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Fondi Ue per costruire la PA del futuro: ecco come sarà


La trasformazione digitale della pubblica amministrazione rappresenta oggi una delle principali direttrici di intervento delle politiche di coesione europee. In questo scenario, i Fondi strutturali e di investimento si configurano come strumenti centrali per accelerare processi di innovazione e migliorare l’efficacia dell’azione amministrativa.

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I fondi europei come leve della trasformazione digitale della PA

Nel solco tracciato dalle strategie europee per la coesione economica, sociale e territoriale, i Fondi strutturali e d’investimento (SIE), con particolare riferimento al Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e al Fondo Sociale Europeo (FSE), si configurano come leve trasformative in grado di imprimere una decisa accelerazione alla transizione digitale delle pubbliche amministrazioni italiane, in un momento storico in cui l’innovazione tecnologica non si configura più come opzione strategica, bensì come imprescindibile prerogativa di efficienza, trasparenza e competitività sistemica.

D’altronde, la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni non rappresenta un obiettivo fine a sé stesso, bensì il veicolo necessario per realizzare il principio di buon andamento amministrativo ex art. 97 Cost., inteso in chiave evolutiva come capacità dell’apparato pubblico di adeguarsi tempestivamente alle mutate condizioni economico-sociali, garantendo l’effettiva fruibilità dei diritti da parte dei cittadini e delle imprese.

Proprio in tale contesto, i Fondi di Coesione non solo finanziano interventi tecnologici, ma agiscono come catalizzatori di un processo di reingegnerizzazione sistemica del settore pubblico, favorendo la transizione da una logica cartacea e frammentata a una governance interconnessa, interoperabile e orientata ai dati.

Tuttavia, non può omettersi una riflessione critica sulla tendenza, ancora radicata in ampie porzioni dell’amministrazione italiana, a riprodurre in formato digitale modelli procedurali nati per l’analogico, con l’effetto paradossale di burocratizzare la trasformazione digitale stessa, assistendo così alla traslazione informatica di inefficienze strutturali anziché al loro superamento, tradendo lo spirito innovatore sotteso all’azione coesiva dell’Unione e disperdendo il potenziale trasformativo insito nei fondi strutturali.

Architettura multilivello e ruolo strategico del PON governance

Emblematica, in tal senso, è l’architettura multilivello della programmazione comunitaria 2014–2020, prorogata nella fase transitoria 2021–2022 e i cui effetti strutturali si proiettano nella nuova stagione 2021–2027, la quale ha visto il PON Governance e Capacità Istituzionale 2014–2020 fungere da perno per il rafforzamento amministrativo e digitale della pubblica amministrazione italiana, ruolo oggi ereditato e sviluppato dal nuovo Programma Nazionale “Capacità per la Coesione” (PN CAPCO), con una visione ulteriormente integrata sul piano dell’interoperabilità, dell’accesso ai dati e della valorizzazione delle competenze pubbliche.

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E’ proprio nell’intreccio virtuoso tra dimensione centrale e articolazione territoriale che tale strategia ha assunto il ruolo di fulcro strategico per la modernizzazione della macchina pubblica italiana, giacché il PON Governance non ha agito unicamente attraverso interventi diretti, bensì ha operato come cabina di regia e piattaforma abilitante, promuovendo e sostenendo le azioni intraprese dai Programmi Operativi Regionali (POR), i quali hanno saputo declinare, secondo le peculiarità dei contesti locali, le grandi direttrici nazionali ed europee in materia di e-government, open data, interoperabilità dei sistemi e accessibilità digitale; e laddove il PON ha incarnato la visione unitaria e strategica del disegno trasformativo, i POR hanno rappresentato la sua concretizzazione policentrica, dando vita a un mosaico di progettualità eterogenee ma sinergiche, il cui comune denominatore è stato l’intento di superare le disuguaglianze territoriali in termini di capacità amministrativa e maturità digitale.

Esempi territoriali di digitalizzazione pubblica sostenuta dai fondi Ue

  • In Sicilia, ad esempio, il POR FESR ha sostenuto lo sviluppo di piattaforme digitali integrate per la gestione delle emergenze, quali il sistema G.E.Co.S. (Gestione Emergenze e Comunicazioni Sicilia), che consente il coordinamento in tempo reale tra enti locali, protezione civile e strutture sanitarie, introducendo principi di interoperabilità funzionali a una risposta tempestiva e coordinata;
  • in Emilia-Romagna, si è registrata una significativa evoluzione nell’ambito dei servizi digitali al cittadino grazie al progetto LepidaID, federato con SPID, che ha reso possibile un accesso unificato e sicuro ai servizi pubblici regionali e locali, semplificando radicalmente il rapporto tra cittadino e amministrazione;
  • altresì in Puglia, il programma regionale ha finanziato il portale regionale di e-government, caratterizzato da servizi digitali nativamente interoperabili, garantendo così non solo la conformità al modello nazionale AgID, ma anche la concreta portabilità dei diritti digitali, a testimonianza di una visione che concilia innovazione tecnologica e coesione territoriale.

