti per il nostro paese. Tra queste, l’attuazione del federalismo regionale è un elemento centrale. La Milestone M1C1-119 del PNRR prevede, infatti, l’aggiornamento della normativa vigente, la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei fabbisogni standard e l’individuazione dei trasferimenti dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario che dovranno essere fiscalizzati.
È importante sottolineare che il completamento del percorso di attuazione del federalismo fiscale si configura oggi come un obiettivo particolarmente complesso. Questo non solo per la natura stessa del processo che coinvolge vari livelli di governo, ma soprattutto perché si inserisce in un contesto profondamente mutato rispetto a quello originario: il quadro economico, sociale e istituzionale attuale è infatti segnato da sfide e dinamiche molto diverse dal passato, che richiedono un approccio flessibile, capace di rispondere tempestivamente alle esigenze del Paese.
A livello internazionale, il contesto economico e politico è ormai da tempo caratterizzato da instabilità e incertezza. In presenza di un’elevata integrazione economica e commerciale, i continui mutamenti degli scenari geopolitici producono effetti differenziati tra regioni e all’interno delle stesse, riflettendosi in modo significativo sulle dinamiche di crescita e sviluppo dei territori.
Guardando al contesto interno, i dati economici mostrano il permanere di disparità tra i cittadini e le imprese di diverse aree, che emergono tra diverse aree urbane e rurali, tra città metropolitane e zone più periferiche, nonché tra settori produttivi specifici. Negli ultimi anni, sono cresciuti i divari economici e sociali anche nel Centro-Nord, soprattutto tra aree interne e città. Questi fenomeni hanno portato allo spopolamento delle aree interne e alla desertificazione imprenditoriale di certi territori, pur a fronte della vivacità di specifici settori industriali.
È quindi fondamentale che il processo del federalismo fiscale tenga conto di queste nuove dinamiche, adottando, attraverso un efficace ricorso alla perequazione, misure che possano ridurre le disuguaglianze e promuovere uno sviluppo equilibrato ed inclusivo su tutto il territorio nazionale.
È questo il contesto all’interno del quale occorre analizzare l’impatto dell’entrata in vigore del nuovo quadro di regole della governance economica europea, che richiederà un coordinamento più stringente tra i livelli di governo per rispettare gli obiettivi stabiliti nel Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine.
Nel corso del mio intervento, mi soffermerò sui recenti e importanti progressi compiuti nell’avanzamento del federalismo fiscale in Italia.
In particolare, discuterò gli aspetti principali relativi alla fiscalizzazione dei trasferimenti statali, disciplinati dallo schema di decreto di attuazione degli articoli 13 e 14 della legge delega n. 111 del 2023 recentemente approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, che definisce, a partire dal 2027, le modalità di copertura dei trasferimenti statali soppressi mediante una compartecipazione regionale al gettito dell’IRPEF (art. 7 d.lgs. 68 del 2011), al fine di assicurare il rispetto della Riforma 1.14, Milestone M1C1-119 del PNRR.
Discuterò altresì le altre misure principali del recente decreto di attuazione della riforma fiscale (legge delega n. 111 del 2023) rilevanti per le autonomie locali e, in particolare, le modifiche al quadro di finanziamento delle Province e delle Città metropolitane, che attribuisce una compartecipazione al gettito dell’Irpef in luogo delle entrate derivanti dall’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore (RC Auto), per assicurare a questi enti una maggiore stabilità finanziaria, al fine di assicurare il rispetto della Riforma 1.14, Milestone M1C1-120 del PNRR.
Mi soffermerò, inoltre, sugli spazi di manovrabilità a disposizione delle regioni e degli enti locali, fornendo una sintesi di alcune evidenze. Infine, formulerò alcune riflessioni sul ruolo di una necessaria riforma del sistema della riscossione degli enti locali per conseguire l’obiettivo di incrementare le risorse a disposizione e, di conseguenza, di aumentare i fondi da destinare ai cittadini e alle imprese.
1. Descrizione obiettivi PNRR (IGPNRR)
La riforma 1.14 del PNRR, che prevede due milestone (M1C1-119 e M1C1-120), si pone l’obiettivo di migliorare la trasparenza delle relazioni finanziarie tra i diversi livelli di governo, assegnare le risorse alle amministrazioni subnazionali sulla base di criteri oggettivi e incentivare un uso efficiente delle risorse medesime. La riforma dovrà definire, in particolare, i parametri applicabili e attuare il federalismo fiscale per le Regioni a statuto ordinario, le Province e le Città metropolitane. La riforma non è connessa a specifici investimenti, ma risulta abilitante e funzionale all’attuazione del PNRR nel suo complesso.
Allo stato attuale si prevede che il quadro normativo per l’attuazione del federalismo fiscale possa essere completato, con la pubblicazione e l’entrata in vigore dei relativi atti, entro il primo trimestre 2026, mentre la riforma si applicherà a partire dal 2027.
