“Nell’era del cloud computing e dell’intelligenza artificiale (IA) è paradossale che la macchina legislativa europea funzioni ancora con una mentalità di epoca napoleonica”, sostiene Alena Mastantuono.
Alena Mastantuono è membro del gruppo Datori di lavoro del CESE e relatrice del parere INT/1088 – Semplificazione normativa – sull’uso degli strumenti digitali per migliorare la legislazione.
Oggi le leggi sono redatte al computer, archiviate in gazzette ufficiali e pubblicate online. Eppure, nonostante questi moderni strumenti digitali, l’approccio alla legislazione rimane ostinatamente analogico. Nel corso dei decenni le norme vanno ad accumularsi, imponendo oneri burocratici inintenzionali e rendendo l’intero sistema poco trasparente. Sia per i cittadini che per i legislatori diventa difficile seguire le interazioni tra le norme, il che rende arduo osservarle e avere fiducia nelle istituzioni.
Il quadro normativo europeo appare come un coacervo difficile da dipanare. Benché siano disponibili strumenti digitali per gestire questa complessità, il sistema rimane intricato.
Secondo Eurostat, nel 2022 i costi amministrativi ricorrenti dell’UE ammontavano a circa 150 miliardi di EUR, una parte significativa dei quali deriva dalla complessità, dall’incoerenza e dalla mole stessa di questo sistema. Se i cittadini, le imprese e persino i legislatori faticano a comprenderlo, come ci si può attendere che si riesca ad applicarlo?
È in tale contesto che entra in gioco #RegTech – ossia la tecnologia applicata al diritto – una soluzione digitale che promette di trasformare questo coacervo in una tavola delle leggi coerente, al cui interno è agevole orientarsi.
Gli strumenti RegTech possono visualizzare il panorama normativo, tracciare le interazioni tra le leggi e ridurre i tempi e i costi degli adempimenti che esse impongono. In particolare, possono contribuire a ristabilire il rispetto dei principi che erano alla base delle riforme legislative napoleoniche: chiarezza, semplicità e razionalità.
Alcuni Stati membri dell’UE hanno già compiuto passi avanti in questo senso. In Cechia, per esempio, la pubblica amministrazione utilizza uno strumento unico e specifico che copre l’intero processo di elaborazione degli atti legislativi – dall’idea iniziale fino alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, passando attraverso lo sviluppo di documenti correlati come la valutazione dell’impatto normativo e una panoramica degli obblighi che incombono all’amministrazione – e consente anche la gestione centralizzata dei template e delle tavole di concordanza per l’attuazione del diritto europeo. Il processo legislativo così strutturato prevede anche l’obbligo che ogni nuova legge includa una sintesi degli obblighi da essa introdotti (benché non ancora in vigore). Questa fase innovativa permette di convertire il linguaggio normativo in obblighi attuabili, costituendo la base di una banca di metadati che può essere impiegata per automatizzare la comprensione delle norme e la conformità ad esse.
Nel 2016 la Camera di commercio ceca ha sviluppato uno strumento per aiutare le imprese a conformarsi alle normative vigenti nei vari settori grazie all’approccio innovativo descritto sopra: decifrando i requisiti di legge, tale strumento fa risparmiare tempo e denaro alle imprese e rende loro più facile assicurarsi di rispettare costantemente le norme in vigore. L’Estonia, invece, offre un altro modello, che consente di reperire i dati necessari attingendo direttamente ai registri delle imprese anziché obbligare queste ultime a comunicarli a più riprese. Una pratica, questa, che semplifica gli adempimenti amministrativi e riduce le duplicazioni.
Perché, allora, gli strumenti RegTech non sono ancora di uso corrente in tutta l’UE?
Gli ostacoli da superare non sono di carattere tecnico, bensì istituzionale. Le soluzioni RegTech devono essere integrate nel processo normativo, e questo richiede leadership e coordinamento: cose che attualmente mancano a livello di Unione europea. Le competenze in materia sono divise tra diversi organi: la sorveglianza della regolamentazione è compito del segretariato generale, la semplificazione del commissario europeo Dombrovskis, la sovranità digitale della vicepresidente esecutiva della Commissione Henna Virkkunen e il coinvolgimento delle imprese di un altro vicepresidente esecutivo, Stéphane Séjourné. Gli innovatori del settore privato, da cui scaturisce la maggior parte delle idee in materia di RegTech, si ritrovano spesso rimpallati tra i diversi organi competenti senza un punto di contatto unico o una leadership chiara.
Forse, quando è stata concepita l’architettura istituzionale dell’UE, le implicazioni di RegTech non sono state pienamente comprese. Al di là della struttura, RegTech presuppone un cambiamento di mentalità. Richiede infatti una nuova impostazione, una diversa forma mentis: si tratta di non considerare più gli strumenti digitali come mere aggiunte facoltative, ma di riconoscerli come un ausilio fondamentale per una governance efficace. Dall’adozione di RegTech tratterrebbero beneficio non solo i legislatori, ma anche i cittadini, le imprese e l’economia europea in generale.
A livello mondiale, RegTech è una forza in ascesa, e chi la padroneggia acquisirà un vantaggio strategico. Un vantaggio, però, cui si accompagnano una responsabilità e la necessità di considerare gli aspetti etici. Se aspettiamo troppo a lungo, rischiamo di cedere ad altri sia l’innovazione che il controllo in questo campo, con conseguenze imprevedibili.
In Europa gli strumenti in questione esistono già, cosi come esistono alcuni primi esempi di successo. Quello di cui l’UE ora ha bisogno è un leader della RegTech, che metta insieme le tessere del puzzle, ponga fine alle mentalità a compartimenti stagni e porti nella governance di questo secolo il pensiero di questo secolo. Il settore privato risponde positivamente a quest’appello, ed è pronto a fare la sua parte.
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