L’introduzione dell’Intelligenza Artificiale in tutti i settori della società sta procedendo ad un ritmo ormai esponenziale, andando ben oltre le capacità e i tempi di evoluzione degli strumenti sociali e normativi per gestirla, e per adattarla alle necessità umane. Ed è anche probabile, che siamo noi esseri umani che ci stiamo adattando gradualmente ad essa, rimodulando i nostri modelli di lavoro e quelli sociali.
Essere consapevoli dei rischi che corriamo, in questo periodo di profondo cambiamento, implica la necessità di dotarsi di adeguati strumenti di controllo per gestire queste trasformazioni, per utilizzare l’Intelligenza Artificiale e le sue applicazioni in un’ottica di avanzamento complessivo delle nostre società, consentendo uno sviluppo che tenga sempre conto dei principi etici, di rispetto della vita e della dignità delle persone.
Non ci occuperemo in questa sede dei rischi sistemici che questa nuova tecnologia può creare, sia per le società nel loro insieme che nei rapporti tra gli stati, ma vogliamo affrontare la tematica degli impatti che l’introduzione di questi strumenti sta avendo sul mondo del lavoro. Perché una cosa è certa: questi cambiamenti che stanno avvenendo sotto i nostri occhi hanno già trasformato molte delle nostre attività, e gli effetti li stiamo vedendo, ogni giorno.
Molti lavori umani vengono progressivamente eliminati, e tutte le altre attività stanno subendo delle trasformazioni profonde, non solo per l’utilizzo dei modelli di AI, ma persino nell’approccio stesso alla risoluzione dei problemi.
Nel discutere degli impatti sul mondo del lavoro abbiamo anche ben presente che molti nuovi posti di lavoro verranno creati, ma stiamo anche vedendo che questa trasformazione la stanno gestendo le aziende, in un’ottica di profitto, mentre gli impatti sociali, e gli strumenti per gestirli, tardano ad essere persino pensati e progettati.
L’Intelligenza Artificiale rappresenta oggi una forza di ristrutturazione generalizzata, del mondo del lavoro ma anche dell’intera economia, perché non stiamo assistendo semplicemente all’introduzione di una nuova tecnologia, come già successo nelle rivoluzioni industriali e tecnologiche passate, ma ci troviamo di fronte ad una forza trasformativa che investe tutti i tipi di attività, in ogni settore, e che mette in discussione il concetto stesso di lavoro e di dignità umana che ad esso è sempre è stata associata. E’ un cambiamento che investirà progressivamente il modello di vita di molti milioni di persone, in tutto il mondo.
Come impatta l’AI sul mondo del lavoro
L’introduzione dell’AI nel mondo del lavoro sta provocando sostanzialmente due effetti: da una parte sostituisce completamente alcune attività, rendendo l’impiego dell’AI più economico ed efficace nella gestione di molte attività di come queste possono essere gestite da un qualsiasi operatore umano. Dall’altra, agisce come elemento di profonda ridefinizione per tutte le altre attività, anche di quei lavori per cui la presenza dell’uomo risulta ancora fondamentale, ma per cui occorre sviluppare delle competenze nuove, in grado di padroneggiare e sfruttare al meglio questi sistemi, per migliorare e rendere più efficiente il lavoro umano.
L’effetto complessivo di questi cambiamenti è stato analizzato in molte ricerche ed indagini di mercato, e il messaggio che è passato finora è che i posti di lavoro che si creeranno saranno molti di più di quelli che andranno persi.
E’ un messaggio ottimistico che va però accolto con molta prudenza, perché una trasformazione di tale portata non si autoregolamenterà certo da sola, come è successo in passato per altre tecnologie, che avevano dei tempi molto più lenti di introduzione che hanno consentito un adattamento graduale. Questo passaggio avrà bisogno di una nuova consapevolezza, anche politica, che porti alla comprensione profonda di quello che sta succedendo, e che possa guidare lo sviluppo di adeguati strumenti, legislativi e sociali, di regolazione e di supporto.