2. Lo stato di attuazione della riforma
2.1 Il federalismo regionale “simmetrico”
Nella riunione del Consiglio dei ministri del 9 maggio 2025 è stato approvato, in via preliminare, lo schema di decreto legislativo in materia di tributi regionali e locali, che prevede sia l’aggiornamento del decreto legislativo sul federalismo regionale “simmetrico” – disciplinato dalla legge n. 42 del 2009 e dal decreto legislativo n. 68 del 2011 per risolvere le problematiche che per anni ne hanno ostacolato la compiuta attuazione – sia l’individuazione dei trasferimenti dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario che dovranno essere fiscalizzati.
In primo luogo, occorre ricordare che la fiscalizzazione dei trasferimenti statali può riguardare solo quegli stanziamenti che, per espressa indicazione normativa, presentano le seguenti caratteristiche, ovvero:
- siano di parte corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all’indebitamento, in conto capitale;
- abbiano carattere di generalità e permanenza;
- siano destinati all’esercizio delle competenze regionali, ivi compresi quelli finalizzati all’esercizio di funzioni da parte di province e comuni.
La Commissione tecnica per i fabbisogni standard, nella seduta dell’11 dicembre 2023, ha licenziato un documento finale, contenente l’elenco dei trasferimenti fiscalizzabili (circa 10 miliardi di euro) che investono rilevanti ambiti di competenza regionale (trasporto pubblico locale; politiche per la famiglia, giovani e disabilità; politiche sociali e per le non autosufficienze; agricoltura; istruzione; formazione professionale; diritto allo studio universitario); ambiti che sono attualmente governati da diverse amministrazioni statali e che interessano significativamente anche l’esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali.
Proprio in considerazione di tale ultima circostanza, nel documento finale dei lavori della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, è stato sottolineato che il federalismo non può realizzarsi senza la collaborazione delle Regioni, dell’ANCI, dell’UPI e, soprattutto, delle Amministrazioni statali più ampie interessate, chiamate a “governare” il passaggio dalla finanza derivata alla finanza autonoma.
A seguito di interlocuzioni tecniche con il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie e i Ministeri competenti, nell’ambito della relazione illustrativa al citato schema di decreto, sono stati individuati i fondi potenzialmente interessati dalla fiscalizzazione già a partire dal 2027, tra quelli individuati dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, e, cioè:
- somme da erogare alle Regioni a statuto ordinario a titolo di quota non sanità della compartecipazione IVA (424 milioni di euro dal 2027);
- somma per l’erogazione gratuita di libri di testo (136 milioni di euro dal 2027);
- fondo unico per il welfare dello studente e per il diritto allo studio (39,7 milioni di euro dal 2027);
- fondo nazionale per il trasporto pubblico locale (5.271,5 milioni di euro dal 2027 al 2029 e 5.259.6 milioni di euro dal 2030).
Tra i settori per i quali è stata prevista la fiscalizzazione, non risulta, quindi, l’ambito sociale (circa 1,5 miliardi), sul quale ricordo che l’ANCI aveva espresso particolari preoccupazioni.
Nei settori interessati dalla fiscalizzazione, sarà comunque importante continuare le interlocuzioni con i Ministeri interessati, al fine di definire i livelli essenziali delle prestazioni e i correlati costi standard, oltre che i criteri basati sulla gestione efficiente per le materie non-LEP.
Una particolare attenzione dovrà essere prestata ai trasferimenti relativi al settore del trasporto pubblico locale di parte corrente (oltre 5 miliardi di euro), per la necessità di tener conto dei livelli adeguati di servizio e dei relativi costi standard, oggetto di elaborazioni in corso.
In secondo luogo, lo schema di decreto legislativo in materia di tributi regionali e locali ha previsto che le risorse finora assicurate dai trasferimenti dello Stato alle Regioni saranno compensate con una compartecipazione al gettito IRPEF, che sarà attribuita alle Regioni a decorrere dal 2027.
La scelta di ricorrere a una compartecipazione al gettito dell’IRPEF in luogo dell’incremento dell’aliquota dell’addizionale regionale riflette diverse e solide motivazioni, anche a tutela degli equilibri di finanza pubblica.
Innanzitutto, questa soluzione consente di superare le difficoltà emerse nell’attuazione del decreto legislativo 68 del 2011.
Infatti, le difficoltà attuative del decreto legislativo n. 68 del 2011 sono dovute al fatto che la fiscalizzazione dei trasferimenti delle Regioni a statuto ordinario avrebbe determinato, da un lato, un potenziale incremento delle entrate dell’addizionale regionale, ma dall’altro una riduzione delle aliquote dell’IRPEF nazionale nelle Regioni a statuto ordinario. Uno schema di fatto inapplicabile, tra l’altro, perché avrebbe dato luogo a due diverse scale di aliquote IRPEF, una per i contribuenti delle Regioni a statuto ordinario e una per i contribuenti delle Regioni a statuto speciale, violando quindi i principi di equità e uniformità fiscale sull’intero territorio nazionale.
Altro aspetto importante da considerare riguarda la circostanza che aumentare l’aliquota dell’addizionale regionale [1]– in dipendenza di scelte autonome e non coordinate dei diversi livelli di governo – potrebbe alterare la progressività dell’imposta personale sui redditi, necessaria per assicurare l’equità orizzontale tra i contribuenti, mentre la compartecipazione al gettito dell’IRPEF non presenta, con riferimento a tali aspetti, alcun problema.
