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il commercio al dettaglio perde il 30% delle imprese in dieci anni


Il settore moda a Modena e provincia si trova al centro di una trasformazione profonda, sospeso tra le opportunità offerte dall’innovazione digitale e le sfide imposte da un mercato sempre più competitivo. A lanciare l’allarme è FISMO Confesercenti Modena, che ha diffuso un’analisi dettagliata sull’evoluzione del commercio al dettaglio di abbigliamento, tessile e calzature nel territorio.

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I dati delle imprese attive comune per comune

Tra il 2014 e il 2024, il numero di imprese attive è sceso da 1.204 a 837, con una flessione del 30,5%, ben superiore alla media nazionale del 21,1% registrata nello stesso periodo.La crisi, già in atto da anni, ha subito un’accelerazione durante la pandemia di COVID-19. Solo tra il 2019 e il 2022, la provincia ha perso 111 attività, pari all’11%. I comuni più colpiti in questo triennio sono stati Modena, con 48 imprese cessate (-14,9%), Carpi con 10 cessazioni (-9%), Pavullo con 5 (-11,5%), Vignola con 6 (-9,7%) e Sassuolo con 6 (-6%). A livello comunale, nel periodo 2014-2024, Modena ha registrato la perdita più significativa in termini assoluti, passando da 370 a 243 imprese (-127). Seguono Carpi, da 141 a 97 (-44), Sassuolo, da 105 a 83 (-22), e Formigine, da 55 a 37 (-18). In termini percentuali, Modena ha superato la media provinciale con un calo del 34%, seguita da Formigine (-33%) e Carpi (-31%).
Le imprese individuali sono risultate le più vulnerabili, con un calo del 58%, seguite dalle società di persone (-23%) e dalle società di capitale (-19%). Le cause di questa contrazione sono molteplici. In primo luogo, la crescita esponenziale dell’e-commerce ha rivoluzionato le abitudini di acquisto dei consumatori, attratti dalla comodità, dalla velocità e dai prezzi competitivi offerti dalle piattaforme online. Le piccole imprese locali, spesso prive delle risorse per sviluppare una presenza digitale efficace, si sono trovate in difficoltà nel competere con i colossi del commercio elettronico. A ciò si aggiunge l’aumento dei costi gestionali – affitti, utenze, spese operative – che ha reso sempre più difficile mantenere la sostenibilità economica delle attività tradizionali. La contrazione dei consumi, aggravata da una percezione distorta dell’inflazione, ha ulteriormente ridotto i margini di sopravvivenza.

La spesa della famiglie nel settore

Nel 2023, la spesa delle famiglie italiane per abbigliamento e calzature è calata del 2,5%, attestandosi a 65,6 miliardi di euro. Secondo un’indagine ISTAT del 2024, quasi la metà delle famiglie ha dichiarato di aver ridotto gli acquisti in questo settore. Un dato che si scontra con l’inflazione reale, pari allo 0,8%, ma percepita nel comparto moda come molto più elevata, fino al 9,7% ad aprile 2025. Questa discrepanza ha inciso profondamente sulle decisioni di spesa.

I consumi condizionati da social e influencer

Il consumatore moderno è sempre più informato, esigente e influenzato da dinamiche nuove. L’83% degli acquirenti considera i consigli degli influencer un elemento determinante nel processo decisionale, e il 28,8% ha dichiarato di aver acquistato almeno un prodotto promosso da un influencer. Il fenomeno degli “haul”, video in cui si mostrano e commentano gli acquisti effettuati, è diventato un potente strumento di marketing, soprattutto sulle piattaforme come TikTok e YouTube.