AI: quali settori sono interessati e quali sono i rischi
I sistemi di AI si stanno introducendo ovunque: per controllare i Robot industriali, per fornire delle previsioni basate sull’analisi dei dati storici, per il riconoscimento delle immagini con tutti i possibili impieghi per la sicurezza, per l’analisi dei big data per scoprire correlazioni tra caratteristiche non rilevabili con gli strumenti di analisi classici, per lo studio di referti medici e l’individuazione di possibili patologie, per la guida autonoma degli autoveicoli, e così via.
In tutti questi casi, e in molti altri ancora, diventa fondamentale mettere sempre al centro, della progettazione e dello sviluppo di questi sistemi, il tema del “Controllo” umano. Perché, ed è necessario esserne consapevoli, questi sistemi sarebbero perfettamente in grado di prendere delle decisioni in modo autonomo, sulla base degli algoritmi di funzionamento e dei dati con cui sono stati addestrati, e sarebbero in grado di procedere direttamente con le azioni conseguenti alle loro decisioni. Inoltre, ci sono due questioni importanti di cui occorre sempre tener conto, che devono consigliarci una grande prudenza e convincerci dell’ineludibilità dei controlli: l’immaturità di questi sistemi, e le possibili conseguenze delle loro azioni, valutate in base al contesto in cui vengono impiegati.
Il primo punto è facilmente comprensibile: i risultati che si ottengono oggi dalle AI sono conseguenza dei dati utilizzati per l’addestramento, oltre che dei parametri impostati in fase di progettazione per gli algoritmi di Machine Learning. Per entrambi questi aspetti si possono ottenere dei risultati inattesi, dovuti sia alla qualità dei dati di addestramento utilizzati, sia alle scelte effettuate dai progettisti. I “bias” sono sempre in agguato, per il semplice motivo che sono insiti in tutte le decisioni umane, e di conseguenza sono presenti anche nei dati che vengono creati e pubblicati di continuo, e che vengono poi usati per addestrare questi modelli.
E’ sempre più evidente la necessità di addestrare i sistemi di AI con dati “certificati”, cioè, controllati e corretti preliminarmente, come quelli resi disponibili, ad esempio, dalle Pubbliche Amministrazioni, o da enti scientifici qualificati. Una pratica assolutamente deleteria, per molte applicazioni, sarebbe quella della “pesca a strascico” sul web, per raccogliere grandi quantità di dati senza garanzie di attendibilità e di qualità. In ogni caso, i “bias” oggettivi non potranno essere sempre completamente individuati e corretti, perché molto contano anche le opinioni di chi produce i dati, e di chi li raccoglie, come anche l’interpretazione della realtà, soggettiva, di chi concepisce e progetta i sistemi. E dobbiamo anche essere consapevoli delle “Allucinazioni” che l’immaturità di questi sistemi, e delle tecniche di progettazione degli algoritmi, provoca a volte nei risultati ottenuti.
Il secondo punto da considerare è il possibile impatto delle decisioni prese dai sistemi di AI sulle persone e sui sistemi critici. Non a caso l’ AI Act, approvato dal Parlamento Europeo nell’agosto 2024, basa il proprio approccio sul “Livello di Rischio” dei sistemi di AI. Il rischio, cioè, che decisioni non controllate, o non gestite correttamente, possano provocare dei danni, di diverso livello e intensità, a persone o ad infrastrutture critiche.
L’esempio più estremo è quello dei sistemi d’arma controllati dalle AI, che possono prendere decisioni in una frazione di secondo, rendendo in certi casi inefficace, o tardivo, il controllo umano. E’ un tema da affrontare con grande urgenza, e che dovrebbe portare a dei trattati internazionali per limitare la proliferazione di questo tipo di armamenti autonomi, alla stessa stregua di quanto fatto per gli armamenti nucleari.