La compartecipazione delineata nello schema di decreto legislativo consentirà, inoltre, di ridurre le disparità territoriali nelle basi imponibili ed assicurare una distribuzione più equa delle risorse.
La forma di compartecipazione prevista nel testo si contraddistingue per contenere specifici elementi di dinamicità, prevedendo sia un’integrazione delle somme già definite nel loro quantum, sia un incremento rimesso alla legge di bilancio, tenendo in tal modo in considerazione il valore della compartecipazione rispetto alle risorse trasferite. Tale formulazione presuppone che ogni miglioramento gestionale degli enti interessati si traduce in maggiori risorse disponibili.
Per perseguire gradualmente questi obiettivi, il nuovo quadro prevede un meccanismo transitorio di tre anni per garantire un percorso graduale di perequazione tra le regioni, assicurando a ciascuna regione, in via prioritaria, le quote dei trasferimenti soppressi e, per la parte rimanente, correlata alla dinamicità del gettito (sebbene predefinita legislativamente), terrà conto dei percorsi perequativi già avviati e dei costi standard, oltre che di modalità stabilite dalla Conferenza delle Regioni. Al termine di questo periodo, ovvero dal 2030, entrerà in vigore la perequazione a regime prevista dall’articolo 15 del decreto legislativo n. 68 del 2011, che assicurerà il giusto equilibrio tra territorialità delle imposte, efficienza ed esigenze solidaristiche.
Infine, tale schema consentirà di assicurare certezze per il bilancio sia dello Stato sia delle Regioni, che potranno strutturare una programmazione basata su entrate stabili e prevedibili, riducendo pertanto l’incertezza connessa alle fluttuazioni economiche.
In altri termini, la compartecipazione come strutturata dallo schema di decreto legislativo, consentirà di prevedere gli impatti futuri sulla finanza pubblica, consentendo di governare il processo senza eccessive preoccupazioni.
Per superare, poi, i timori degli enti locali, si evidenzia che la fiscalizzazione dei trasferimenti erariali alle regioni, attraverso una compartecipazione regionale al gettito IRPEF, di fatto, non modifica le finalità previste dalla legislazione vigente, dovendosi, in ogni caso, assicurare lo svolgimento delle funzioni fondamentali da parte degli enti locali.
Al fine di assicurare il raggiungimento di tale obiettivo, lo schema di decreto legislativo ha previsto alcuni strumenti importanti che attribuiscono alle Amministrazioni statali un essenziale ruolo di coordinamento, con un potenziamento dei meccanismi di monitoraggio e rendicontazione per la verifica del raggiungimento dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) e degli obiettivi di servizio, in modo da garantire l’uniformità territoriale della fornitura dei servizi legati ai diritti civili e sociali, e non pregiudicare l’esercizio delle funzioni da parte degli enti locali.
In particolare, il DPCM che dovrà disciplinare i criteri di assegnazione delle quote di compartecipazione IRPEF, nonché i necessari meccanismi che consentano di garantire, tra l’altro, il rispetto dei percorsi di perequazione avviati da ciascuna Amministrazione, dovrà stabilire, altresì, le modalità con cui attribuire alle Amministrazioni statali, negli ambiti interessati dalla fiscalizzazione, il coordinamento e il monitoraggio dei livelli essenziali delle prestazioni, dei livelli adeguati di servizio, delle funzioni fondamentali e degli obiettivi di servizio da garantire sull’intero territorio nazionale e il rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione.
Tali finalità sono ulteriormente garantite dalla previsione del potere sostitutivo di cui all’articolo 120 della Costituzione, in base al quale, in caso di inadempienza da parte delle Regioni o degli enti locali, sarà lo Stato a intervenire attraverso apposite procedure di commissariamento al fine di assicurare lo svolgimento delle funzioni fondamentali, anche in linea con il dettato della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 71 del 2023.
In sintesi, la fiscalizzazione dei trasferimenti erariali in favore delle Regioni non comporta il venir meno di un sistema di governance tale da assicurare l’esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali e il rispetto dei parametri sopra indicati, per la cui realizzazione dovranno intervenire tutti i soggetti interessati.
Infine, il fondo alimentato dalla compartecipazione regionale IRPEF, come sopra accennato, confluirà a regime nei fondi perequativi di cui all’articolo 15 del decreto legislativo n. 68 del 2011, che consentiranno di realizzare un sistema di perequazione, con un impatto positivo per gli enti territoriali attraverso una convergenza verso i costi standard e le capacità fiscali. In questo modo sarà assicurato il rispetto di quanto stabilito dalla Corte costituzionale che, da ultimo con la sentenza n. 45 del 2025, ha rilevato che lo Stato, continuando a generare un sistema di finanza locale derivata, alimentata da trasferimenti veicolati da fondi settoriali, si allontana dal modello di autonomia finanziaria delineato dall’articolo 119 della Costituzione.
