Dalla deriva economica al boom delle spese militari, il punto sulla situazione e sulle prospettive dell’economia e della politica tedesca, non certo brillanti, che influenzano anche altri Paesi Ue, in primis l’Italia.
Il testo che segue, appoggiandosi a numerose fonti internazionali, cerca di fare il punto sulla situazione e sulle prospettive dell’economia e della politica tedesca, situazione e prospettive che non appaiono certo brillanti, influenzando necessariamente e in senso negativo anche gli altri Paesi dell’UE, dati gli stretti rapporti economici esistenti.
L’analisi di Munchau
Sul fronte dell’Europa a 27 si percepisce un diffuso sentimento di pessimismo sul futuro del continente, accanto ai primi cigolii dei carri armati. Al cuore della crisi ci sono indubbiamente le difficoltà della Germania, il Paese di gran lunga più importante dell’Unione.
A volte un solo libro riesce a ricostruire in modo convincente delle situazioni anche molto complesse. Per capire il quadro generale dell’economia tedesca può così forse bastare l’analisi che sul tema ha svolto Wolfgang Munchau, uno dei migliori giornalisti economici occidentali; egli ha pubblicato nel 2024 un volume dal titolo Kaputt (Munchau, 2024), che parte dalla constatazione della fine del miracolo economico tedesco e ne analizza con acume le cause.
In sintesi, l’autore ricorda che il mondo è cambiato e la Germania no; essa per l’autore ha ancora un’economia da XX secolo, la cui spinta propulsiva appare ormai del tutto esaurita (tra l’altro, negli ultimi tre anni il Pil tedesco ha mostrato un segno negativo, anche se le difficoltà si percepivano già nel 2019). Se pensiamo poi che la Germania è di gran lunga il Paese dell’UE economicamente più importante, in particolare con il suo sistema industriale e con le strette interconnessioni di fornitura con molti altri Paesi dell’area, c’è naturalmente motivo di preoccuparsi seriamente.
Le ragioni della crisi tedesca per l’autore stanno principalmente nel fatto che il Paese ha gestito male lo stesso settore industriale su cui si basava il suo sviluppo e ha valutato sempre male l’evoluzione delle tecnologie e delle questioni geopolitiche. Al momento dell’unificazione aveva alcune delle migliori imprese industriali del mondo, in particolare nell’auto, nella chimica, nella meccanica, ma non ha visto arrivare le tecnologie digitali e quando lo ha capito ne ha tratto le conclusioni sbagliate; il rifiuto di adottare le nuove tecnologie è per Munchau il peccato originale del sistema.
Ricordiamo che, quanto al settore tradizionalmente più importante dell’economia tedesca, l’auto, che l’era della benzina o del diesel, con tutte le sue sofisticazioni meccaniche in cui le case tedesche eccellevano, sta finendo e che l’auto elettrica che la sta sostituendo è un’altra cosa, composta com’è di batteria e software. Le imprese tedesche del settore automotive se ne sono accorte operativamente molto tardi ed ecco che milioni di posti di lavoro al momento sono a rischio. Mentre da Oriente incalza l’auto a guida autonoma.
I capi delle grandi imprese e i leader politici hanno continuato a effettuare scommesse sbagliate, tecnologiche, geopolitiche ed economiche, con l’idea che l’economia coincidesse con l’industria.
Si è diffusa presto nel Paese, continua Munchau, una mentalità neo-mercantilista che ricorda le politiche commerciali della Francia del diciottesimo secolo e che ha contagiato i politici e i manager. I mercantilisti amano commerciare in beni fisici e sono sospettosi delle tecnologie innovative. La cosa ha prima funzionato, poi però ha smesso di farlo. La controparte del mercantilismo è il corporativismo. Per diversi decenni i governi di destra e di sinistra hanno lavorato mano nella mano con le grandi imprese, facendo gli interessi di alcune industrie campione. La politica industriale così si è sviluppata a spese di una diversificazione produttiva e del sostegno alle industrie nuove.
