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“Favorire la migrazione verso la fibra ottica”- Fortune Italia


Intervista ad Andrea Falessi, direttore della Comunicazione e delle relazioni istituzionali presso Open Fiber.

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La qualità delle infrastrutture digitali è sempre più determinante per la competitività dei territori. Pur a fronte di progressi significativi nella copertura del Paese, persiste un ampio divario nell’utilizzo effettivo delle connessioni ultra veloci.

Di fronte a questa sfida, emerge con forza la necessità di un coordinamento efficace tra i diversi livelli istituzionali per colmare il digital divide, così come l’urgenza di confrontarsi con l’impatto delle politiche europee sulla trasformazione digitale.

Ne abbiamo parlato con Andrea Falessi, direttore Comunicazione e relazioni istituzionali di Open Fiber.

La digitalizzazione del Paese richiede un coordinamento efficace tra livelli istituzionali, dal piano locale all’Europa. Qual è l’esperienza di Open Fiber?

Open Fiber ha intrapreso fin dalla nascita un’intensa collaborazione con i diversi livelli istituzionali. Il rapporto con Regioni e Comuni è stato cruciale. Per la costruzione della rete in fibra ottica, Open Fiber ha dialogato costantemente per ottenere permessi e autorizzazioni, coordinare i lavori con i piani locali, informare i cittadini e gestire le criticità di ogni territorio.

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La collaborazione ha permesso di superare ostacoli burocratici e logistici, adattando gli interventi alle esigenze locali. A livello nazionale, abbiamo interagito con diversi stakeholder tra cui il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, per gestire lo sviluppo del Piano per la banda ultralarga nelle cosiddette aree bianche; con la Presidenza del Consiglio – nello specifico il dipartimento per la Trasformazione digitale – per il Piano Italia a 1 Giga finanziato da fondi Pnrr, avendo come interlocutore – in entrambi i casi – Infratel Italia come soggetto attuatore, e ancora con gli Affari europei, il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e diverse Autorità indipendenti.

Il confronto è stato costante anche con il legislatore, per fornire contributi e proposte utili alla definizione di un quadro normativo favorevole agli investimenti e ad un processo di semplificazione normativa perseguita da diversi Governi nel corso degli ultimi anni.

E poi c’è il livello sovranazionale, europeo, che definisce le macro-strategie per la trasformazione digitale dell’Unione, poi recepite dai singoli Paesi, vigilando al contempo sul quadro concorrenziale e sulla disciplina degli aiuti di stato.

Questa collaborazione ha contribuito in modo sostanziale a una accelerazione nella costruzione e nella disponibilità delle nuove infrastrutture digitali, che ha consentito all’Italia di recuperare un grosso gap e riportare il Paese nella media europea.

 Nonostante una copertura Ftth che si attesta al 64 %, la penetrazione effettiva in Italia resta al 27,5 %. In che modo Open Fiber sta contribuendo a colmare questo divario?

L’Italia ha raggiunto un risultato notevole in termini infrastrutturali: siamo al 64,3% di copertura Ftth (Fiber To The Home).

La penetrazione effettiva, ovvero la percentuale di utenti che hanno sottoscritto abbonamenti in fibra ottica, ristagna però a meno del 30%, ben sotto la media Ue. È su questo divario che stiamo lavorando. Il nostro impegno è focalizzato sul necessario stimolo alla migrazione dalle vecchie reti in rame alle moderne infrastrutture in fibra ottica, per favorire una reale trasformazione digitale, fornendo al contempo un contributo alla transizione ecologica, se si considera che le nuove reti consumano fino all’80% in meno di quelle in rame o miste rame-fibra.

Open Fiber è il principale attore nella realizzazione dell’infrastruttura nei comuni italiani: l’adozione dei servizi a banda ultra larga in queste aree è fondamentale per lo sviluppo economico e per garantire pari opportunità a cittadini e imprese.

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L’Ftth, la fibra ottica fino dentro casa, garantisce prestazioni superiori in termini di velocità (fino a 10 Gigabit al secondo e oltre), stabilità e bassa latenza. Questa qualità della connessione è un fattore chiave, specialmente per le aziende che necessitano di servizi affidabili per applicazioni cloud e processi produttivi digitalizzati.

Bisogna dunque continuare con le campagne di informazione che promuovono i servizi sulla rete in fibra ottica “pura”, contribuendo a superare la diffidenza o la mancanza di conoscenza che a volte ne ostacolano l’adozione. Un lavoro costante che mira ad aumentare il take up contribuendo ad abbattere significativamente il digital divide e il digital speed divide, cioè la disuguaglianza nell’accesso a Internet ad alta velocità.

Il Digital Networks Act propone di accelerare la transizione al full-fibre con la dismissione delle reti in rame entro il 2028 per l’80 % degli utenti ed entro il 2030 per la totalità. Come si confrontano questi obiettivi con le specificità del contesto italiano?

L’Europa propone un obiettivo sfidante, per alcuni versi ambizioso ma indica una direzione necessaria e ineludibile, se si vuole contribuire ad aumentare la competitività del mercato e della società europei.

Il traguardo del completo switch off al 2030 deve confrontarsi con le specificità dei contesti nazionali e locali. L’Italia è un Paese caratterizzato da forti disuguaglianze territoriali, sia in termini geografici (zone montane, aree rurali, isole) sia in termini di sviluppo economico e densità abitativa.

Le grandi aree urbane e alcune zone più industrializzate hanno attirato una quota importante di investimenti privati in infrastrutture Ftth, mentre le cosiddette “aree bianche” (a fallimento di mercato) hanno beneficiato in larga parte degli interventi pubblici, certamente più complessi ma oggi a uno stadio molto avanzato (in particolare il Piano Bul è pressoché completato).

Nonostante i progressi nella copertura del territorio, la dismissione del rame è un processo che implica la migrazione di milioni di utenti, la propensione ad acquisire nuovi servizi (ancorché oggi a prezzi uguali se non inferiori rispetto a quelli forniti su reti legacy).

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Attualmente, una percentuale significativa di connessioni fisse in Italia è ancora basata su tecnologie misto fibra-rame (Fttc) o direttamente sul rame (Adsl).

Serve un’azione di sistema, che includa elementi di politica industriale e scelte del policy maker, per favorire una transizione più rapida possibile (che difficilmente potrà essere completata nel 2030).

Il basso livello di take up attuale, peraltro, è un disincentivo all’impiego degli ingenti capitali privati necessari al completo azzeramento del digital divide. Solo una prospettiva e tempi certi per lo switch off, garantiranno agli investitori adeguati ritorni sugli investimenti.

Nelle aree bianche, dove Open Fiber sta costruendo l’infrastruttura con fondi pubblici, l’azienda ha avviato progetti pilota in Comuni di piccole dimensioni per lo spegnimento delle reti in rame, con l’obiettivo di studiare e rendere disponibili a tutti le informazioni necessarie a favorire questo processo.

L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune Italia del giugno 2025 (numero 5, anno 8)

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