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investimenti degli studi a 2 miliardi di euro


Sono stati presentati durante il convegno “Professionisti, alla ricerca di un equilibrio tra tradizione e innovazione” i risultati della ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Politecnico di Milano, uno degli oltre 50 differenti filoni di ricerca degli Osservatori Digital Innovation della POLIMI School of Management che affrontano tutti i temi chiave dell’Innovazione Digitale nelle imprese e nella Pubblica Amministrazione.

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Nel 2024 crescono gli investimenti in tecnologie digitali degli studi professionali italiani che raggiungono 1.954 milioni di euro, +3,5% rispetto all’anno precedente. A investire di più sono gli studi multidisciplinari, complice la necessità di integrare competenze differenti e di offrire un ventaglio di servizi più articolato, con una spesa media di 28.200 euro, rispetto a 12.900 dei monodisciplinari. La spesa media per il digitale è di 14.300 euro per i consulenti per il lavoro, 14.000 euro per i commercialisti e 10.400 euro per gli avvocati. La diffusione del digitale tra i professionisti però è ancora principalmente legata a obblighi di legge o a semplici necessità operative: ad eccezione dei sistemi per la gestione di videoconferenze, che sono già presenti in almeno il 65% degli studi, nessuna tecnologia è diffusa in più del 50% in tutte le professioni e quelle avanzate hanno un’adozione ancora molto limitata (le soluzioni di business intelligence oscillano tra il 4% e il 10% a seconda della categoria, diffuse nel 4% degli studi di micro dimensione e nel 32% dei grandi studi, mentre quelle di intelligenza artificiale spaziano tra il 12% e il 17% in base alla professione e tra l’11% e il 21% a seconda della dimensione). A parte pochi grandi studi multidisciplinari, il digitale è ancora poco utilizzato per ampliare il portafoglio servizi e per innovare il modello di business.

Non a caso, tra i principali elementi ricercati oggi dai professionisti italiani nella loro attività c’è al primo posto un buon equilibrio tra lavoro e vita privata (indiscutibilmente la priorità, indicata dall’81% dei commercialisti, dal 78% dei consulenti del lavoro e dal 75% di avvocati e studi multidisciplinari), seguito da una maggiore specializzazione, più autonomia e flessibilità negli orari e luoghi di lavoro, migliore retribuzione, opportunità di carriera, qualità delle relazioni umane, impatto positivo sulla società, autonomia nella gestione dei carichi di lavoro. L’utilizzo di tecnologie innovative e di strumenti digitali viene solo al 9° posto.

Osservatorio Professionisti e Digitale PoliMiIl digitale non è la priorità per gli studi, nonostante alcune preoccupazioni per il futuro su cui le tecnologie potrebbero giocare un ruolo importante, snellendo i processi di lavoro, garantendo sicurezza e velocità e liberando tempo lavorativo. La prima preoccupazione dei professionisti oggi, infatti, è l’appesantimento normativo senza un proporzionale aumento della redditività, indicata da ben il 64% dei commercialisti, il 55% dei consulenti del lavoro e degli studi multidisciplinari, il 52% degli avvocati. Poi c’è il timore della concorrenza dei grandi operatori (soprattutto tra i consulenti del lavoro, 53%, e tra gli avvocati 45%) e dell’insolvenza dei clienti, diffusa mediamente in uno studio su tre. La carenza delle nuove competenze richieste dal mercato preoccupa meno: è al nono posto, evidente in meno del 25% dei casi anche negli studi di dimensioni maggiori.

Claudio Rorato, Responsabile Scientifico e Direttore dell'Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale
Claudio Rorato, Responsabile Scientifico e Direttore dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale

I professionisti italiani stanno affrontando la sfida del digitale con velocità diverse in relazione alle singole categorie e alle dimensioni degli studi, ma è necessario correre di più – afferma Claudio Rorato, Responsabile Scientifico e Direttore dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale – soprattutto per l’apporto che possono dare allo sviluppo di nuova cultura gestionale nelle imprese. Cresce a tutti i livelli la consapevolezza sull’utilità delle tecnologie e, anche grazie all’elevata esposizione mediatica dell’intelligenza artificiale, compaiono segnali positivi nell’impiego di strumenti di analisi dei dati. Mediamente, però, il digitale è ancora poco utilizzato in chiave strategica per ampliare il portafoglio servizi o abilitare nuovi modelli organizzativi e di business. In un contesto in continua trasformazione e incertezza, le professioni giuridiche ed economiche sono chiamate ad affrontare nuove sfide e a cogliere le opportunità delle tecnologie stando ‘in equilibrio’ tra tradizione e innovazione, adeguandosi ai nuovi scenari e al contempo rimanendo un punto di riferimento per le imprese, alle quali dovrebbero garantire un trasferimento culturale in armonia con le necessità del contesto”.

