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Max Mara congela la Cittadella della Moda: a rischio 120 milioni e 900 posti e Reggio Emilia


di
Dario Di Vico

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Un progetto industriale strategico rischia di naufragare per uno scontro inedito tra il sindaco Marco Massari e Luigi Maramotti, presidente del brand

Nell’Emilia felix delle buone relazioni industriali e dei buoni rapporti tra amministrazioni e imprese sta accadendo qualcosa di inaudito. Il teatro di questa storia è Reggio e i protagonisti sono il sindaco, il proprietario della più grande impresa della zona, il segretario della locale Cgil e le lavoratrici di una fabbrica di confezioni. Il finale inatteso è che rischia di saltare un investimento di 120 milioni iniziali (a regime sarebbero stati di più), 900 posti di lavoro di cui 300 nuove assunzioni, aree verdi/parcheggi/piste ciclopedonali e soprattutto l’ambizione del capoluogo reggiano di riposizionarsi nella geografia economica non solo regionale. Diventare, almeno dal punto di vista manifatturiero, una delle città della moda con una vera e propria Cittadella da far invidia a tanti concorrenti. A rendere assai difficile, se non ormai impossibile la realizzazione di cotanto progetto è il conflitto scoppiato tra il sindaco Marco Massari e Luigi Maramotti, presidente della Max Mara Fashion Group (2 miliardi di valore della produzione, 6 mila dipendenti di cui 4.500 a Reggio). In mezzo ci sono le condizioni di lavoro nella Manifattura San Maurizio, 220 dipendenti, uno degli stabilimenti del gruppo.

L’accusa delle dipendenti

Il progetto della Cittadella della Moda non è un’invenzione del momento, ma ha richiesto anni di lavoro e nelle intenzioni della Max Mara e della famiglia proprietaria, i Maramotti, è una sorta di lascito alla comunità reggiana, un contributo alla modernizzazione della città e al suo inserimento nella fascia alta delle produzioni manifatturiere. Il guaio è stato che la fase finale del progetto di rigenerazione urbana (i Maramotti avrebbero acquistato l’area ex Fiere) con tanto di autorizzazione da parte del Consiglio Comunale sia andata a impastarsi, prima solo dal punto di vista temporale, con la vertenza delle operaie San Maurizio. Che accusano la controparte padronale di ritmi insostenibili, ferie imposte, permessi negati e una pratica di bodyshaming («siete mucche da mungere», «obese»). 
La battaglia del piccolo stabilimento ha avuto in ambito locale una larga eco che ha portato a mobilitarsi il movimento femminista («siamo indignate per le relazioni di lavoro patriarcali e sessiste») e tutta la sinistra. Sul piano nazionale oltre interrogazioni parlamentari di M5S, Avs e Pd si è registrato anche il gesto di solidarietà di alcune testimonial del brand che hanno disertato un evento Max Mara per preservare la loro immagine
Per contestualizzare la vicenda bisogna ricordare come il gruppo Max Mara sia poco sindacalizzato e non riconosca il contratto nazionale di lavoro. Siamo sicuramente lontani dalle epiche battaglie sindacali di 50 anni fa con il capostipite Achille Maramotti annoverato tra i falchi dell’imprenditoria italiana, ma nel gruppo le relazioni industriali sono gestite in base ad un accordo aziendale. Che, per carità, nessuno ha messo in mora nemmeno in questa circostanza se non le dipendenti della San Maurizio.




















































L’avvitamento

Di fronte a questo scenario il segretario della Cgil locale, Cristian Sesena, ha avuto un’idea che successivamente si rivelerà improvvida: legare la vertenza all’approvazione da parte del Comune del progetto Cittadella della Moda. Insomma ha provato a mischiare relazioni sindacali e decisioni politico-urbanistiche generando una serie di reazioni a catena. E soprattutto mettendo in difficoltà il sindaco Massari, di professione medico, che tirato per la giacchetta ha pensato di tenere il piede in due scarpe. Il sindacato e la Max Mara. 
Sul piano formale il Consiglio Comunale il 23 giugno ha approvato il progetto addirittura all’unanimità, ma il dibattito e alcuni interventi hanno discettato più di sindacalismo che di urbanistica e sono parsi ruvidi ai Maramotti, che non si sarebbero mai sognati di essere «processati» sulla pubblica piazza reggiana. L’ulteriore guaio sarebbe però arrivato il giorno dopo quando il sindaco ha ricevuto una delegazione delle combattive lavoratrici della San Maurizio e ha garantito loro e all’opinione pubblica della città che, aveva sì autorizzato il progetto della Cittadella ma avrebbe monitorato l’evoluzione delle relazioni industriali nel gruppo Max Mara. Sindaco e anche sindacalista.
A Luigi Maramotti sia i distinguo sia gli avvisi di tutoraggio non sono piaciuti. Così ha preso carta e penna, ha espresso «sconcerto per le dichiarazioni pubbliche di Massari rispetto alle condizioni di lavoro alla San Maurizio» e ha fatto sapere al sindaco che allora avrebbe mandato tutto a carte quarantotto. In sostanza, ha scritto Maramotti, se voi mettete in dubbio la nostra reputazione, ci fate oggetto di interrogazioni parlamentari, ci indicate come bersaglio dell’indignazione femminista allora è bene che ci separiamo subito. Ognuno a casa sua e niente Cittadella. Già stiamo pagando un prezzo elevato per questa vertenza e non vogliamo continuare a fare da punching ball. E comunque «non abbiamo bisogno di stimoli esterni per rispettare la legalità e i diritti dei lavoratori».

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Il tentativo di riconciliazione

In qualsiasi altra regione fosse successa una cosa simile avrebbe comunque rappresentato un caso, ma nell’Emilia dell’attrazione degli investimenti, delle multinazionali benvolute e coccolate, dell’entente cordiale tra amministrazioni e imprese la vicenda Massari-Maramotti è un peccato mortale di calpestato laburismo. E infatti è partita una baraonda. Sulla lettera di Maramotti la stampa locale è andata a nozze. Il biografo di Achille Maramotti ha raccontato come qualcosa del genere fosse già accaduto 40 anni fa. Le opposizioni di centro-destra si sono schierate con la Max Mara e hanno addirittura chiesto al sindaco di dimettersi. La Cisl — che in fabbrica alla San Maurizio non c’è — ha provato a indossare i panni del saggio del giorno dopo. Solo il Pd locale si è sentito in dovere di difendere il sindaco («nessun rimorso») e di ribadire la fedeltà del partito alle lotte sindacali. Ma rotto il vaso chi può rimettere insieme i cocci? Massari da buon medico si è fatto vivo al capezzale del Progetto moribondo («quella di Maramotti è stata una decisione a ciel sereno sono sorpreso e rammaricato») e ha provato a riannodare i fili di una trattativa con una rapida inversione a U. «L’approvazione non è stata condizionata e non lo sarà in futuro dallo sviluppo delle relazioni industriali che riguardano solo le parti», ha dichiarato alla stampa. «Superiamo i malintesi». Però alla domanda su quante probabilità ci sono di un’intesa pacificatrice ha dovuto ammettere: «Ad essere ottimisti il 20-25%».
Così vanno le cose nell’Emilia degli anni ‘20 dove non c’è convegno che non elogi l’innovazione e chieda agli imprenditori di investire. E infatti in Regione pensano che la cosa non possa finire così e proveranno a lanciare una mediazione affidata al vice-presidente Vincenzo Colla. Nomen omen a proposito di cocci da riattaccare. 

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