Anche puntare, parallelamente, gran parte delle carte sullo sviluppo delle esportazioni è apparsa a suo tempo una mossa vincente; ma la mancanza di un rinnovamento tecnologico e l’assenza del Paese di settori nuovi, le confusioni del mondo anche prima dell’arrivo di Trump, e ancora la crescente concorrenza cinese sui settori tradizionali, dopo che Berlino aveva puntato tante delle sue carte sul gigante asiatico, hanno bloccato tale strategia. La chiusura delle forniture del gas russo dopo lo scoppio della guerra in Ucraina ha fatto il resto. Intanto, il blocco della spesa pubblica ha comportato come risultato avere infrastrutture decrepite, accelerando così la débâcle. Aggiungiamo una burocrazia elefantiaca; si pensi che per ottenere un permesso di costruzione in certi casi bisogna rispettare circa 3.000 normative diverse. Nel settore militare la decisione sulll’acquisto di un martello richiede sette anni di tempo, per fare giusto un esempio paradossale.
Leggendo il testo di Munchau a chi scrive veniva alla mente un altro libro più antico, La strana disfatta del grande storico francese Marc Bloch, volume scritto nel 1940, nel pieno della guerra, che racconta come i generali francesi avessero combattuto nella seconda guerra mondiale l’esercito tedesco con gli armamenti e l’organizzazione della prima.
La questione del lavoro
E’ noto come il settore dell’auto sia al cuore dell’industria europea. Secondo una stima molto prudenziale occupa, nei Paesi dell’UE, circa 15 milioni di addetti. E al cuore dell’auto europea c’è la Germania. I tecnici tedeschi del settore, grazie a prodotti sofisticati venduti con forti margini in tutto il mondo, sono tra i più pagati a livello internazionale e godono tuttora di un grande prestigio (Boutelet, 2025, a). Ma l’avvento dell’auto elettrica e in prospettiva di quella a guida autonoma, con relativo grande mutamento della tecnologia, nonché la concorrenza cinese e i ritardi accumulati dalle aziende tedesche, cui abbiamo già fatto cenno, nonché la concorrenza anche dai gruppi francesi, stanno cambiando del tutto le carte in tavola. Si chiudono le fabbriche, si riduce il numero dei dipendenti; è tutto uno stile di vita che è messo in causa.
Si perdono ogni mese 10.000 impieghi industriali, mentre il peso del settore industriale sul totale del Paese, che era del 48% nel 1960, è sceso al 28% nel 2000 e al 23% nel 2024 (Boutelet, 2025, a). Parallelamente diventa sempre più importante, anzi dominante, il settore dei servizi, che passa nello stesso periodo dal 38% al 76%.
I temi della campagna elettorale
Come sottolinea Wolfgang Streeck (Streeck, 2025), la campagna elettorale tedesca non è stata dominata dalla grave crisi fiscale, né dal processo di riscaldamento globale, né ancora dalla stagnazione economica, dall’aumento della povertà, dal crescente decadimento delle infrastrutture fisiche del Paese, o dal declino della qualità dell’istruzione primaria e secondaria. Il principale argomento della campagna è stato la crescita dell’AfD e quale ruolo permettergli di giocare nella politica tedesca.
Va a questo proposito sottolineato che in tema di immigrazione le posizioni del partito di estrema destra sono in larga parte identiche a quelle del partito di Merz e che poco prima del giorno delle elezioni la AfD ha votato a favore di una risoluzione dello stesso futuro cancelliere proprio sull’immigrazione.
La caduta del freno al debito
Quella descritta da Munchau è sostanzialmente la situazione economica che eredita il nuovo governo tedesco. Vogliamo preliminarmente sottolineare che tra le cose buone che a nostro parere aveva fatto a suo tempo Angela Merkel c’era proprio l’allontanamento dalla vita politica di Friedrich Merz. Ora tale singolare personaggio ha vinto in qualche modo le elezioni e sta cercando di portare avanti una sua politica, che ci sembra molto avventurosa su vari fronti.