Come sostenuto nel corso dell’incontro con la Commissione europea dello scorso 30 giugno 2025, lo schema di decreto legislativo che ho brevemente sintetizzato consentirà di realizzare l’obiettivo di una progressiva attuazione del federalismo regionale, attraverso l’emanazione dei correlati atti di diritto primario e derivato entro giugno 2026, nel rispetto degli obiettivi del PNRR e conciliando le diverse esigenze manifestate dai vari Ministeri, dalle Regioni, dagli enti locali e, soprattutto, senza tralasciare l’impregiudicabile esigenza della tutela degli equilibri di finanza pubblica.
2.2 Il federalismo provinciale
Per il comparto delle province e delle città metropolitane, la Riforma 1.14, Milestone M1C1-120 del PNRR è stata sostanzialmente realizzata [2] attraverso l’attivazione, a partire dal 2022, di due fondi perequativi distinti, uno per le province e l’altro per le città metropolitane delle Regioni a statuto ordinario, in cui sono confluiti tutti i precedenti contributi e i fondi di parte corrente attribuiti a tali enti (incluse le risorse del Fondo sperimentale di riequilibrio). Le risorse dei nuovi fondi sono state attribuite ai singoli enti sulla base dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali.
Un’ulteriore modifica del sistema di finanziamento di province e città metropolitane è stata prevista, garantendo l’invarianza di gettito complessivo, dallo schema di decreto delegato, attuativo dell’articolo 14 della legge delega per la riforma fiscale.
A decorrere dal 2026 sarà, infatti, attribuita a questi enti una compartecipazione all’IRPEF nella misura dello 0,85% per il 2026 e di 0,91% a regime dal 2027, a fronte della “centralizzazione” del gettito dell’imposta sulle assicurazioni per la responsabilità civile dei veicoli (Rc-auto), commisurato ad un’aliquota di base del 12,5%, che passerà dalle province e città metropolitane allo Stato. Le Province e le Città metropolitane manterranno l’autonomia di manovra sull’aliquota dell’imposta sull’Rc-auto al di sopra dell’aliquota di base, entro un limite massimo del 3,5%, al fine di mantenere una certa flessibilità e di maggiorare l’aliquota per fare fronte a esigenze di finanziamento delle loro funzioni. Il gettito della nuova compartecipazione alimenterà un fondo, anche con finalità perequative, da ripartire con le modalità che saranno disciplinate con un decreto attuativo entro la fine dell’anno.
L’attribuzione di tale compartecipazione all’IRPEF alle province e alle città metropolitane rappresenta un importante passo per la loro stabilità finanziaria.
2.3 Altre misure per le autonomie territoriali nel recente decreto di attuazione della delega per la riforma fiscale
Lo schema di decreto legislativo in materia di tributi regionali e locali introduce anche misure per migliorare la gestione dei tributi degli enti territoriali (Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni), semplificare il rapporto tra cittadini e amministrazioni e rafforzare il dialogo con i contribuenti, al fine di assicurare un corretto adempimento degli obblighi tributari.
- Interventi per migliorare la compliance fiscale
Innovazioni significative riguardano la possibilità, per gli enti territoriali, di inviare lettere di compliance ai contribuenti, finalizzate a favorire la corretta determinazione dell’obbligazione tributaria. Un approccio che contribuisce a creare un rapporto di fiducia tra i contribuenti e le autorità locali, promuovendo la trasparenza e la collaborazione.
Inoltre, l’invio di lettere di compliance in una fase antecedente all’emissione di un atto di accertamento esecutivo ha l’obiettivo di promuovere l’adempimento spontaneo, consentendo ai contribuenti di correggere eventuali irregolarità o omissioni prima che vengano avviate azioni esecutive e riducendo così il rischio dei contenziosi e le relative spese legali. - Razionalizzazione del regime premiale che incentiva i contribuenti che optano per la domiciliazione bancaria dei tributi locali
Per i contribuenti che optano per la domiciliazione bancaria dei tributi locali, la modifica del regime premiale oggi in vigore consentirà agli enti locali di applicare uno sconto in misura fissa o percentuale, fino a un massimo del 5% e per importi non superiori a mille euro. L’innovazione ha l’obiettivo di rendere il sistema più equo e sostenibile, evitando eccessive perdite di entrate per gli enti locali e garantendo al contempo un incentivo per i contribuenti a optare per la domiciliazione bancaria dei tributi locali.
Inoltre, l’esclusione dei versamenti unificati, come quelli relativi all’IMU, dal regime premiale è volta a preservare i meccanismi di perequazione del Fondo di solidarietà comunale. Questo assicura che le risorse destinate alla perequazione non vengano compromesse, mantenendo un equilibrio tra incentivi fiscali e sostenibilità finanziaria. - Introduzione di tipologie di definizione agevolata nei tributi degli enti territoriali
Sempre nella prospettiva di rafforzare un approccio collaborativo dell’Amministrazione verso i contribuenti, il decreto legislativo introduce la facoltà per gli enti territoriali di prevedere, entro determinati limiti, tipologie di definizione agevolata dei tributi di loro competenza. Questa facoltà si estende anche alle entrate patrimoniali. - Maggiore autonomia delle Regioni in materia fiscale
Per consentire una maggiore autonomia sull’addizionale IRPEF, le Regioni potranno introdurre soglie di esenzione legate al reddito dei contribuenti, alleviando il carico fiscale sui contribuenti più vulnerabili.
