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Il futuro del ceto medio nell’era dell’AI: un equilibrio da costruire


Viviamo un’epoca in cui la percezione di distanza tra le decisioni che contano e la vita reale delle persone si fa ogni giorno più netta. Le grandi scelte economiche, fiscali, strategiche sembrano maturare altrove, fuori dal controllo dei cittadini, fuori dai confini nazionali, spesso anche fuori dal perimetro democratico.

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In questo scenario instabile – segnato da guerre, crisi energetiche, tensioni geopolitiche e accelerazioni tecnologiche – a pagare il prezzo più alto è proprio quella parte del Paese che tiene insieme le comunità, sostiene i consumi, investe nel futuro: il ceto medio.

L’impatto trasformativo dell’intelligenza artificiale sul lavoro

È in questo contesto che si innesta un’accelerazione ulteriore, ancora più destabilizzante per molti: la transizione digitale e l’irruzione dell’intelligenza artificiale. Non parliamo solo di nuove tecnologie, ma di un cambiamento profondo che mette in discussione i modelli di lavoro, i sistemi produttivi, la tenuta dei diritti, la rappresentanza, perfino l’idea stessa di leadership.

Identità culturale e merito nel ceto medio italiano

Eppure, il ceto medio, nonostante tutto, resiste. Lavora, investe nella formazione dei figli, sostiene intere famiglie. Il Rapporto CIDA-Censis 2025 lo conferma: oltre il 66% degli italiani si riconosce in questa fascia sociale, e più del 92% di chi vi si identifica considera il proprio livello culturale – fatto di competenze, conoscenze e interessi – il vero tratto distintivo.

Ma proprio questa consapevolezza entra in frizione con una realtà che premia sempre meno il merito e sempre più l’appartenenza o la rendita.

La fiducia tradita e l’aspettativa di un futuro altrove

Il 74% degli occupati che si dichiarano di ceto medio ritiene di essere sottopagato rispetto alle proprie competenze. L’82% non trova nel sistema retributivo un riconoscimento adeguato del valore del proprio sapere. E il 51% dei genitori auspica per i figli un futuro all’estero, convinto che fuori dall’Italia esistano più opportunità. È il segnale di una fiducia tradita.

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La funzione strategica della dirigenza nella transizione tecnologica

Ma è anche un allarme. Perché senza un ceto medio forte non esiste una democrazia economica. E senza democrazia economica, le nuove tecnologie diventano il motore di una diseguaglianza crescente.

È qui che entra in gioco la dirigenza. In un Paese dove il senso di smarrimento si allarga e l’intelligenza artificiale rischia di diventare una forza centrifuga che accentua le fratture sociali, serve una classe dirigente che non solo gestisca, ma guidi. Che non si limiti a custodire l’esistente, ma sappia preparare il futuro. Con visione, competenza, responsabilità.

Un modello europeo per un’AI centrata sulle persone

Ecco perché come CIDA chiediamo che questa transizione venga governata e non subita. Non basta digitalizzare. Serve riorganizzare. Non basta innovare. Serve proteggere. Non basta crescere. Serve includere.

Abbiamo portato questa visione anche nel recente incontro della CEC – la Confederazione Europea dei Dirigenti – tenutosi a Milano: un confronto prezioso con le rappresentanze manageriali dei principali Paesi europei, dove abbiamo ribadito il nostro impegno per una transizione digitale che metta al centro le persone, le competenze e la responsabilità.

Nel settore degli investimenti, ad esempio, l’AI viene già impiegata per supportare l’analisi dei mercati, la gestione del rischio e l’efficienza operativa. Ma come ha evidenziato anche l’ultimo report ESMA, manca un quadro regolatorio chiaro, manca trasparenza, manca responsabilità. CIDA ha proposto un modello di auditing degli algoritmi, obblighi di dichiarazione nell’uso dell’AI nei fondi, e soprattutto un piano di formazione specialistica per i dirigenti finanziari. Perché dove ci sono decisioni che muovono capitali e carriere, servono persone capaci di valutarne l’impatto umano, oltre che economico.

Competenze digitali e formazione: una sfida per famiglie e imprese

Ma la questione è più ampia. Oggi il 55% delle imprese italiane segnala la mancanza di competenze digitali come principale ostacolo all’adozione dell’AI (fonte ISTAT). Il 66% dei genitori di ceto medio investe in corsi di lingue, informatica, formazione tecnica per i propri figli. Ma questi sforzi individuali devono diventare politiche pubbliche.

PA e scuola come leva dell’innovazione

E qui la Pubblica Amministrazione ha un compito decisivo. Digitalizzare i servizi senza formare i dirigenti pubblici significa costruire una macchina veloce con un motore inadeguato. È fondamentale che le alte professionalità della PA siano dotate di competenze tecnologiche e culturali per governare i processi di innovazione, non per subirli. La PA deve diventare il motore e non il freno della transizione digitale.

Lo stesso vale per la scuola: se vogliamo formare cittadini digitali, dobbiamo partire dalla formazione dei docenti. Serve un grande investimento sistemico nella scuola pubblica, che metta le tecnologie al servizio del pensiero critico, dell’etica, dell’inclusione. L’AI può essere una risorsa straordinaria anche nel campo educativo, ma solo se chi la usa è preparato, consapevole, formato.

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È ora di immaginare un nuovo welfare digitale: fatto di formazione continua, di sanità smart accessibile a tutti, di strumenti previdenziali integrati e flessibili, soprattutto per i professionisti e i dirigenti. Serve un fisco che premi chi si aggiorna, chi lavora di più, chi innova. Non si può più pensare che un aumento di reddito debba coincidere con una perdita di tutele. Non si può scoraggiare il merito in nome dell’equità apparente.

Una nuova alleanza tra ceto medio, istituzioni e imprese

Oggi il ceto medio è pronto a fare la sua parte. Ma chiede una nuova alleanza: con le imprese, con le istituzioni, con l’Europa. Un’alleanza fondata sul riconoscimento delle competenze, sulla valorizzazione delle alte professionalità, sulla possibilità concreta di incidere.
In questo senso, l’Italia ha una carta importante da giocare: una cultura manageriale solida, una capacità di mediazione unica, una rete di dirigenti che già oggi tengono insieme le filiere della sanità, della scuola, della manifattura, della pubblica amministrazione. Se queste energie vengono ascoltate, possiamo fare dell’AI non un rischio ma un moltiplicatore di valore.

Intelligenza sociale e competenza al centro del cambiamento

Per questo, continueremo a proporre soluzioni, a costruire ponti tra tradizione e innovazione, a lavorare con i partner europei per un futuro dove la digitalizzazione sia guidata dalla competenza e non dalla speculazione.
Non possiamo accettare che il futuro venga deciso altrove. Il nostro compito, oggi, è ricostruire il legame tra chi guida e chi è guidato. Tra tecnologia e umanesimo. Tra intelligenza artificiale e intelligenza sociale. Perché un Paese cresce solo se cresce chi lo tiene in piedi. E oggi, chi tiene in piedi l’Italia, chiede di essere messo in condizione di guidare il cambiamento. Non per paura del futuro. Ma per responsabilità verso il presente.



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