I punti principali della strategia del nuovo governo sono sostanzialmente tre: l’allentamento del freno al debito, la parallela politica di riarmo, la lotta all’immigrazione.
Come scrive Carlo Giordana (Giordana, 2025), la Germania ha storicamente fatto della prudenza fiscale un pilastro identitario della propria politica economica; nel 2008, dopo la crisi finanziaria, è stata così introdotta una norma costituzionale per limitare severamente la spesa pubblica, provvedimento noto come lo Schuldenbremse (freno all’indebitamento). Se vogliamo, come scrive ancora Giordana, la paura del debito era anche il riflesso dei traumi dell’iperinflazione e del collasso economico del Novecento, che si sono fortemente impressi, anche per gli esiti che hanno portato, nella coscienza collettiva. Ma si potrebbe aggiungere che la diffidenza dei tedeschi verso il debito si può far risalire a molti secoli prima, al periodo della Lega Anseatica, organismo commerciale che proibì le vendite a credito per stroncare la concorrenza dei mercanti italiani nell’area.
Il riarmo
Con le modifiche costituzionali adottate di recente al precedente meccanismo di freno al debito, la Germania investirà ora 500 miliardi in 12 anni per le infrastrutture, mentre gli investimenti nella difesa di base ammonteranno a 95 miliardi già quest’anno e raggiungeranno il 3,5% del Pil nel 2029. Berlino farà così circa 845 miliardi di euro di nuovo debito nei prossimi quattro anni. Intanto Merz ha deciso di mandare all’Ucraina i missili Taurus, capaci di volare sino a 500 chilometri dentro il territorio russo.
Il forte aumento della spesa per il riarmo è giustificato dal cancelliere Merz con la minaccia russa e con il presumibile distacco militare progressivo degli Stati Uniti dal nostro continente. Sembra però soprattutto un facile modo per far ripartire l’economia.
Tale mossa trova una forte opposizione non solo da parte della Linke, della BSW, da una parte del partito dei Verdi, ma anche dalla sinistra socialdemocratica, dall’AfD e da alcuni esponenti dello stesso partito di Merz. In particolare la vecchia guardia dell’SPD ha pubblicato una mozione che critica i piani di riarmo del Governo mentre spinge per un graduale ritorno alla distensione e alla cooperazione con la Russia. Se un rafforzamento della difesa in Germania e in Europa appare globalmente necessario, si legge nel documento, esso deve essere inserito in una strategia di de-escalation e di costruzione di un clima di fiducia, non in una nuova corsa agli armamenti (Chassany, 2025, a). Ricordiamo incidentalmente che i rapporti amichevoli tra Germania e Russia si sono dispiegati nell’arco di alcuni secoli.
I dissidenti potrebbero rendere la vita difficile al governo, che dispone di una maggioranza di soli 13 voti, in particolar modo nel far passare in Parlamento il budget, la spedizione di nuove armi all’Ucraina e il ritorno alla leva obbligatoria (Chassany, 2025, a).
Si sta infatti discutendo di ripristinare in Germania la leva militare obbligatoria. Sulla sia del primo discorso al Bundestag del cancelliere Merz, nel quale ha promesso di creare l’esercito più potente d’Europa a livello convenzionale.
Sempre Streek sottolinea, nel testo già citato, come il piano di riarmo del nuovo cancelliere sia stato accolto con entusiasmo dalla stampa europea. Così The Economist ha parlato di “una partenza magnifica del nuovo governo”, mentre si trattava di “un salto coraggioso e necessario” secondo The Guardian, di “un risveglio della Germania” per il Financial Times, di “una svolta importante e benvenuta” per Le Monde.
Il 4 giugno il governo di Berlino ha annunciato un piano per rilanciare gli investimenti; esso prevede 46 miliardi di riduzione di imposte e di accelerazione degli ammortamenti entro il 2029, misure di sostegno all’acquisto di vetture elettriche, agevolazioni per le spese in ricerca e sviluppo (Boutelet, 2025, b).