Inoltre, la possibilità di prevedere detrazioni per l’IRAP offre alle Regioni un ulteriore strumento di flessibilità per incentivare determinate attività economiche e sostenere le imprese locali, promuovendo lo sviluppo economico e la competitività dei territori. - Semplificazione degli adempimenti dichiarativi, in particolare in materia di IMU
Quanto agli interventi di semplificazione, l’introduzione di un unico modello telematico per l’IMU mira a ridurre gli oneri a carico dei contribuenti e facilitare la gestione delle dichiarazioni da parte dei comuni, contribuendo in modo significativo alla riduzione del rischio di evasione fiscale e promuovendo l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari.
Inoltre, le misure di semplificazione e razionalizzazione dei tributi regionali, provinciali e comunali (tassa automobilistica, l’IRAP, l’addizionale regionale all’IRPEF, il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi urbani, l’imposta provinciale di trascrizione (IPT), l’IMU e la TARI) sono funzionali a migliorare il quadro normativo di riferimento, per consentire una più precisa individuazione dell’ente destinatario del gettito. - Riforma delle sanzioni e della riscossione
Le innovazioni apportate al sistema sanzionatorio dei tributi locali, in vigore a partire dal 1° gennaio 2026, intendono raggiungere diversi obiettivi chiave.
In primo luogo, l’allineamento agli standard europei e nazionali è un passo importante verso una maggiore coerenza e uniformità normativa. La revisione delle sanzioni, con la riduzione di quelle per omessa dichiarazione al 100% dell’imposta e di quella per dichiarazioni infedeli al 40%, rende le sanzioni più proporzionate e meno punitive, pur mantenendo un’efficace azione di deterrenza.
Inoltre, l’introduzione della possibilità di ravvedimento operoso anche dopo l’inizio delle verifiche rappresenta un’altra importante innovazione. Questa misura offre ai contribuenti l’opportunità di sanare la propria posizione anche dopo aver ricevuto lo schema dell’atto impositivo, promuovendo la collaborazione e l’adempimento volontario.
2.4 Ricognizione delle osservazioni formulate da regioni, comuni e province
Nell’ambito della discussione tecnica in sede di Conferenza Unificata sullo schema di decreto legislativo, le Regioni, l’ANCI e l’UPI hanno presentato osservazioni e proposte normative volte a modificare le disposizioni del decreto.
Tra queste, non si può non affrontare la richiesta delle Regioni di una attribuzione automatica del maggior gettito derivante, di anno in anno, dalla dinamicità della compartecipazione all’IRPEF. Sebbene siano chiare le motivazioni della richiesta, la stessa presenta rilevanti criticità in termini di spazi fiscali a disposizione dello Stato che, non va dimenticato, rimane il “prestatore di ultima istanza”. Tale quadro è inoltre fortemente inciso dalle nuove regole della governance economica europea e, all’interno di esse, dal trattamento delle entrate (in particolare di quelle discrezionali, il cui perimetro è fortemente circoscritto)
Circa la richiesta delle Regioni (fondata sugli orientamenti giurisprudenziali della Corte Costituzionale che hanno dichiarato illegittime le manovre di finanza pubblica che non abbiano il carattere della temporaneità) di recuperare i trasferimenti ridotti permanentemente in attuazione dell’articolo 14, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (4,5 miliardi di euro), si ritiene che la stessa vada affrontata sotto il profilo tecnico in ordine alla relativa quantificazione e alla necessità di significativa copertura finanziaria.
Quanto ai tributi erariali e regionali sulle attività economiche (IRES, imposta di registro, IRAP), non può non rilevarsi che, in assenza di una corrispondente assegnazione di specifiche funzioni o di trasferimenti erariali da fiscalizzare, comporterebbe rilevanti oneri privi di copertura finanziaria, oltre a incidere su tributi che sono destinati ad altre finalità e con un gettito non stabile. Quanto alla richiesta dell’ANCI, tenuto conto del dettato dell’articolo 119 della Costituzione, di istituire una compartecipazione comunale a tributi erariali e regionali sulle attività economiche (IRES, imposta di registro, IRAP), non può non rilevarsi che, in assenza di una corrispondente assegnazione di specifiche funzioni o di trasferimenti erariali da fiscalizzare, comporterebbe rilevanti oneri privi di copertura finanziaria, oltre a incidere su tributi che sono destinati ad altre finalità e con un gettito non stabile.
Partendo da tali considerazioni, tuttavia, è in corso una approfondita istruttoria per consentire ai Comuni di ampliare la propria autonomia finanziaria, in particolare adeguando le modalità di calcolo di alcuni accantonamenti previsti a legislazione vigente (quali il Fondo crediti di dubbia esigibilità).