Autorevoli esponenti della comunità scientifica internazionale hanno messo in guardia contro rischi sistemici, da Steven Hawking a Geoffrey Hinton, da Yoshua Bengio a Yuval Harari, e a tanti altri [1]. Molti hanno anche prefigurato dei rischi esistenziali per la razza umana, nel caso in cui dei sistemi di AI sfuggissero al controllo umano, per errore o per scelta. Sono timori forse eccessivi, che possono anche sembrare ispirati ai cliché cinematografici più distopici, ma sono rischi che definire inesistenti sarebbe azzardato, quindi non andrebbero affatto sottovalutati.
La pervasività dell’AI riguarda ogni settore e ogni possibile impiego, e riguarda anche la creazione di Robot Antropomorfi guidati da AI individuali, in grado di interagire direttamente con le persone. Man mano che la loro evoluzione, già molto avanzata, renderà disponibili questi androidi su larga scala e a prezzi accessibili, assisteremo ad un loro sempre più largo impiego, e vedremo quindi questi Robot entrare nella nostra quotidianità.
Questi Androidi potranno essere usati nell’assistenza alle persone fragili, anziane o malati, o anche come aiutanti nei negozi e nelle aziende, come assistenti o personal trainer, come operai instancabili sulle postazioni di lavoro, e via dicendo.
Questa possibilità è fortemente sostenuta dall’attivissimo Elon Musk, che si prepara alla produzione in serie di questi Robot sul modello del “Tesla Optimus”, dalle prestazioni già oggi strabilianti, in termini di movimento e di controllo delle interazioni con l’ambiente circostante. E’ possibile prevedere l’introduzione di questi Androidi nelle nostre case nel giro di qualche anno. Questi sviluppi ci porteranno a degli scenari del tutto nuovi, e ci porranno davanti a delle riflessioni di tipo sociale e psicologiche di diverso tipo, non tutte piacevoli. Ma restiamo nell’ambito del mondo del lavoro.
Le nuove competenze da sviluppare
Un mondo del lavoro pervaso dai sistemi di AI richiede una profonda evoluzione delle Competenze, e quindi anche la necessità di una formazione continua per tutti i lavoratori, che saranno, in misura maggiore o minore, impattati da questa rivoluzione. Questa necessità riguarderà sia i giovani, che si preparano a entrare gradualmente nel mondo del lavoro, sia il personale già in attività. Sono due categorie di problemi di diversa natura, da affrontare in modo differente, perché diverse sono le criticità.
Il primo problema da affrontare, che riguarda la formazione dei giovani, investe l’inadeguatezza degli attuali programmi scolastici ed universitari, che devono necessariamente adeguare metodi e strumenti per fornire le nuove competenze, e per preparare i giovani ad affrontare questi temi. Oggi i nostri istituti superiori e i nostri dipartimenti universitari sono in grande affanno per creare dei percorsi specifici sull’utilizzo e la progettazione di questi sistemi. Un ritardo dovuto soprattutto alla carenza di competenze specialistiche tra gli insegnanti ed i docenti su queste nuove tematiche, anche se molte eccellenze sono presenti anche in Italia. E bisogna tener conto anche della lentezza endemica con cui si evolve l’istruzione italiana, in notevole disallineamento rispetto all’attuale velocità di questi cambiamenti. C’è un notevole ritardo nell’adeguamento dell’istruzione in Italia a queste nuove realtà, basti pensare che, secondo l’ ISTAT, nel 2023 solo il 45,7% delle persone tra i 16 e i 74 anni possedeva competenze digitali di base, e questo pone l’Italia è al 23° posto su 27 tra i paese della EU [2].
Sarebbe necessario uno sforzo di creatività, e degli investimenti notevoli, per la progettazione di nuovi percorsi di studio e la creazione di nuovi corsi di laurea, sfruttando gli scambi di competenze a livello internazionale, come anche la possibilità offerta dalle risorse rese disponibili sulla rete, spesso a titolo gratuito, dai centri più avanzati della ricerca internazionale, a partire da quelli statunitensi. Perché la situazione al momento è questa: a livello di ricerca e di progettazione i due indiscussi protagonisti sulla scena internazionale sono gli USA e la Cina, noi europei, al momento, siamo quasi dei semplici utenti di questi sistemi, degli “arbitri normativi” come qualche critico sostiene, con ironia.
