In breve
I veicoli elettrici rappresentano il futuro del settore automobilistico. Il comparto rimane uno dei pilastri della manifattura europea, ed è quindi impensabile rinunciare gettare la spugna nella sfida della competitività.
Tuttavia, per mantenere una posizione forte nella produzione automobilistica, l’Europa dovrà superare l’attuale fase di ambiguità e frammentazione, adottando una strategia capace di coniugare: apertura commerciale, rafforzamento della base industriale e un rinnovato attivismo diplomatico.
Oggi osserviamo un contesto di “concorrenza asimmetrica”. Le imprese cinesi beneficiano di economie di scala, un forte sostegno pubblico e competizione interna tra regioni. Questo permette sviluppo di mercato, innovazione e riduzione dei costi. L’Europa si presenta con un mercato unico frammentato, politiche industriali limitate e non coordinate e una base produttiva e di consumo non orientata verso la mobilità elettrica.
La risposta dell’Unione Europea si è dimostrata ambivalente e disomogenea. Servirebbe un grado di coordinamento tra gli Stati membri complesso da realizzare. In questo senso, una governance indirizzata verso investimenti esteri in settori strategici – come le batterie, i componenti elettronici e l’infrastruttura digitale – ridurrebbe gli squilibri competitivi interni e rafforzerebbe il potere negoziale dell’Unione. Una regia comunitaria su un numero ristretto di settori risulterebbe più incisiva, capace di coniugare coerenza regolatoria, supporto all’innovazione e attrazione selettiva di capitali.
Una strategia di “cooperazione selettiva” aiuterebbe l’Europa a radicare al suo interno segmenti strategici delle tecnologie verdi attraverso regole e standard condivisi e principi di reciprocità, incluse joint venture, accordi di licenza per il trasferimento tecnologico, il rispetto di standard di produzione ambientali e sociali e requisiti minimi per la localizzazione e la trasparenza degli investimenti.
In un contesto globale segnato da frammentazione e spinte protezionistiche, Europa e Cina mantengono l’interesse comune verso il multilateralismo come unica via per affrontare la sfida climatica. Azioni congiunte a sostegno della COP30 possono rappresentare un terreno di collaborazione positiva, contribuendo a costruire un clima di maggiore fiducia reciproca e favorire negoziati sui temi commerciali più contesi.
La trasformazione dell’industria dell’auto in Europa e la sfida posta dalla Cina
La transizione alla mobilità elettrica rappresenta per l’Unione Europea una sfida industriale di portata sistemica. La posta in gioco va oltre l’obiettivo della decarbonizzazione: riguarda la capacità manufatturiera e innovativa dell’Europa e l’equilibrio geoeconomico e geopolitico in un contesto di crescente frammentazione delle regole commerciali.
L’ascesa dell’innovazione industriale cinese sta ridefinendo le catene del valore globali e influenzando profondamente la traiettoria tecnologica del settore automobilistico, all’interno di una dinamica che si estende ben oltre i confini del settore.
L’accelerazione impressa dalla Cina negli ultimi anni nell’innovazione di prodotto e di processo, infatti, ha consentito a numerose imprese del Paese di acquisire un ruolo sempre più centrale nello sviluppo e nella produzione di tecnologie critiche, rafforzando la leadership nazionale in ambiti strategici. Tale slancio è stato fortemente sostenuto dallo Stato nella definizione delle priorità industriali, con l’obiettivo di portare la Cina ad assumere un primato globale nella produzione su larga scala di componenti, materiali e tecnologie essenziali per lo sviluppo industriale del Paese.