Le tecnologie. Negli studi legali nessuna tecnologia, ad eccezione dei sistemi per la gestione di videoconferenze, registra un tasso di diffusione superiore al 50%, sebbene la conservazione digitale a norma si avvicini alla soglia (45%). Lo stesso vale per quelli dei commercialisti, che dopo i sistemi di videoconferenze utilizzano soprattutto la rete VPN (47%). Gli studi di consulenza del lavoro mostrano un maggiore dinamismo nell’adottare strumenti a supporto delle attività tipiche della professione (come procedure HR, rilevazione presenze, contrattualistica del lavoro). Ma la categoria più avanzata sul fronte tecnologico è indubbiamente quella degli studi multidisciplinari.

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Il sito Internet dello studio è diffuso tra il 37% dei commercialisti, il 47% dei legali e il 55% di consulenti del lavoro e multidisciplinari. Le pagine social sono presenti nel 24% degli studi di commercialisti, 42% degli avvocati, 36% dei consulenti e del lavoro e dei multidisciplinari. Sono ancora poco diffusi i CRM (Customer Relationship Management), con soglie tra il 6% dei consulenti del lavoro e l’11% dei multidisciplinari. Nonostante la sensibilità dichiarata per la ricerca di un equilibrio tra vita professionale e privata, i timesheet sono utilizzati solamente tra il 18% dei legali e il 30% dei multidisciplinari, mentre le tecnologie più avanzate sono ancora limitate. La business intelligence oscilla tra il 4% negli studi di consulenza del lavoro e il 10% dei multidisciplinari. L’intelligenza artificiale, chatbot compresi, tra il 12% degli studi legali e il 17% dei consulenti del lavoro.

I grandi studi (con organico superiore a 30 persone) e i medi (tra 10 e 29) segnano un confine netto con le realtà di dimensioni inferiori in termini di maggiore adozione delle tecnologie digitali, dovuta alla più ampia struttura organizzativa e gamma di servizi. Il sito Internet raggiunge una diffusione tra il 79% dei medi e il 97% dei grandi, il timesheet passa al 50-64%, la business intelligence al 7% dei medi e 32% dei grandi, il CRM al 15-25%, l’intelligenza artificiale e i chatbot al 20%.

Claudio Rorato, Responsabile Scientifico e Direttore dell'Osservatorio Professionisti e Innovazione DigitaleL’IA. Sull’intelligenza artificiale, gli studi professionali esprimono cautela ma anche volontà di conoscere. L’Osservatorio Professionisti e Digitale PoliMi rileva che gli studi monodisciplinari, con una quota che oscilla tra il 29% e il 35% a seconda della categoria, ritengono sia ancora presto per sviluppare progetti specifici o non hanno ancora avviato alcuna iniziativa; il 35% si sta documentando internamente, il 14%-23% sta frequentando corsi specifici; tra il 14% e il 25% sta usufruendo delle licenze disponibili per addestramento. Solo il 3%-7% si sta già confrontando con altri studi, una quota analoga sta sviluppando progetti con consulenti esterni e una quota minima sta sviluppando progetti con altri studi o partner di business.

Gli studi multidisciplinari esprimono maggiore propensione alla sperimentazione e sviluppo di progetti. Tra i medi e grandi studi, meno del 15% ritiene sia presto per avviare iniziative specifiche e, tra chi è passato all’azione, i medi si concentrano sulla formazione specifica (31%) e le attività per familiarizzare con le licenze (36%), mentre i grandi studi anche sullo sviluppo di progetti con consulenti esterni o altri studi (30%).

Gli studi oggi utilizzano l’IA soprattutto per ricercare documenti e informazioni (nel 78%-90% dei casi) e per la stesura di testi e atti (dal 49% degli studi legali al 72% dei consulenti del lavoro). Poi, c’è la creazione contenuti di comunicazione, come newsletter, e la creazione di slide e presentazioni. Tra commercialisti, consulenti del lavoro e multidisciplinari sale l’attenzione anche per l’analisi dei dati (ad es. cedolini, bilanci, recupero crediti…), nel 24-28% degli studi.