Ed è proprio la Cina, insieme a diversi altri paesi, che sta introducendo dei percorsi strutturati di formazione sull’Intelligenza Artificiale e gli algoritmi, fin dai primi anni di scuola, e fino alle nuove facoltà universitarie. Occorre muoversi rapidamente in questa direzione, ispirandoci alle loro esperienze e ai loro metodi didattici.
Ma la ricerca va avanti anche in Europa, anche se tra molte difficoltà, così come procede l’introduzione di questi sistemi nelle aziende italiane. Presto potremmo avere dei Sistemi di AI “verticali”, che attingano alle enormi competenze italiane in settori di mercato specifici, come il food, il fashion, la robotica industriale, la meccanica di precisione, e anche in molte aree della ricerca di base. Potrebbero essere dei sistemi di AI settoriali, con cui potremmo valorizzare appieno le nostre grandi capacità ed esperienze.
Le nuove competenze che necessitano non sono solo di tipo tecnologico, e riguardano anche tutta una serie di professionalità nuove, o profondamente trasformate. C’è bisogno di esperti in aspetti giuridici specifici, di consulenti etici per affrontare le problematiche del comportamento di questi sistemi, e di progettisti per la creazione di modalità innovative di interazione uomo-macchina, in rapida trasformazione. In particolare, i modelli di AI Generativa ci stanno ponendo di fronte a dei problemi del tutto nuovi, che riguardano la privacy, la proprietà intellettuale e la responsabilità legale nelle scelte.
La progettazione di adeguate interfacce richiederà degli specialisti di usabilità e di qualità, così come anche degli esperti nelle modalità di interazione con questi sistemi; questi specialisti dovranno ottimizzare e garantire la sicurezza dei dati, nelle diverse modalità di interazione: da quelle testuali a quelle vocali, dal riconoscimento delle espressioni facciali a quello delle procedure di interpretazione emozionali nelle comunicazioni. E’ un insieme di modalità che le AI hanno implementato nel tempo, e che richiedono competenze specifiche di valutazione e di controllo. Avremo bisogno di “prompt engineer”, specializzati nella creazione di pattern efficaci per dialogare con i chat-bot, o per padroneggiare i sistemi di progettazione e di produzione guidati dalle AI. E serviranno infine, anche esperti comportamentali, che accompagnino l’approccio a questi sistemi ed educatori esperti nell’affrontare tutte queste tematiche, spesso per la prima volta.
Delle professioni completamente nuove saranno anche necessarie per le esigenze specifiche richieste dallo sviluppo dei nuovi modelli di AI, come gli esperti di qualità e di selezione dei dati per alimentare e addestrare i modelli di AI, gli specialisti di “Spiegabilità”, uno dei requisiti previsti dall’AI Act, per garantire la trasparenza e l’interpretabilità degli output di questi sistemi.
Un grande cambiamento si sta avendo anche nelle professioni legate alla sicurezza e alla protezione della privacy, aspetti che assumono una rilevanza del tutto peculiare per questi sistemi. Basti pensare a come gli attacchi sulla rete vengano oggi condotti con l’ausilio di sofisticate tecniche guidate dalle AI, in grado di produrre, ad esempio, dei malware “mutanti”, e quindi difficilmente riscontrabili dagli attuali sistemi di protezione, così come delle campagne di phishing molto ben progettate, con un tasso di successo molto elevato. Ed è quindi evidente come anche la Cybersecurity stia procedendo a grandi passi con l’introduzione di sistemi di AI, nei prodotti e nei processi, a scopo di prevenzione e di difesa.
E veniamo all’aspetto più problematico di questa trasformazione, anche se alcune delle considerazioni riguardanti la formazione, che abbiamo fatto per i giovani, possono essere riferite anche alla seconda tipologia di lavoratori interessati: quelli che attualmente occupano già delle posizioni nel mondo del lavoro, e che vedranno le loro attività profondamente trasformate, o del tutto eliminate.