Questi obiettivi si sono tradotti in un sistema di interventi pubblici su vasta scala: incentivi, finanziamenti agevolati, misure di protezione del mercato interno. Questo processo ha contribuito in modo determinante alla modernizzazione del settore manifatturiero, puntando al contempo a ridurre la dipendenza da tecnologie estere e a promuovere l’autonomia tecnologica in ambiti strategici come quello dei veicoli elettrici, della robotica industriale, le energie rinnovabili, le batterie e i materiali critici. Il successo della strategia industriale cinese ha però messo sotto pressione la stabilità e i principi di concorrenza che regolano il commercio internazionale. Questi fattori, insieme alle spinte protezionistiche e unilaterali di altri importanti attori economici globali, hanno indebolito la fiducia nel multilateralismo, rendendo più difficile il raggiungimento di accordi internazionali efficaci e il rispetto di regole condivise.
L’approccio cinese si riflette nella rapida ascesa di aziende come BYD e CATL, divenute attori centrali della transizione globale verso la mobilità elettrica. Il rafforzamento di queste imprese, frutto della strategia industriale nazionale, ha ormai effetti rilevanti anche sugli equilibri commerciali e industriali internazionali. In particolare, la significativa espansione delle esportazioni cinesi di veicoli elettrici e batterie al litio, negli ultimi anni, ha contribuito ad acuire le tensioni con l’Unione europea, spingendo la Commissione a introdurre misure difensive sotto forma di dazi sui veicoli elettrici importati dalla Repubblica Popolare.
L’insieme di queste dinamiche ha generato una situazione di concorrenza marcatamente asimmetrica. Da un lato, le imprese cinesi beneficiano di economie di scala e di un sostegno pubblico che ha consentito loro di espandersi rapidamente in una fase cruciale di sviluppo del mercato. A questo si aggiunge una forte competizione interna tra regioni, che le spinge a innovare con rapidità, ridurre i costi ed espandersi verso nuovi mercati.
Dall’altro lato, l’Europa si confronta con un mercato unico ancora frammentato, strumenti di politica industriale limitati e poco coordinati, e una base produttiva e di consumo non ancora pienamente orientata verso la mobilità elettrica. Questa disparità accentua il divario competitivo e rende urgente una risposta strategica a livello europeo.
L’ambivalenza europea tra protezione e apertura
La risposta dell’Unione Europea a questa situazione appare ambivalente e disomogenea. Alcuni Stati membri coltivano relazioni bilaterali consolidate con la Cina; altri, pur favorevoli a mantenere un dialogo aperto, mostrano maggiore cautela. Questa eterogeneità indebolisce la credibilità dell’azione europea e rischia di innescare una concorrenza al ribasso tra Stati membri nel tentativo di attrarre investimenti cinesi, erodendo la competitività e la coesione del mercato unico. Emblematico in questo senso è il caso ungherese per i sussidi concessi a BYD per la costruzione di uno stabilimento per veicoli elettrici.
La Commissione ha riconosciuto questi rischi, come emerge dall’Industrial Action Plan for the European Automotive Sector e dal Clean Industrial Deal. Tuttavia, ogni risposta, per essere efficace, richiederebbe un grado di coordinamento tra gli Stati membri che finora si è rivelato complesso da realizzare nella pratica. Una governance più centralizzata degli investimenti esteri in settori strategici – come le batterie, i componenti elettronici e l’infrastruttura digitale – potrebbe contribuire a ridurre gli squilibri competitivi interni e rafforzare il potere negoziale dell’Unione.
Verso una nuova strategia di cooperazione selettiva
L’alternativa tra apertura incondizionata e protezionismo consiste in una strategia di cooperazione selettiva, basata su regole e standard condivisi e sul principio di reciprocità, volta a stimolare la competitività dell’ecosistema industriale europeo, promuovere la diversificazione delle fonti di approvvigionamento di risorse critiche e tutelare la privacy dei cittadini.
In questa direzione, è fondamentale valorizzare i partenariati industriali già esistenti e quelli potenzialmente realizzabili con aziende straniere presenti in Europa — attraverso joint venture o accordi di licenza — che potrebbero favorire il trasferimento di conoscenze, lo sviluppo congiunto di tecnologie e l’aggiornamento e l’ampliamento delle competenze della forza lavoro europea.
