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LOMBARDIA ECONOMY – Crespi d’Adda patrimonio dell’Unesco


A guidare il progetto, Giorgio Ravasio, presidente dell’associazione Crespi d’Adda ETS. Lo abbiamo intervistato per capire come la cultura possa diventare motore di sviluppo

Un milione di euro di investimento in cinque anni, un nuovo patto tra pubblico e privato e un obiettivo ambizioso: trasformare Crespi d’Adda, patrimonio dell’Umanità Unesco dal 1995, in un modello di rinascita culturale, sociale e produttiva.

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Il villaggio operaio fondato nel 1876 dalla famiglia Crespi, modello di città ideale del lavoro e raro esempio di urbanistica industriale giunto quasi intatto fino ai giorni nostri, guarda al futuro, senza tradire la sua identità storica, ma puntando su turismo esperienziale, formazione professionale, sostenibilità ambientale, inclusione sociale.

Giorgio Ravasio

Parliamo di questa nuova sinergia tra pubblico – con il Comune di Capriate San Gervasio – e privato per valorizzare il villaggio operaio di Crespi d’Adda con oltre un milione di euro di investimento in cinque anni. In che modo il valore storico e identitario del villaggio operaio ha influenzato le scelte strategiche del progetto?

«Il valore identitario è stato fondamentale. Questo progetto nasce dopo quasi 35 anni di attività in un contesto in cui la valorizzazione culturale è stata spesso ostacolata o resa difficile. Crespi d’Adda ha vissuto, dalla fine degli anni ’70, una crisi profonda legata alla dismissione industriale, all’abbandono e alla frammentazione sociale.

Negli ultimi 15 anni, però, si è riscoperto il valore storico e simbolico del villaggio: un’idea ottocentesca di città ideale dove abitazione, lavoro e servizi coesistevano. Oggi, proprio come si costruiscono campus ispirati ai villaggi operai nella Silicon Valley, anche noi vogliamo tornare a quell’idea originaria, facendone il palcoscenico di una narrazione che ha contribuito a formare la nostra civiltà».

Uno degli obiettivi chiave è rafforzare l’attrattività turistica di Crespi d’Adda. Quali sono le azioni concrete previste per aumentare la permanenza dei visitatori sul territorio?

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«Il riconoscimento Unesco ha rilanciato l’attrattività di Crespi d’Adda. Questo ha incentivato anche imprenditori locali a investire in attività chiuse da tempo: basti pensare alla riapertura della centrale idroelettrica. L’intervento del Gruppo Percassi, che ha acquisito l’intero sito industriale, è stato decisivo per riportare vitalità e funzione produttiva.

Il turismo è centrale, perché significa visibilità, tutela e, soprattutto, opportunità di lavoro per chi abita qui. Il valore immobiliare delle case è oggi tre volte superiore rispetto al territorio circostante: segno di un’attenzione rinnovata. Il nostro obiettivo è sviluppare un turismo esperienziale e di qualità, che vada oltre le visite guidate. Vogliamo aprire Crespi anche a percorsi tematici nel contesto ambientale del fiume Adda, ampliando gli spazi e creando connessioni con eventi culturali per attrarre un turismo colto e letterario».

Il progetto prevede anche un importante investimento nella formazione e nell’inserimento lavorativo dei giovani: quanto conta oggi “educare a fare cultura”?

«La cultura è un valore assoluto. Anche se immateriale, riesce a penetrare nella pelle: ti resta addosso. È uno strumento potente per la tutela, la valorizzazione del territorio e la creazione di lavoro. È fondamentale uscire da una visione dilettantistica o da un volontarismo insufficiente. La cultura non è un lusso, è un “oro bianco”: non inquinante, non invasivo, ma capace di generare ricchezza sostenibile. Per questo vogliamo formare i giovani e inserirli in percorsi culturali professionalizzanti. Credo fermamente che chi lavora nella cultura debba essere formato e, soprattutto, retribuito con dignità».

Quanto è importante, nel vostro piano, l’accessibilità internazionale, sia in termini linguistici che di inclusività sociale e sensoriale?

«È un elemento cruciale. Pensiamo al nostro territorio come al nostro salotto: vogliamo “ampliare i metri quadri della nostra casa” e farlo diventare spazio di comunità e condivisione. Oggi Crespi è una meta prevalentemente per il turismo italiano, ma stiamo puntando ad aprirci all’estero. L’accoglienza multilingue sarà centrale, così come la capacità di offrire

esperienze accessibili a tutti, senza barriere fisiche o culturali. L’idea è quella di creare un’esperienza di visita che sia davvero inclusiva, per ogni tipo di pubblico».

Il vostro è anche un piano profondamente green: cura del verde, orti didattici, percorsi botanici, studio degli impatti climatici e la realizzazione del Museo dell’Acqua nella casa del custode della centrale idroelettrica. Quanto è centrale la sostenibilità ambientale nella visione futura?

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«Per noi sostenibilità significa amare profondamente il proprio territorio. Da questo amore nasce una visione: fare azioni concrete per preservarlo. La nostra idea di “verde” è connaturata al fatto che vogliamo prenderci cura della nostra “casa comune”. Le economie che generiamo devono essere spese con competenza e responsabilità, soprattutto nella cultura. Le attività ambientali, come gli orti didattici e il Museo dell’Acqua, sono strumenti per educare e restituire valore al territorio. Perché basta uscire di casa per trovare qualcosa che merita di essere protetto».

Cosa può insegnare il modello Crespi d’Adda ad altri luoghi storici che cercano una nuova vita attraverso la cultura e il turismo sostenibile?

«Crespi d’Adda dimostra che l’Italia è un paese fortunato, ricchissimo di bellezze da tutelare. Ma questi beni non si proteggono da soli: serve uno sguardo nuovo, una visione culturale. I cittadini di Crespi hanno saputo guardare al proprio territorio, anche quando era degradato, e hanno creduto nel suo valore. Abbiamo cambiato la prospettiva: oggi Crespi è un luogo che racconta la storia umana, sociale e produttiva della nostra civiltà.

È tornato a essere una destinazione non solo da visitare, ma dove vivere. Questo percorso non è stato facile: per 25 anni è stato ostacolato, incompreso, perfino contrastato da chi proponeva una cementificazione selvaggia. Oggi il sito Unesco è una struttura autosostenibile, un esempio virtuoso in cui ogni elemento – cultura, impresa, tutela – funziona in sinergia».

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