La politica anti-immigrati
Mentre la Germania lotta con il problema della mancanza di manodopera, non riuscendo a far funzionare adeguatamente neanche i servizi pubblici di base, in giro si diffonde sempre più un sentimento anti-immigrati. Il nuovo governo tende ad allinearsi con quei Paesi europei che cercano di inasprire le politiche migratorie. Tra l’altro, si è avviato un programma di respingimento alle frontiere di tutti gli immigrati irregolari, compresi quelli che vogliono chiedere il diritto di asilo. Merz ha inoltre dichiarato la volontà di istituire dei centri per migranti in Paesi terzi, mentre sta tagliando i finanziamenti alle ONG che operano a favore dei migranti in difficoltà e promette di porre fine alla possibilità degli immigrati di ottenere la cittadinanza rapidamente. Comunque su questo tema il cancelliere deve far fronte alle riserve e ai freni degli alleati socialisti.
Il problema delle pensioni e la proposta di lavorare di più
Oggi il 27% del budget del governo federale, circa 133 miliardi di euro nel 2025, viene utilizzato per coprire i buchi negli schemi pensionistici pubblici. Gli sviluppi demografici, in particolare l’invecchiamento della popolazione, pongono pressioni crescenti sulle finanze del Paese. Il cancelliere propone a questo proposito di introdurre incentivi fiscali per i lavoratori che decidano di continuare a lavorare dopo l’età normale di pensionamento, ma la Bundesbank avverte che tale proposta avrebbe soltanto un effetto limitato sulle finanze (Storbeck,2025). Un adeguato inserimento di immigrati nel tessuto produttivo potrebbe contribuire a ridurre il problema, ma su questo punto il nuovo governo non sembra disponibile.
Il fatto è che mentre si registrano gravi mancanze di personale in molti settori produttivi, entro il 2035 4.8 milioni di lavoratori, il 9% della forza lavoro totale, andranno in pensione e il governo deve persuadere le giovani generazioni a lavorare di più, mentre sino a ieri i sindacati spingevano per ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni. La Germania ha il più basso numero di ore lavorate per dipendente di tutto il mondo occidentale, mentre d’altro canto ha uno dei più alti tassi di partecipazione alla forza lavoro. Quattro su cinque persone in età lavorativa hanno un impiego.
I rapporti con gli Usa e con Israele
Nei primi mesi del 2025 Merz, dopo le minacce di Trump sui dazi e i suoi rapporti amichevoli con la Russia sulla questione ucraina, aveva affermato che l’Europa non poteva contare più sugli Usa per la sua difesa, che bisognava raggiungere l’indipendenza dagli stessi e che gli Usa erano ormai indifferenti al destino dell’Europa (Chassany, 2025, b).
Ora, a distanza di poche settimane, il cancelliere racconta invece che la Germania rimarrà dipendente dagli Usa ancora molto a lungo e, avendo parlato con Trump, si sente rassicurato dall’impegno degli Usa verso la Nato. Inoltre egli accetta di buon grado di portare la spesa militare al 5% del Pil, come suggerito da Trump e come hanno accettato di fare quasi tutti i leader dell’UE, in un incredibile atto di servilismo atlantico. Evidentemente a Washington dispongono di mezzi molto persuasivi nei confronti del cancelliere e degli altri.
Anche sul fronte dei dazi di Trump, Merz mantiene un atteggiamento amichevole, mentre spinge per un accordo rapido con Washington, a tutti i costi, è pronto ad accettare una soluzione asimmetrica, tutta a favore degli Usa, come del resto sembra auspicare la maggioranza dei Paesi dell’UE. Si può prevedere che il negoziato si concluderà sostanzialmente più o meno alle condizioni di Trump. I paesi dell’UE hanno anche accettato di esentare sostanzialmente le imprese Usa dalla tassa globale minima sulle multinazionali. Alla fine la pagheranno solo gli europei.