2.5 Spazi di manovrabilità
Il rafforzamento dell’autonomia tributaria delle autonomie locali è un tema centrale per garantire la sostenibilità finanziaria e la responsabilizzazione degli enti verso i propri cittadini. Le autonomie locali hanno ancora margini di manovra sui tributi propri, ma è essenziale che questi spazi di manovrabilità siano attentamente monitorati. Anche al fine di evitare peggioramenti del livello della pressione fiscale, tale monitoraggio è necessario perché l’autonomia tributaria è strettamente connessa all’esigenza di adattare le politiche fiscali alle specifiche esigenze del territorio, coniugando sostenibilità finanziaria e qualità dei servizi offerti.
Tuttavia, è altrettanto importante che questa autonomia sia esercitata in modo responsabile e trasparente.
Le principali entrate regionali sono rappresentate dall’IRAP (30 miliardi), dall’addizionale IRPEF (15 miliardi) e dalla tassa automobilistica (6,7 miliardi).
Sulla base dei dati 2024, gli spazi di manovrabilità su questi tributi sono contenuti:
- Quanto all’IRAP, circa il 13,3% del gettito massimo potenziale è ancora esercitabile, con margini più ampi nelle Regioni del Nord (oltre il 15%) rispetto a quelle del Centro-Sud (meno del 5%);
- Rispetto all’addizionale regionale IRPEF, i margini residui di manovrabilità sono pari a circa il 32% del gettito massimo, con il 31,4% nelle Regioni a statuto ordinario e il 37,8% nelle Regioni a statuto speciale.
Gli spazi di manovrabilità, inoltre, sono particolarmente contenuti per alcuni anni, soprattutto con riferimento all’IRAP, per la maggior parte delle regioni con piano di rientro del disavanzo sanitario (Lazio, Molise e Campania).
Le entrate proprie dei Comuni provengono principalmente dall’addizionale comunale all’IRPEF (6,3 miliardi) e dall’IMU (16,2 miliardi). Questi tributi hanno registrato negli ultimi anni un graduale aumento delle aliquote fino ai livelli massimi, riducendo così lo spazio di manovrabilità ancora disponibile. Nel 2023, gli spazi di manovra per l’addizionale comunale erano infatti limitati al 15,6% del gettito che gli enti avrebbero potuto ottenere elevando le aliquote al livello massimo. In generale, i Comuni del Nord hanno maggiori spazi fiscali residui, con valori mediamente intorno al 20,5% del gettito massimo, rispetto ai comuni del Centro-Sud, dove gli spazi ancora disponibili sono inferiori al 10% del gettito potenziale.
Per l’IMU, i margini residui dei comuni delle RSO, Sicilia, Sardegna e Valle d’Aosta sono limitati al 6,4%. I comuni del Sud mostrano gettiti pro capite inferiori ma spazi fiscali quasi esauriti, mentre i comuni più grandi ottengono gettiti medi più alti con margini residui più ridotti.
Infine, Province e Città Metropolitane si finanziano principalmente con l’imposta provinciale di trascrizione (IPT, 1,9 miliardi), l’imposta sulle assicurazioni RC auto (2,2 miliardi) e il tributo per le funzioni ambientali (TEFA). Questi tributi rappresentano oltre il 90% delle entrate tributarie di questi enti.
Anche in questo caso, gli spazi di manovrabilità sono limitati: per l’IPT, gli spazi ancora disponibili si attestano a 1,54% del gettito massimo potenziale, con margini residui più ampi nelle Regioni a statuto speciale (7%) e più contenuti nelle Regioni a statuto ordinario (meno dell’1%). Lo sforzo residuo per l’RC auto è limitato al 2,15% del gettito massimo, con margini esauriti nelle Regioni a statuto ordinario e superiori al 13% nelle Regioni a statuto speciale.
Dai dati ricordati possono desumersi alcune considerazioni in merito agli spazi di manovrabilità degli enti locali e alla loro autonomia finanziaria.
In primo luogo, gli spazi fiscali residui sono oggi piuttosto limitati e variano a seconda della tipologia di ente e di tributo considerato, fermo rimanendo il potenziamento della riscossione.
In secondo luogo, gli spazi di manovrabilità delle Regioni e dei Comuni, si concentrano potenzialmente nelle addizionali IRPEF, che rappresentano un meccanismo tipico di finanziamento degli enti locali in un contesto di federalismo avanzato.
Tuttavia, i limitati spazi di manovrabilità degli enti evidenziano le sempre crescenti difficoltà nel garantire un’effettiva autonomia finanziaria. Dovremo, comunque, attentamente monitorare le dinamiche di aumento dei prezzi e dei costi per gli enti territoriali, soprattutto per le spese correnti, e l’effettiva erogazione dei servizi pubblici essenziali, al fine di evitare un peggioramento dei saldi di bilancio e difficoltà finanziarie per alcuni enti.
3. Riscossione degli enti locali
Per una maggiore autonomia e sostenibilità finanziaria, è quindi oggi fondamentale aumentare e migliorare la capacità di riscossione degli enti locali.