Occorrerà sviluppare, da parte delle aziende, dei programmi adeguati di reskilling ed upskilling, attingendo, anche qui con grande difficoltà, ai pochi esperti attualmente disponibili sul mercato e al mondo dell’università e della ricerca, evitando i tanti venditori di fumo, nati con l’occasione per sfruttare questo nuovo mercato. Le collaborazioni internazionali saranno importanti anche in questo caso, e verranno utilizzate soprattutto dalle aziende multinazionali, mentre la maggioranza delle piccole e medie aziende, numerosissime in Italia (PMI), faranno fatica a rincorrere queste necessità, e non sempre riusciranno a stare al passo.
Molto del lavoro di progettazione di questi percorsi formativi dovrà essere fatto in autonomia, attingendo ampiamente a risorse disponibili a livello accademico e messe a disposizione in rete, quando non sarà possibile ricorrere direttamente a degli esperti. E a questo proposito sarebbe importante proseguire nella politica, già avviata, di favorire il trasferimento di talenti internazionali in Italia, con adeguati finanziamenti, e anche con il supporto al rimpatrio dei tanti italiani di successo in giro per il mondo. E naturalmente occorre fare in modo che quelli che formiamo non portino le loro competenza all’estero; quest’ultimo è un tema che riguarda fortemente le aziende, le loro politiche di assunzione e contrattuali, e i percorsi di carriera da offrire ai giovani.
Lo sviluppo delle “politiche” è un ruolo che svolgeranno prevalentemente le istituzioni pubbliche e governative, e sono queste che dovranno sviluppare adeguati programmi di sostegno e di reskilling per quanti perderanno del tutto il proprio posto di lavoro. E non saranno pochi, specie se consideriamo l’elevata età media di questi lavoratori in “esubero”, dato che oggi in Italia l’età media degli occupati è di oltre 46 anni.
Dovrà essere dunque uno sforzo straordinario, e prolungato nel tempo, perché riguarderà moltissime professionalità obsolete, con tutte le difficoltà di reskilling dovute all’età, e all’obsolescenza delle conoscenze. Occorrerà sostenere anche, con adeguati programmi sociali di supporto, quanti difficilmente potranno rientrare nel mondo del lavoro, perché troppo vicini alla pensione, o perché non sarà per loro possibile sviluppare nuovi skill, per ragioni di tipo diverso.
La governance della trasformazione indotta dall’AI
Ci troviamo davanti a delle sfide enormi, e su diversi livelli: sociali, giuridici, educativi ed economici. Sono sfide che vanno affrontate oggi, perché la velocità con cui la rimodulazione del lavoro sta procedendo è davvero esponenziale. E occorre tener conto che i tempi e i modi non dovranno essere gestiti solo dalle aziende e dalle varie organizzazioni, che fanno il loro mestiere di produzione di beni e di servizi, in maniera efficiente e mirando al profitto. L’impatto sulla loro forza lavoro sarà uno dei problemi che dovranno affrontare, ma è prevedibile che le criticità che abbiamo elencato non potranno essere risolte unicamente da loro, in particolare quelle relative agli aspetti sociali e alle politiche di sostegno. Il compito delle aziende sarà però fondamentale soprattutto nel predisporre adeguate politiche salariali e di carriera per attrarre i talenti, e per gestire l’upskilling del personale in attività.
E’ prevedibile che, almeno nel medio periodo, i numeri della forza lavoro in esubero saranno superiori a quelli dei nuovi posti di lavoro che si creeranno, mentre le necessità di nuove competenze faranno fatica ed essere soddisfatte. Questo è il motivo per cui un grande piano di riconversione e di supporto dovrà essere sviluppato dalle entità statali e territoriali, per gestire questo momento di passaggio epocale.
Saranno quindi necessari investimenti e capacità gestionali da parte dei governi, e in tempi molto ravvicinati. Si potrebbero sviluppare, ad esempio, dei programmi simili ai notevoli sforzi organizzativi che si stanno portando avanti per la realizzazione del PNRR, anche continuando con questo modello progettuale al completamento di questi finanziamenti della EU, attingendo a nuove risorse, anche a livello europeo.