Sul fronte israeliano, bisogna ricordare che il Paese ha un complesso di colpa molto forte verso il popolo ebraico; sembra però sia ormai passato ogni segno e la Germania non solo non ha preso posizione contro le atrocità della macchina bellica di Israele, ma ora sulla guerra all’Iran Merz ha dichiarato che Israele stava facendo il lavoro sporco “anche per noi”.
Al contrario di quanto è successo nel caso del conflitto in Ucraina, i Paesi dell’UE sono bene lontani da un accordo sulla necessità di esercitare pressioni su Israele e non si parla certo di sanzioni. I popoli del Sud del mondo prendono nota.
Conclusioni
L’analisi di Munchau, così come la forte affermazione dell’AfD a livello politico, ci mostrano in maniera precisa la profondità della crisi tedesca e indirettamente di quella dell’UE. Ora, l’elezione di Merz, un personaggio di cui la maggioranza dei cittadini tedeschi, e non solo la Merkel, diffida, e che non sembra poter affrontarla in maniera adeguata, si è inaugurata una nuova stagione. La coalizione con i socialdemocratici appare abbastanza debole e non si può prevedere quanto durerà e anche le minacce di dazi di Trump tendono a indebolire ancora di più un’economia tedesca, ed europea, già in difficoltà (Editorial, 2025). Invece degli errori sottolineati da Munchau il nuovo governo sembra incline a farne di nuovi.
Certo, l’allentamento del freno al debito permetterà di concentrare delle risorse importanti sul decrepito sistema infrastrutturale del Paese e ciò appare una cosa positiva, così come appare positivo il previsto aumento del salario minimo, sia pure annunciato in due tempi. Ma il forte accento messo soprattutto sull’aumento delle spese militari mostra il tentativo di nascondere l’incapacità di pensare ad una nuova politica economica adeguata; quella dell’investire sulle armi appare in sostanza una costosa diversione dalla necessità di costruire un’economia del XXI secolo. Il problema fondamentale dell’economia tedesca appare in effetti quello di trovare il modo di inserirsi in maniera almeno dignitosa nei settori ad alte tecnologie, traguardo a cui oggi il Paese e la stessa UE sono ancora lontane. Su questo fronte le proposte languono.
Sul fronte esterno invece la ribadita e cieca fedeltà agli Stati Uniti e l’ostilità che traspare, oltre che verso la Russia, verso la Cina, mentre più in generale i rapporti con il resto del Sud del mondo restano su uno sfondo lontano, mostrano di nuovo un atteggiamento ottuso e controproducente, seguito anche da parte dell’UE. Naturalmente poi la politica di immigrazione del nuovo governo appare ripugnante.
Sulla base di tali premesse, chi scrive si sente di dire che presumibilmente il lento declino economico della Germania e dell’UE proseguirà indisturbato, mentre si accentuerà l’irrilevanza politica delle due entità nel contesto mondiale.
Testi citati nell’articolo
-Boutelet C., Les syndicats allemands face à la déindustrialisation, Le Monde, 17 giugno 2025, a
-Boutelet C., L’Allemagne dévoile de nouvelles mesures de relance économique, Le Monde, 6 giugno 2025, b
-Chassany A.-S., Germany’s Social Democrats face mutiny over Russia, www.ft.com, 27 giugno 2025, a
-Chassany A.-S., Germany’s Merz signals long-term reliance after Donald Trump meeting, www.ft.com, 6 giugno 2025, b
-Giordana C., Germania. Aperture sul debito pubblico e stretta sulle migrazioni, Volere la luna, 29 maggio 2025
-Editorial, The Guardian view on Germany’s political uncertainty…, www.theguardian.com, 6 maggio 2025
-Munchau W., Kaput, the end of the german miracle, Swift Press, Londra, 2024
-Storbeck O., Frederich Merz plan won’t fix Germany’s pensions crunch, warns Bundesbank, www.ft.com, 17 giugno 2025
-Streek W., The road right, New Left Review, marzo-aprile 2025
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