Un’efficace gestione del recupero dei crediti tributari non solo allevierebbe la pressione finanziaria sulle autonomie territoriali, ma contribuirebbe anche a una più equa distribuzione delle risorse, rafforzando la capacità di rispondere alle esigenze dei cittadini. La ridefinizione della riscossione degli enti locali, inoltre, si inserirebbe nell’ambito della riforma complessiva della riscossione avviata in attuazione della legge di riforma del sistema fiscale, con il decreto legislativo n.110 del 2024, finalizzata alla definizione di un sistema certo dei crediti esigibili e di procedure ben delineate per la loro riscossione.
Se ben articolato nelle tre fasi della riscossione spontanea, dell’attività di accertamento e della riscossione coattiva, il sistema di riscossione potrebbe assicurare il regolare adempimento da parte dei contribuenti e attivare strumenti accertativi e coercitivi per il recupero delle somme dovute in caso di inadempienza.
Migliorare l’efficacia di ciascuna fase della riscossione e la loro interazione assicurerebbe inoltre l’afflusso delle risorse finanziarie necessarie per fornire i servizi ai cittadini, minimizzando le entrate accertate ma non riscosse e potenziando la capacità di emersione delle basi imponibili non dichiarate. Questo consentirebbe in futuro di accrescere gli spazi fiscali degli enti, con ricadute positive sulla programmazione economico-finanziaria e sull’equità del prelievo.
In tale prospettiva, la riscossione coattiva assume un ruolo strategico non solo come meccanismo di ultima istanza, ma anche come leva essenziale per garantire l’efficacia complessiva dell’intero ciclo di riscossione delle entrate.
Come rilevato recentemente dall’Anci [3], la quota comunale del complesso del magazzino ruoli dell’Agenzia delle Entrate Riscossione è pari a 25 miliardi di euro, di cui circa 6 miliardi esigibili. Tali risorse, inoltre, sono distribuite in modo non uniforme sul territorio nazionale: con valori maggiori concentrati in alcune regioni, in alcune grandi città e nei comuni medio-piccoli soprattutto delle regioni del Centro-Sud.
Dal punto di vista organizzativo, è importante sottolineare che la maggior parte degli enti locali gestisce direttamente sia la riscossione ordinaria sia l’attività di accertamento. Tuttavia, per quanto riguarda la riscossione coattiva, la maggior parte dei Comuni si avvale dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER) e dei concessionari iscritti all’apposito albo.
Nonostante l’affidamento ad ADER possa risultare vantaggioso per i comuni, soprattutto per quelli di minori dimensioni, grazie alle economie di scala e agli strumenti, anche informatici, potenzialmente più efficaci di cui ADER dispone, non si osserva negli anni un incremento significativo della riscossione attribuibile all’utilizzo di ADER.
Per rendere più efficienti i meccanismi di gestione delle attività di recupero, due differenti strategie di intervento normativo, non necessariamente alternative, sono possibili.
In primo luogo, le attività dei riscossori privati possono essere incentivate e rafforzate. Questa strategia è già in parte perseguita all’interno dello schema di decreto delegato, attraverso la razionalizzazione della disciplina relativa all’albo dei riscossori. La recente modifica introdotta, che riguarda la vigilanza sui soggetti iscritti nell’albo per l’accertamento e la riscossione delle entrate delle regioni e degli enti locali, introduce una riforma integrale e innovativa dell’attuale disciplina, superando la logica del controllo meramente successivo e repressivo. Definisce una logica basata su un’attività di indirizzo degli enti territoriali, per un corretto affidamento a soggetti esterni dell’attività di riscossione delle proprie entrate, anche attraverso l’individuazione di contenuti minimi degli atti che regolano la concessione del servizio.
Guardando alla riforma più complessiva, è necessario riconoscere che la riscossione delle entrate locali, per le sue caratteristiche specifiche, richiede strategie e strumenti dedicati.
La peculiarità della riscossione delle entrate degli enti locali risiede nell’elevata frammentarietà dei carichi e nella modesta entità degli importi da recuperare, nella maggior parte dei casi. Questo rende particolarmente complessa l’organizzazione dell’attività di recupero, che spesso si rivela anche diseconomica sia per gli enti locali sia per gli attuali riscossori. Di conseguenza, è più conveniente per i soggetti addetti alla riscossione concentrarsi su tipologie di entrate e procedimenti con maggiore certezza, evitando di intervenire nelle aree di recupero particolarmente problematiche.
Per affrontare queste sfide, è fondamentale un riequilibrio strategico dell’operato dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER), anche valutando un nuovo ente di riscossione dedicato esclusivamente alla gestione e al recupero dei tributi locali, con personale specializzato in questa materia.
Il nuovo ente potrebbe beneficiare delle economie di scala presenti a livello nazionale, utilizzando il patrimonio informativo a disposizione dell’Agenzia delle Entrate e rafforzando l’interoperabilità delle banche dati. È essenziale che questo nuovo soggetto sia integrato sinergicamente con l’attuale struttura di ADER, per poter trarre beneficio dalle esperienze finora maturate. Inoltre, lavorerà in stretto collegamento con partner tecnologici quali Sogei e PagoPA, per garantire un’integrazione efficace dei processi e delle banche dati esistenti.