Non mi avventuro oltre in queste considerazioni, che dovranno essere sviluppate dalle organizzazioni preposte, e dai politici soprattutto, ai diversi livelli. Mi limito qui a osservare che sarà un’impresa non da poco, e che servirà una forte cooperazione tra pubblico e privato, e un salto di qualità sostanziale delle nostre istituzioni formative e universitarie, per affrontare, ma per sfruttare anche, questi nuovi sviluppi.
In Italia si stanno facendo ultimamente grandi sforzi di analisi e di indirizzo, ed il nostro paese è tra i più attivi nelle discussioni e nelle analisi degli impatti dell’AI sulla società. Vorrei citare una “Indagine conoscitiva sul rapporto tra Intelligenza Artificiale e mondo del lavoro”, condotta dalla Commissione Lavoro della Camera, e discussa nella sessione del marzo 2025, con un’analisi molto approfondita, e l’audizione di diversi esperti [3]. Occorre mettere a terra questi sforzi, e procedere sulla strada del cambiamento con grande determinazione, in uno sforzo collettivo, visti i tempi stringenti.
Un rischio ulteriore da affrontare, anche a livello globale, è che questa evoluzione, come in parte sta già succedendo, continui a svilupparsi in maniera disuguale nelle varie parti del mondo e all’interno delle aree regionali, tra diverse tipologie di organizzazioni, di classi sociali e lavorative. Questo squilibrio accentuerà anche i rischi di regressione in molte zone del mondo, rischiando di acuire i conflitti in corso, sociali ed economici, come anche le migrazioni.
Uno studio molto accurato è stato condotto dall’Organizzazione Internazionale del lavoro, sugli impatti dell’AI generativa sul mondo del lavoro [4]. Questo rapporto indica che il 25% dell’occupazione globale rientra tra le professioni impattate dall’AI Generativa, in particolar modo nei paesi ad alto reddito, dove questa percentuale sale al 34%.
In un altro documento del International Labour Organization vengono indicati i “gradienti di esposizione” delle diverse professioni, individuando quelle che avranno bisogno di maggiori sforzi di adattamento, e di politiche di protezione dei lavoratori che perderanno il posto. Nel rapporto è possibile anche trovare una visione complessiva di come le diverse aree del mondo verranno impattate da questa trasformazione, in relazione proprio alle diversità delle economie e del reddito [5].
L’etica sociale e le sfide
Anche se queste trasformazioni venissero gestite nel migliore dei modi, sarebbe evidente a tutti che l’aumento della produttività, e la scomparsa definitiva di certe professioni, produrrà una diminuzione complessiva della forza lavoro impiegata, in tutti i settori e per qualunque tipo di lavoro.
Questa considerazione sarà sicuramente criticata da quanti, attingendo alle previsioni più ottimistiche formulate da molte ricerche, sostengono che di lavoro se ne creerà molto di più di quello che verrà perso. E probabilmente questo è vero, ma nel lungo termine, e in dipendenza di come verrà governata questa trasformazione.
Se guardiamo alle stime fatte dal World Economic Forum quest’anno (gennaio 2025), vediamo come la previsione è che i posti di lavoro che si creeranno, a livello globale nel prossimo decennio, saranno 170 milioni (dovuti non solo all’AI ma anche alle politiche Green e agli altri cambiamenti in atto del mondo del lavoro), mentre 92 milioni saranno rimpiazzati, con un aumento netto di 78 milioni di posti di lavoro [6].
Un’altra ricerca della McKinsey, del 2023 [7], conduce un’analisi molto accurata, relativa agli USA, degli impatti che si stanno producendo per i diversi settori e le varie professioni.
Analisi simili fanno l’OCSE [8] e la Goldman Sachs [9], prevedendo un profondo cambiamento dell’intero mercato del lavoro.