Questa apertura dovrebbe avvenire in un quadro di regole condivise tra gli Stati membri, in cui siano richiesti agli investitori cinesi il rispetto di standard di produzione, ambientali e sociali, un effettivo trasferimento di conoscenze e un coinvolgimento delle catene del valore locali. Parallelamente, un miglior coordinamento tra gli Stati membri è fondamentale per definire requisiti minimi comuni relativamente alla localizzazione degli investimenti e alla trasparenza degli incentivi pubblici concessi, evitando distorsioni di concorrenza interna al ribasso.
L’obiettivo è attrarre e radicare in Europa segmenti strategici delle catene globali del valore, contribuendo a generare un ecosistema industriale competitivo e innovativo per la produzione su scala delle tecnologie climatiche. Da parte italiana, dare seguito agli accordi di cooperazione in una ulteriore fase di sviluppo del MoU siglato nel luglio 2024, includendo queste indicazioni, potrebbe tracciare la rotta di un nuovo corso europeo.
Rimane inoltre importante rafforzare il coordinamento europeo in materia di politica industriale. Gli strumenti attualmente disponibili – come gli IPCEI, Important Projects of Common European Interest, programmi di investimento e fondi per la transizione verde – risultano spesso frammentati e non sufficientemente reattivi. È necessaria una regia comunitaria più incisiva, capace di coniugare coerenza regolatoria, supporto all’innovazione e attrazione selettiva di capitali. Per garantire un impiego strategico delle risorse pubbliche, Stati membri e agenzie europee dovrebbero concentrarsi su un numero ristretto di settori considerati prioritari. Sarà inoltre cruciale bilanciare in modo trasparente l’allocazione dei fondi tra imprese europee e progetti che coinvolgono attori cinesi, così da preservare una diversificazione equilibrata dell’ecosistema industriale.
Rilancio del multilateralismo per stabilizzare le relazioni industriali
La sfida posta dalla Cina nella mobilità elettrica non è soltanto di natura commerciale, ma profondamente strategica. Il veicolo elettrico rappresenta il futuro del settore automobilistico, che rimane uno dei pilastri della manifattura europea, e proprio per questo è impensabile rinunciare a competere in questo ambito. Per mantenere una posizione forte nella produzione automobilistica, l’Europa dovrà superare l’attuale fase di ambiguità e frammentazione, adottando una strategia che coniughi apertura commerciale regolata, rafforzamento della base industriale e un rinnovato attivismo diplomatico.
In un contesto globale segnato da frammentazione, competizione industriale e messa in discussione delle regole del commercio internazionale, rilanciare il multilateralismo dell’agenda climatica può rappresentare una leva strategica per costruire relazioni più resilienti. Nelle discussioni in corso tra Cina ed Europa — che culmineranno con la visita prevista per fine luglio a Pechino dei leader europei — uno dei nodi da risolvere riguarderà certamente le tariffe sulle importazioni di veicoli elettrici cinesi nel mercato europeo. Tuttavia, anche nel caso in cui si giunga a un accordo, è probabile che le relazioni tra le due parti rimangano caratterizzate da divergenze strategiche.
In questo contesto, un sostegno congiunto e un’intesa sul rafforzamento dell’agenda climatica in vista della COP30 potrebbero rappresentare un terreno di collaborazione positiva, contribuendo a costruire un clima di maggiore fiducia reciproca. Questo potrebbe favorire negoziati sui temi più contesi legati ai sussidi pubblici all’industria, alla natura degli investimenti cinesi in Europa e alla gestione strategica delle risorse critiche. Intese coerenti con gli obiettivi di decarbonizzazione europei al 2030, al 2040 e al 2050 potrebbero aprire la strada a un nuovo equilibrio economico a tutela degli interessi strategici dell’Unione in materia di commercio e politica industriale.
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