Le tendenze del settore nell’analisi Unimore

Secondo la professoressa Elisa Martinelli dell’Università di Modena e Reggio Emilia, tra i principali driver che stanno plasmando il futuro del fashion retail vi sono sei tendenze chiave. In primo luogo, il digitale è ormai un elemento dominante. L’e-commerce nel settore moda in Italia è in forte espansione: si stima che il mercato online passerà da 16,48 miliardi di euro nel 2023 a 36,31 miliardi nel 2029, con un tasso di crescita medio annuo del 14,06%. I segmenti trainanti saranno l’abbigliamento e il lusso, con un valore aggiuntivo previsto di oltre 21 miliardi di euro. I consumatori sono attratti dall’ampiezza del catalogo, dalla convenienza dei prezzi e dalla possibilità di effettuare resi gratuiti e semplificati. Tuttavia, proprio i resi rappresentano una delle principali criticità per le aziende: nel settore dell’abbigliamento, la percentuale di resi ha raggiunto il 25%, con costi che possono superare il 60% del valore del prodotto.
A questa dinamica si affianca il fenomeno della “phygitalizzazione”, ovvero l’integrazione tra canali fisici e digitali per offrire un’esperienza d’acquisto unica e personalizzata. Tra gli esempi più innovativi figurano i totem interattivi nei negozi, i camerini smart, il servizio Click & Collect e la completa integrazione tra online e offline. La consegna a domicilio resta la modalità preferita dal 76,6% dei consumatori, ma cresce anche il ritiro presso punti esterni.
Un altro elemento dirompente è l’ultra-fast fashion, con attori globali come Shein e Temu che hanno rivoluzionato il modello di business, puntando su velocità, prezzi bassissimi e massiccio utilizzo dei social. Questo modello, sebbene efficace sul piano commerciale, solleva interrogativi importanti in termini di sostenibilità ambientale e sociale.
Proprio la sostenibilità rappresenta una delle sfide più urgenti. Il concetto di moda circolare, che punta a ridurre gli sprechi e massimizzare il riutilizzo, è ancora poco conosciuto. Sebbene il 60% dei cittadini europei si dichiari disposto a pagare di più per prodotti sostenibili, le scelte reali sono ancora fortemente condizionate dal prezzo. In questo contesto, il mercato del second-hand sta guadagnando terreno, offrendo un compromesso tra risparmio e responsabilità ambientale. Anche il fashion renting, ovvero il noleggio di abiti e accessori, si sta affermando come opzione emergente per un consumo più consapevole.
Infine, cresce la domanda di personalizzazione, sia nel prodotto che nell’esperienza d’acquisto, mentre l’innovazione nei materiali e nei processi produttivi sta ridefinendo l’intero panorama della distribuzione moda.
 Giulio Po, presidente provinciale di FISMO Confesercenti Modena, sottolinea la gravità della situazione: “La riduzione del 30,5% delle imprese del commercio moda nella nostra provincia non è solo un numero, ma rappresenta la perdita di posti di lavoro, di vitalità dei nostri centri urbani e di un pezzo della nostra identità economica e sociale. È fondamentale che le istituzioni implementino misure di sostegno concrete e mirate. Non possiamo permettere che i nostri negozi di vicinato, che rappresentano un presidio sociale e culturale fondamentale, vengano inghiottiti da dinamiche di mercato sempre più aggressive e da costi insostenibili”.
 Anche Marvj Rosselli, direttrice provinciale di Confesercenti Modena, ribadisce l’importanza di accompagnare le imprese in questo percorso di trasformazione: “L’accurata relazione della professoressa Martinelli porta all’attenzione tematiche cruciali per le nostre imprese. Gli spunti emersi possono essere di grande supporto per affrontare le difficoltà e cogliere le opportunità che il mercato presenta. Confesercenti Modena conferma il proprio impegno attivo a fianco degli imprenditori del retail moda, promuovendo conoscenza, formazione e adozione delle migliori pratiche”. Il settore moda modenese non è al capolinea, ma ha bisogno di una visione nuova, capace di coniugare tradizione e innovazione. La sfida è intercettare – e possibilmente anticipare – i cambiamenti in atto, per offrire ai consumatori un’esperienza d’acquisto all’altezza delle nuove aspettative. Innovazione, sostenibilità e centralità del territorio saranno le parole chiave per costruire il futuro del commercio moda a Modena.
 Nella foto da sx: Marco Poggi (Responsabile delle Politiche Associative), Giulio Po (Presidente FISMO Confesercenti Modena), Elisa Martinelli (docente UNIMORE), Marvj Rosselli (Direttrice Provinciale Confesercenti Modena)



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