Gli impatti dell’AI sul mondo del lavoro sono oggetto di ricorrenti convegni e di studi, sia di organizzazioni economiche, che accademiche. Molto attivo è, ad esempio, l’“ Osservatorio HR Innovation Practice” del POLIMI [10], e studi molto approfonditi sono stati condotti anche all’Università di Stanford [11], una delle roccaforti mondiali della ricerca sull’AI.
La verità è che oggi è difficile prevedere gli sviluppi che saranno provocati dal dinamismo economico che si sta creando con l’introduzione di questi sistemi, e quindi anche quelli che potremo avere su tutta una serie di settori di mercato, e per molte professioni. In genere, in tutte queste ricerche, l’ottimismo prevale.
Ma gli elementi di incertezza sono tanti. Ad esempio, una delle professioni che si prevedeva in maggior incremento, nei vari rapporti, era quella degli “sviluppatori di software e di applicazioni”. Ebbene, si diffonde sempre di più la tendenza a far sviluppare del software direttamente dai sistemi di AI, che sono abilissimi ed efficienti a farlo. Quindi, è questa una professione che si trasformerà drasticamente, consentendo a schiere di programmatori di dedicarsi maggiormente alla progettazione, al testing e all’integrazione dei sistemi. Anche perché dobbiamo dircelo con chiarezza, lo sviluppo del software è sempre stato un lavoro lungo e dispendioso, e saremmo ben felici di farci aiutare, anche in questo caso, da sistemi di AI specializzati. E’ infatti il sogno di generazioni di programmatori e di IT manager, a partire dalle speranze deluse dai sistemi C.A.S.E. negli anni ‘80 e ‘90, quello di riuscire a creare dei sistemi di generazione automatica del codice. Le risorse e le competenze umane saranno in questi casi dedicate a compiti di controllo, e di miglioramento continuo del software. E così in tante altre professioni.
Quindi fare previsioni attendibili è difficile, ma è chiaro che i continui messaggi di ottimismo devono essere presi con molta circospezione. E non abbiamo molto tempo da perdere per far salire il livello di questa consapevolezza.
Il tema della riduzione del tempo di lavoro
Infine, c’è una riflessione da fare in termini di prospettiva futura, ed è quella che riguarda il tema della “riduzione del tempo di lavoro”, inteso come sforzo umano per la produzione di beni e servizi.
Che il lavoro ripetitivo e frustrante possa un giorno scomparire completamente è un miraggio sognato da tanti, e la perdita di questo tipo di posti di lavoro, al netto delle criticità da gestire nel transitorio, non sarebbe una cattiva notizia. E se i posti di lavoro che si creeranno non basteranno ad occupare tutti, e a dare a tutti i mezzi di sostentamento per vivere una vita dignitosa, dovremo allora porci il problema, accantonato ormai da molti anni, persino dagli idealisti, della riduzione dell’orario di lavoro.
E’ un tema questo che è sempre stato controverso, anche se in molti paesi ci sono state delle sperimentazioni negli anni passati. Un tema su cui le organizzazioni del lavoro e la politica hanno opinioni diverse, e che non a caso è stato messo da parte fino ad ora.
Ma è un processo che probabilmente dovrà essere riconsiderato nel futuro, inevitabilmente. E se questo processo andrà avanti, allora vorrà dire che avremo del tempo in più che si renderà disponibile, per la famiglia e per i figli, per le relazioni sociali e per le attività culturali. E tutto questo non potrà che apportare dei benefici, al livello di cultura e di civiltà dell’umanità intera.
Gestire l’evoluzione dell’IA a vantaggio del bene comune
L’intelligenza Artificiale non è uno sviluppo tecnologico come quelli a cui abbiamo assistito in passato, perché introduce dei fattori di completa rimodulazione, non solo per le attività lavorative, ma anche per il modo stesso con cui ci relazioniamo con il lavoro, e il suo rapporto con la realizzazione dei nostri bisogni.
Sarà determinante per il nostro futuro il modo in cui svilupperemo la Governance di questa enorme trasformazione strutturale, e come ne gestiremo i progressivi passaggi.
