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SCUOLA/ Valditara e ciò che serve (davvero) per far diventare gli ITS una laurea breve


Valditara ha dichiarato di voler intervenire sugli ITS per equipararne il biennio a una laurea breve. Ottima idea, ma non è così semplice

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Le recenti dichiarazioni del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, all’ITS Academy “Antonio Bruno” di  Grottaminarda (Avellino), “pensiamo di portare il percorso a 4+2+1 per far sì che il biennio degli ITS sia equivalente ai primi due anni delle lauree brevi”,  meritano sicuramente attenzione.



Si prefigura un nuovo modello formativo, costituito da 4 anni di istruzione secondaria superiore a indirizzo tecnico o professionale a cui seguono 2 anni di ITS corrispondente al primo ciclo della formazione terziaria non universitaria (livello 5 EQF) e quindi si aggiunge un anno, tutto da definire, che potrebbe essere finalizzato al completamento del percorso triennale universitario (laurea di primo livello), oppure al conseguimento di una specializzazione tecnica superiore (livello 6 EQF non accademico), oppure all’inserimento lavorativo assistito.



L’obiettivo dichiarato è rendere il biennio ITS equivalente ai primi due anni di laurea triennale, avvicinando quindi la formazione tecnica al sistema universitario, provando a disciplinare le modalità di riconoscimento accademico del percorso biennale degli Istituti Tecnologici Superiori (ITS Academy), probabilmente al fine di:

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a) rafforzare la continuità tra il sistema di istruzione tecnica superiore e l’istruzione universitaria;

b) favorire il riconoscimento formale delle competenze acquisite nel percorso ITS ai fini dell’accesso e della prosecuzione degli studi universitari;

c) armonizzare i titoli rilasciati con il Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF).



Ciò evidentemente mira a rafforzare l’attrattività degli ITS rispetto all’università, a sostenere il riequilibrio tra formazione accademica e formazione tecnica e a contrastare il mismatch formativo, incentivando percorsi più professionalizzanti e “rapidi” per l’inserimento lavorativo.

Altro obiettivo sotteso è sicuramente allineare il sistema italiano ai modelli europei, dove la formazione tecnica e professionale  è molto più riconosciuta e integrata nel sistema produttivo.

I modelli che più si avvicinano alla nuova proposta italiana sono il sistema duale della Germania  e il sistema professionale della Svizzera, entrambi  strutturati secondo il percorso 3/4+2+1.

In realtà il modello tedesco si caratterizza per l’integrazione scuola-lavoro molto forte, più di quanto accada in Italia, ed offre inoltre una progressione orizzontale e verticale fluida, fondata su standard chiari e fortemente regolamentati.

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Il modello svizzero prevede la parità di status tra formazione accademica e professionale e la possibilità reale di transizione tra percorsi, anche in età adulta.

Invece, l’Italia si caratterizza per una scarsa permeabilità tra i sistemi e, sicuramente non ha, al pari della Svizzera, una governance condivisa tra Stato, Cantoni e imprese.

Pertanto, l’analisi e il confronto con i modelli europei similari è necessaria per analizzare e valutare la fattibilità della proposta del ministro in termini giuridici e organizzativi.

Quanto alla fattibilità giuridica, va considerato che il sistema italiano di istruzione post-secondaria è fortemente compartimentato. I percorsi universitari, quelli dell’alta formazione artistica e musicale (AFAM), e gli ITS, sono disciplinati da normative diverse e afferenti a ministeri distinti (MUR per le università, MIM per gli ITS).

Gli ITS rilasciano titoli non universitari, seppur inseriti nel Livello 5 dell’EQF, che li colloca sopra il diploma e sotto la laurea triennale. Attualmente non è prevista l’equivalenza automatica tra ITS e CFU universitari e per poter riconoscere i 2 anni di ITS come equivalenti ai primi 2 anni di laurea triennale: occorrerebbe riformare il D.M. 270/2004, che disciplina i CFU universitari.

Gli attuali titoli ITS non sono validi per l’accesso a concorsi pubblici che richiedano una laurea triennale. Occorrerebbe una revisione del DPR 487/1994 o integrazioni alle tabelle MIUR dei titoli equipollenti.

Anche la fattibilità organizzativa merita attenzione. Gli ITS sono organismi di formazione ibrida pubblico-privata, costituiti in forma di fondazioni, con presenza di imprese, enti locali e istituti scolastici. A differenza delle università, non sono strutture statali con autonomia universitaria. ITS e università seguono piani formativi diversi e pertanto serve una standardizzazione parziale o un sistema di raccordo.

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Il controllo di qualità dell’università e degli ITS è esercitato da strutture diverse, per cui è necessario un sistema unico di accreditamento e valutazione.

In realtà, a parte l’enfasi del ministro nell’annunciare l’innovazione del modello 4+2+1 in continuità con una trasformazione già avviata, alcune criticità appaiono evidenti:

1) Non è chiaro cosa sia il “+1” finale: un anno universitario? una specializzazione ITS? un master professionalizzante?

2) C’è il rischio di sovrapposizione con il sistema universitario, generando confusione anziché sinergie, se non ben regolamentato;

3) Serviranno cambiamenti normativi, riconoscimenti di crediti formativi, e una revisione delle modalità di accesso ai percorsi universitari.

In conclusione, la proposta del ministro riguardante la filiera degli ITS Academy appare ispirata da buoni propositi, anche perché ispirata ai modelli europei. Tuttavia, richiede importanti modifiche legislative e interministeriali, ma anche significative riforme strutturali, investimenti e standard comuni.

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È una riforma ambiziosa, ma per realizzarla serve una condivisa volontà politica, una chiara roadmap normativa, un piano di finanziamento pluriennale e la definizione di tempi realistici,  prevedendo necessarie fasi sperimentali.

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