Il nuovo ente dovrebbe disporre di una struttura informatica avanzata, capace di integrare e incrociare le informazioni necessarie per la determinazione delle posizioni debitorie e per il monitoraggio dei soggetti incaricati delle attività operative.
4. Definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP)
In merito alla determinazione dei LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard, sembrano configurarsi due distinti percorsi intrinsecamente correlati e complementari: a) il primo riguarda specificamente i LEP afferenti alle funzioni nelle materie indicate dalla legge n. 86 del 2024 (autonomia differenziata); b) il secondo è quello del terzo step della milestone PNRR, relativa alla riforma del quadro fiscale subnazionale (Missione 1, Componente 1, Riforma 1.14) concernente le funzioni già di competenza regionale (c.d. regionalismo “simmetrico”).
Con riferimento all’autonomia differenziata, com’è noto, il 19 maggio 2025 il Consiglio dei ministri, tenuto conto della decisione della Corte, ha approvato un disegno di legge recante la delega al Governo per la determinazione dei LEP, che stabilisce un percorso regolato da vincoli finanziari, temporali e procedurali. Il testo in via di perfezionamento istruttorio sarà a breve tramesso alle Camere.
In particolare, sarà previsto che ogni decreto legislativo dovrà essere corredato da una relazione tecnica che ne attesti la neutralità finanziaria, ovvero specifichi puntualmente i nuovi oneri e le relative coperture, in assenza dei quali l’adozione dello stesso rimane subordinata alla preventiva approvazione delle risorse necessarie.
Particolare rilevanza assume l’applicazione del principio di gradualità nel conseguimento dei LEP, da realizzare attraverso la fissazione di obiettivi di servizio intermedi calibrati sulle risorse disponibili che, in analogia al percorso intrapreso per i comuni, prevedono un articolato meccanismo di monitoraggio e rendicontazione e il ricorso al potere sostitutivo statale quale strumento di garanzia dell’effettività delle prestazioni costituzionalmente tutelate.
Inoltre, la definizione dei LEP e la contestuale definizione dei correlati costi e fabbisogni standard è finalizzata ad assicurare l’efficienza nella distribuzione delle risorse, promuovere la coesione territoriale e garantire il rigoroso rispetto degli equilibri di bilancio.
La determinazione dei LEP costituisce, pertanto, la condizione necessaria per il superamento del criterio della spesa storica e per l’introduzione di un sistema di finanziamento fondato sui fabbisogni standard, assicurando equità distributiva e coesione territoriale attraverso parametri oggettivi di efficienza.
Pertanto, la definizione dei LEP così delineata, per risultare coerente con la programmazione economico-finanziaria, non può prescindere da un’attenta valutazione della sostenibilità finanziaria delle misure legislative di riferimento, anche alla luce della ricognizione delle risorse disponibili a legislazione vigente.
In tale quadro, il Parlamento svolgerà un importante ruolo di garante dell’equilibrio tra diritti e risorse.
Il secondo percorso riguardante i LEP è quello contenuto nel terzo step della milestone PNRR relativa alla riforma del quadro fiscale subnazionale (Missione 1, Componente 1, Riforma 1.14), che obbliga a definire i LEP relativi alle funzioni già di competenza regionale (c.d. regionalismo “simmetrico”) e, cioè, sanità, assistenza, istruzione e trasporto pubblico locale.
Sia con riferimento ai LEP nelle materie dell’autonomia differenziata, sia nelle materie del federalismo “simmetrico”, non si può, comunque, prescindere dal ruolo centrale che i diversi Ministeri devono svolgere nella loro definizione e nella individuazione delle risorse agli stessi correlati a legislazione vigente (oltre che per il monitoraggio e la rendicontazione).
5. Esito tavoli di confronto con Regioni e Enti locali
Nel rispetto del principio di leale collaborazione che regola i rapporti tra i diversi livelli di governo, in attuazione di recenti disposizioni legislative, sono stati avviati i lavori di due diversi Tavoli di confronto (uno con le Regioni e uno con gli Enti locali), finalizzati ad affrontare alcune tematiche in materia di relazioni finanziarie tra lo Stato e gli altri enti territoriali, con particolare riferimento alle nuove regole di concorso alla finanza pubblica e al monitoraggio dei relativi risultati.
Oltre alla verifica dell’andamento dei vari comparti in relazione alle nuove regole europee, i tavoli stanno affrontando:
- nuove metodologie tecniche per il calcolo del fondo credito di dubbia esigibilità (FCDE), in funzione incentivante la capacità di riscossione;
- le difficoltà correlate al fondo anticipazione di liquidità (FAL);
- le difficoltà per l’utilizzo dell’avanzo vincolato per gli enti in disavanzo;
- il debito finanziario delle regioni;
- eventuali modifiche del quadro normativo relativo alle crisi finanziarie degli enti locali (parametri di deficitarietà, predissesto, dissesto);
- eventuali soluzioni per superare la difficile situazione finanziaria dei comuni siciliani.
I lavori sono ancora in corso e l’intento è di pervenire a soluzioni normative condivise entro la fine del mese, in vista della presentazione del disegno di legge di bilancio per il 2026.
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