Un grande passo in avanti, a mio parere, è stata l’approvazione del AI Act dell’EU, che ha definito dei principi basilari, introducendo una logica di “Gestione del rischio”, unita a quella del rispetto dei Valori Umani e della dignità delle persone. E’ stato un grande risultato, anche se molto lavoro dovrà essere ancora fatto per migliorarlo, per evitare che si creino degli ostacoli burocratici per certi sviluppi, sia nella ricerca che nella produzione.
Tuttavia, i principi umano-centrici, che l’ AI Act ha introdotto a suo fondamento, sono un punto di riferimento ineludibile nella elaborazione di qualsiasi modello futuro. Basti pensare che le altre regolamentazioni internazionali, che sono seguite, hanno attinto a piene mani a questa normativa della EU.
La cattiva notizia è che molti la stanno mettendo in discussione, prima ancora che entri a regime compiutamente. E’ una tendenza al depotenziamento, che ha come giustificazione dichiarata quella di favorire la ricerca e lo sviluppo, e limitarne gli ostacoli, ma che potrebbe aumentare enormemente i rischi. Il suo miglioramento dovrebbe bilanciare entrambe le varie esigenze, di sviluppo e di controllo, senza vanificare i passi in avanti già fatti.
L’Intelligenza Artificiale pone anche problemi etici ed esistenziali di grande importanza, e non a caso filosofi e teologi stanno partecipando attivamente al dibattito in corso su questi temi. L’importante è che non siano questi gli attori prevalenti a farlo, ma che scienziati, aziende, enti regolatori e governi, lavorino tutti insieme, coordinando gli sforzi per la definizione di efficaci linee di sviluppo etiche, e per definire i controlli necessari.
Il compito che attende l’umanità non è solo tecnologico o normativo, ma riguarda, per certi aspetti, persino l’antropologia, il modello di vita stessa degli esseri umani. Perché la ridefinizione del lavoro comporta anche un ripensamento dei modelli sociali, della cultura, dell’etica e della dignità delle persone.
Il nostro auspicio è che l’umanità sappia affrontare queste sfide superando le difficoltà attuali, dovute anche ai diversi approcci economici e sociali, e sappia gestire in modo adeguato questa grande evoluzione in atto.
NOTE:
[1] Future of Life, Pause Giant AI Experiments: An Open Letter, https://futureoflife.org/open-letter/pause-giant-ai-experiments/
[2] ISTAT, Le competenze digitali dei cittadini – Anno 2023, https://www.istat.it/comunicato-stampa/le-competenze-digitali-dei-cittadini-anno-2023/
[3] Camera dei Deputati – Bollettino delle giunte e delle commissioni parlamentari del Lavoro pubblico e privato (XI) https://documenti.camera.it/leg19/resoconti/commissioni/bollettini/html/2025/03/19/11/allegato.htm
[4] Organizzazione Internazionale del Lavoro, Intelligenza Artificiale e lavoro, https://www.ilo.org/it/resource/news/intelligenza-artificiale-generativa-e-lavoro-un-indice-globale
[5] International Labour Organization, How might generative AI impact different occupations? https://www.ilo.org/resource/article/how-might-generative-ai-impact-different-occupations
[6] World Economic Forum, Future of Jobs Report 2023 e 2025,
[7] McKinsey Global Institute, Generative AI and the future of work in America, https://www.mckinsey.com/mgi/our-research/generative-ai-and-the-future-of-work-in-america
[8] OECD Employment Outlook 2023, https://www.oecd.org/en/publications/oecd-employment-outlook-2023_08785bba-en.html
[9] Goldman Sachs, Generative AI could rise global GDP by 7%, Generative AI could raise global GDP by 7% | Goldman Sachs
[10] POLIMI, Osservatorio HR Innovation Practice.
https://www.osservatori.net/comunicato/hr-innovation-practice/great-resignation-great-detachment
https://www.osservatori.net/comunicato/artificial-intelligence/intelligenza-artificiale-italia
[11] Michael Webb, Stanford University, The impact of AI on the Labor Market, 2020.
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