Viviamo in un’insostenibile contraddizione che vuole da un lato la spinta politica ed economica di generare profitti attraverso la guerra e dall’altro il bisogno di sopravvivere fronteggiando il cambiamento climatico. L’Europa cosa fa? Invece di puntare tutto su sistemi di salvataggio per la collettività, decidiamo di comprare armi per “difenderci”.
L’Environmental Implementation Review, pubblicato nella prima settimana di luglio, denuncia quanto ci costerebbe annualmente la mancata attuazione delle norme ambientali previste per raggiungere gli obiettivi green. Si parla di circa 180 miliardi di euro l’anno, ma in Europa si discute piuttosto di indebitarci o spostare miliardi verso la difesa, o dovremmo dire verso l’acquisto di armi.
Un Green Deal sempre più in affanno
L’ultimo Environmental Implementation Review ci palesa un enorme problema, ovvero il gap di attuazione dei piani ambientali europei. La dinamica è semplice: se non si attuano, il costo annuo in danni da inquinamento, degradazione ambientale e rifiuti prodotti è pari a 180 miliardi di euro. Si tratta dell’1% del Pil comunitario.
Ricordiamo che ogni anno sono stanziate, per gli obiettivi climatici, risorse pari a 122 miliardi di euro, ma molti Stati membri non mobilitano l’intero potenziale. Ognuno è focalizzato sulla propria immagine e sulla propria retorica.
E se a questo si aggiunge il nuovo meccanismo di flessibilità, i problemi di gestione non sono più imputabili solo agli Stati, ma anche all’Europa stessa. Infatti, con l’ultima revisione degli obiettivi del Green Deal si sono aggiunti meccanismi di flessibilità che diluiscono ancora di più l’iniziale ambizione climatica.
Dal 2036 gli Stati potranno conteggiare fino al 3% delle riduzioni ottenute in paesi extra-Ue per compensare i propri ritardi. C’è chi parla già di fuga di responsabilità sulla decarbonizzazione e di un mercato sempre meno trasparente. La mossa ha spaccato la maggioranza, con i gruppi di sinistra che parlano di “codardia politica” e temono che la flessibilità diventi una scappatoia per abbassare i target reali, compreso il taglio del 90% delle emissioni previsto per il 2040.
Il nuovo focus Ue: il riarmo
Mentre l’Europa parla di obiettivi green, allo stesso tempo mette in agenda spese miliardarie per la difesa. Il vertice NATO di giugno 2025 ha infatti alzato l’asticella degli impegni: dal tradizionale 2% del Pil da dedicare alla difesa, molti Paesi passeranno al 5% complessivo, tra cui l’Italia. Il nostro Paese sarà l’unico grande Paese europeo che spenderà più in armi che in scuola. Tra il 2025 e il 2028, l’Italia dovrà investire tra 88 e 120 miliardi di euro in spese militari aggiuntive per adeguarsi al nuovo obiettivo NATO del 5% del Pil, come abbiamo già riportato in un altro articolo.
Che l’Italia tenga così tanto alla difesa è figlio della situazione interna politica, certo, ma anche dell’influenza di alcuni gruppi che puntano a esportare armi e mezzi militari. Sono aziende come Leonardo, che hanno già dimostrato di poter fatturare cifre record grazie alla crisi geopolitica globale.
Il paradosso climatico
Sorge spontanea una domanda: non è un paradosso che l’Europa investa tanto o più in armi che in energia pulita e nella risoluzione della crisi climatica? La risposta è sì: è un paradosso, perché la guerra non è mai pulita e anzi i conflitti armati sono tra gli eventi più inquinanti per gas serra e altre sostanze rilasciate in mare, aria e terra. Senza contare che distruggono le infrastrutture delle rinnovabili e devastano gli ecosistemi.
Facciamo l’esempio della campagna genocidiaria a Gaza. Uno studio preliminare titolato “A Multitemporal Snapshot of Greenhouse Gas Emissions from the Israel-Gaza Conflict”, stima in 281mila tonnellate di CO₂ le emissioni dirette nei primi 60 giorni di bombardamenti, equivalenti alla combustione di circa 150mila tonnellate di carbone. Dopo oltre 630 giorni dall’inizio del conflitto, i dati non possono che essere più gravi e questo non è neanche l’unico conflitto attivo in Medio Oriente o altrove.
Se c’è un grave effetto collaterale di questo paradosso, è che i conflitti generano disuguaglianze sociali, sfollano migliaia di persone che spesso finiscono in zone già colpite da eventi climatici estremi, come siccità, inondazioni od ondate di calore. Intere masse di persone sempre più vulnerabili spingono sui confini che l’Europa e i singoli Stati oggi vantano di voler difendere con armi e soldi. Per questo è facile che oggi vinca la retorica della difesa dei confini: è più semplice tentare di risolvere i problemi nel proprio giardino, ignorando le fiamme intorno e pensare di stare al fresco e al sicuro costruendo muri anziché spegnendo gli incendi.
Alle persone però importa, è la politica nazionale e Ue che le ignora. Un sondaggio Eurobarometro rileva che:
- l’86% degli italiani e l’85% dei cittadini Ue ritengono che oggi il cambiamento climatico sia un serio problema;
- per l’88% degli italiani (e l’85% in Ue) affrontarlo è una priorità per migliorare la salute pubblica e la qualità di vita;
- l’85 % (77 % in Ue) si rende conto che i costi provocati dalla crisi climatica sono già molto più alti degli investimenti necessari alla transizione ecologica;
- l’88 % (77 % in Ue) ritiene che lottare contro la crisi climatica porti a innovazioni in grado di rendere le imprese europee più competitive e dunque che queste imprese dovrebbero ricevere maggior supporto per competere sui mercati globali delle tecnologie pulite.
Al contempo, il 75% degli italiani e il 67% dei cittadini Ue ritiene che il proprio Governo nazionale non stia facendo abbastanza contro la crisi climatica. Ancora il 93% (89% in Ue) pensa che il Governo dovrebbe agire per la crescita delle energie rinnovabili.
Le ricadute politiche della doppia faccia
L’Unione Europea si è presentata nel corso del tempo come leader mondiale dei diritti e della sostenibilità ambientale, portavoce di campagne verdi, ma con scarsi risultati. La doppia faccia è evidente a tutti i cittadini, dentro e fuori i confini politici europei.
C’è chi accoglie favorevolmente lo spostamento delle priorità dalla transizione ecologica al piano di riarmo, vedendovi il segno di una destra sempre più estrema e della fragilità democratica in una fotografia a lunga esposizione. Non sappiamo quale immagine resterà impressa, ma sappiamo già che non sarà quella che immaginavamo quando l’Europa si era fatta portavoce di ideali di pace, convivenza e rispetto dell’altro e dell’ambiente.
E suona un po’ anacronistico, a distanza di anni, citare ancora una volta un film diventato l’allegoria della lotta a occhi chiusi contro un disastro annunciato. “Don’t Look Up” (del 2021) ci mostrava esattamente come siamo oggi, nel 2025: completamente persi, senza una strada da seguire, intenti a farci la guerra mentre un enorme meteorite, ovvero la crisi climatica, è in rotta di collisione con il nostro futuro.
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