Questi esempi, pur nella loro eterogeneità, incarnano la filosofia dei Fondi di Coesione che, attraverso i POR e il PON Governance, promuovono un salto di qualità nell’efficienza e nell’accessibilità delle amministrazioni pubbliche, mirando a superare le storiche disuguaglianze tra regioni e territori.

Interoperabilità e diritto alla buona amministrazione digitale

Ed è in questo contesto che si impone una riflessione giuridica di ampio respiro sulla progressiva riconfigurazione del rapporto tra amministrazione e cittadino, alla luce del principio di interoperabilità che, evolvendosi da mero criterio tecnico a principio “di nuova generazione”, si erge quale pilastro in grado di incidere profondamente sul contenuto essenziale del diritto alla buona amministrazione e sul principio di non discriminazione nell’accesso ai servizi pubblici: in quanto non si limita a governare l’efficienza delle piattaforme digitali, ma impone una trasformazione concettuale e normativa che coinvolge la natura stessa dell’azione amministrativa.

Ed è proprio in questo quadro che il diritto amministrativo digitale si trova a fronteggiare una fase di autentica maturazione, in cui le tecnologie abilitanti — API, identità digitale, data governance, intelligenza artificiale — assumono lo statuto non di meri strumenti funzionali, bensì di fattori normativi attivi, capaci di plasmare la forma e la sostanza del procedimento amministrativo e di ridefinire le responsabilità istituzionali in termini di trasparenza, equità e controllo.

Governance collaborativa e trasformazione culturale della PA

I Fondi di Coesione, attraverso l’azione sinergica di POR e PON Governance, si configurano quindi come propulsori di una trasformazione che è al contempo organizzativa, giuridica e culturale, traducendo in pratica il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale, nella misura in cui orchestrano reti di collaborazione tra livelli istituzionali diversi e favoriscono partenariati pubblico-privati volti alla co-creazione di valore pubblico.

In tale orizzonte, il ricorso a indicatori di performance, l’introduzione di meccanismi di monitoraggio digitale e la valorizzazione dei dati come beni comuni amministrativi tracciano il profilo di un’amministrazione che non è soltanto “digitale per legge”, ma digitale per vocazione e visione: una pubblica amministrazione che si fa garante della legittimità e dell’efficacia dell’azione pubblica anche attraverso l’innovazione tecnologica.

Le sfide giuridiche della trasformazione digitale nella PA

Tuttavia, non può sfuggire che questa trasformazione apre a tensioni e interrogativi di grande rilievo: quale peso attribuire alla responsabilità algoritmica e come assicurare la trasparenza e la comprensibilità delle decisioni automatizzate? In che misura il principio di interoperabilità può diventare un vero e proprio diritto fondamentale, capace di democratizzare l’accesso ai servizi pubblici o, al contrario, rischiare di generare nuove forme di esclusione digitale? La posta in gioco supera così la mera ottimizzazione dei servizi: si tratta di rifondare il patto di fiducia tra istituzioni e cittadini, consapevoli che la legittimità dell’azione amministrativa nel XXI secolo non si misura più solo in termini di legalità formale, ma soprattutto in base alla capacità di essere comprensibile, accessibile, responsiva e, soprattutto, eticamente orientata.

In definitiva, i Fondi di Coesione non si configurano più come semplici strumenti finanziari, ma come autentici vettori di costituzionalizzazione tecnologica del settore pubblico, capaci di orientare il diritto verso una dimensione dinamica, fluida, aperta all’innovazione come fattore imprescindibile per la garanzia dell’effettività dei diritti fondamentali e della tenuta stessa delle nostre democrazie, tracciando una strada dove tecnologia e diritto si intrecciano in un dialogo costante e che impone un ripensamento critico e sistematico del ruolo pubblico e dei meccanismi di tutela dei cittadini, offrendo uno scenario di potenzialità e sfide destinato a definire la fisionomia della governance digitale per i decenni a venire.

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