Oltre il 50% degli studi apprezza i benefici dell’IA nelle attività, soprattutto per l’efficienza e la rapidità rispetto alle modalità precedenti. La percezione della qualità è bassa per il 17-26%, adeguata secondo il 33-43%, buona-ottima per il 32%-40%. Aumenta rispetto allo scorso anno la quota di studi che utilizzano dati sia per il monitoraggio dell’efficienza, che per offrire nuovi servizi: oggi lo fa il 55% dei legali e circa il 70% tra commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari. Un segnale che fa ben sperare, poiché propedeutico a realizzare progettualità con l’intelligenza artificiale.

Modelli organizzativi e di business. Tranne che nelle grandi strutture, faticano a evolversi modelli organizzativi e di business degli studi professionali. Quelli che utilizzano il lavoro da remoto per tutto il personale oscillano dal 28% dei commercialisti al 41% dei multidisciplinari, mentre superano il 65% nei grandi. Il 2-4% lo permette solo ai professionisti senior, il 14-30% a tutti i professionisti, mentre a concederlo solo in casi particolari o mai sono il 35% degli avvocati, il 48% dei commercialisti, il 41% dei consulenti del lavoro e dei multidisciplinari.

Dal 50% all’85% degli studi non è interessato a sviluppare nuovi servizi come il supporto all’internazionalizzazione delle imprese, la creazione di relazioni di business, accompagnamento delle imprese nella trasformazione digitale e verde, formazione per la cultura sull’innovazione digitale, upskilling e reskilling del personale aziendale.

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Le professioni esprimono però anche nuove tendenze che mettono in discussione paradigmi consolidati nel tempo. Più di metà del campione, ad esempio, desidera una rete di vendita o ritiene che il tema meriti una seria riflessione: aumentare il portafoglio clienti è un problema sentito soprattutto dalle piccole realtà, a cui però manca il tempo materiale per integrare ciò che proviene dal semplice passaparola.

Tra gli studi professionali è ancora da sviluppare una reale cultura customer oriented e servirebbero nuove competenze per soddisfare sia i bisogni del mercato che per ampliare l’offerta di servizi – afferma Francesca Parisi, Ricercatrice dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale –. Anche rimanendo focalizzati su attività tradizionali, attraverso reti di vendita, percorsi di aggregazione e investimenti in tecnologie evolute, è possibile ampliare il portafoglio clienti ed efficientare i processi lavorativi ottenendo importanti benefici, ma questo percorso risulta ancora molto difficile per le micro e piccole strutture. Le PMI, per gli studi si confermano un punto di riferimento, ma fanno ancora fatica a percepire i professionisti fuori dagli ambiti tradizionali: occorrerebbe investire anche nella comunicazione per potersi posizionare su nuove tematiche”.

Premio Professionista Digitale 2025. L’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale ha assegnato il “Premio Studio Digitale 2025” agli Studi che si sono distinti per capacità innovativa a livello organizzativo e di business attraverso le tecnologie digitali. Quest’anno sono stati assegnati due premi e una menzione d’onore. I due vincitori sono Studio Musella e Associati di Napoli con il progetto “HR Innovation Suite”, che si propone di rivoluzionare la gestione delle risorse umane attraverso lo sviluppo di un sistema software integrato e flessibile, corredato da applicazioni mobile e Studio Micci di Varese con il progetto “Smart Audit”, che integra tecnologie di process mining, tecnologie di e-learning in cloud e soluzioni tecnologiche sviluppate ad-hoc per erogare la formazione tramite un videogioco (serious game). Una menzione d’onore è stata assegnata a Studio Campagnoli di Piacenza per il progetto “Ufficio Digitale”, che consiste nello sviluppo di una piattaforma gestionale interna integrata e strutturata per digitalizzare ogni fase del lavoro, dall’organizzazione interna alla consulenza strategica per i clienti.

L’Osservatorio ha ricevuto oltre sessanta candidature e i progetti che sono arrivati tra i finalisti sono: Studio Commercialista Maraglino (TA); La Scala Società tra Avvocati (MI); Studio Mortandello (PD); M&W Veronesi e Associati Srl Stp (MO); Proclama Stp SpA (CT); Studio Professionale Associato Corti Fumagalli (MB); Studio Sciandra & Associati (GE).

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