La viticoltura mediterranea ha bisogno di protezione. La crisi climatica sta rendendo le stagioni sempre più estreme, con siccità prolungate e precipitazioni irregolari che mettono a rischio la produzione e la qualità del vino. Per rispondere a questi problemi, il progetto europeo Prosit, supportato dalla fondazione Prima-Med sostenuta dall’Unione europea, sta esplorando soluzioni innovative basate sull’utilizzo di microbiomi vegetali.
“Il nostro obiettivo è trovare strategie innovative per ridurre lo stress idrico nelle piante e migliorare la sostenibilità della viticoltura – ci ha spiegato Elisabetta Barizza, ricercatrice del progetto e dell’università di Padova -. L’acqua è una risorsa sempre più scarsa e il settore agricolo deve adattarsi. Studiare il microbioma delle piante potrebbe essere una chiave per affrontare il problema”.
Il progetto è sviluppato all’interno di una collaborazione internazionale coordinato da Michela Zottini dell’Università di Padova e che vede la partecipazione dell’Università di Milano, del Ibbr-Cnr di Palermo, del Max Planck institut di Potsdam, dell’Università di Bordeaux e l’Inrae dell’Algeria e si concentra sull’ottimizzazione dell’uso dell’acqua per le colture vinicole nel Mediterraneo.
Microrganismi endofitici: una risorsa nascosta contro la siccità
I microrganismi endofiti sono batteri che vivono all’interno dei tessuti delle piante senza danneggiarle, e che in alcuni casi possono aiutarle a sopportare condizioni ambientali difficili. Prosit parte proprio da questo principio per individuare ceppi batterici utili alla viticoltura.
“Abbiamo scelto di prelevare campioni in aree soggette a siccità estrema, come la Sicilia e l’Algeria – ha raccontato Barizza -. In queste zone, alcune piante sono in grado di sopravvivere con pochissima acqua. Il nostro obiettivo è capire se i microrganismi che ospitano possano essere utilizzati per proteggere altre colture”. Per farlo, il team di ricerca ha raccolto campioni di foglie e tralci da vigneti siciliani, specialmente nella zona di Trapani e sull’isola di Salina, e nel nord dell’Algeria. Dopo aver isolato i batteri presenti nelle piante, i ricercatori li hanno caratterizzati in laboratorio per selezionare quelli con il potenziale maggiore.
“Non tutti i batteri sono coltivabili in laboratorio – ha però precisato la ricercatrice – Tuttavia quelli che riusciamo a coltivare potrebbero essere utilizzati per sviluppare formulati commerciali destinati all’agricoltura, in grado di rendere le viti più forti e resistenti. In questo processo risulta fondamentale isolare nuovi ceppi batterici sempre più efficaci e studiarne le proprietà. Il lavoro di caratterizzazione è cruciale, soprattutto nelle prime fasi di test in laboratorio, dove si possono eliminare le variabili ambientali e ottenere analisi più precise e riproducibili. Questo permette di verificare se il batterio, una volta introdotto nella pianta, offra i benefici sperati“.
La fase successiva del progetto è stata testare l’efficacia di questi batteri direttamente nei vigneti, valutando il loro impatto sulla crescita delle piante e sulla loro capacità di resistere alla siccità: “Abbiamo osservato che alcune piante trattate con questi batteri mostrano una maggiore tolleranza allo stress idrico, riducendo la necessità di irrigazione. Inoltre, alcuni ceppi batterici hanno proprietà antifungine e possono aiutare a proteggere le viti da malattie come la peronospora”.
Un altro aspetto innovativo riguarda lo studio della trasmissione degli endofiti tra le piante innestate. I ricercatori hanno provato a trasferire i batteri “benefici” da viti adattate alla siccità a piante cresciute in laboratorio, prive di microbiomi propri. I risultati preliminari suggeriscono che questi microrganismi possono effettivamente essere trasmessi, aprendo nuove possibilità per l’agricoltura. “Se riusciamo a comprendere meglio questo processo, potremmo migliorare la resistenza delle viti già nella fase di innesto, senza dover intervenire successivamente con trattamenti artificiali. Inoltre parliamo di un processo che può essere utilizzato anche su altri tipi di piante”, ha sottolineato la ricercatrice.
Viticoltura e crisi climatica: un futuro più sostenibile?
Il settore vitivinicolo sta già affrontando gli effetti della crisi climatica. Periodi prolungati di siccità stanno spingendo sempre più viticoltori a ricorrere all’irrigazione, ma l’uso intensivo dell’acqua non è un processo sostenibile per il lungo periodo. Occorre poi ricordare che “un po’ di stress idrico può migliorare la qualità del vino, ma se diventa eccessivo, le viti ne risentono e gli agricoltori sono costretti a ricorrere all’uso di fitofarmaci. L’Europa sta però cercando di ridurne l’uso, quindi dobbiamo trovare alternative più naturali per proteggere le piante”.
Alcune aziende vitivinicole hanno già iniziato a sperimentare formulati a base di batteri, come il Bacillus thuringiensis, utilizzato per il controllo biologico dei parassiti. Tuttavia, l’efficacia di questi prodotti dipende da diversi fattori, come il clima e il metodo di applicazione. “Non si tratta, per esempio, solo di ‘spruzzare’ un prodotto sulle foglie: bisogna applicarlo nel momento giusto e nelle condizioni ottimali – ha chiarito la ricercatrice -. Per questo è fondamentale che i viticoltori ricevano formazione adeguata e supporto tecnico. Il nostro obiettivo non è solo dimostrare l’efficacia di questi microrganismi, ma anche diffondere conoscenze e tecniche, in un’ottica di cooperazione e sviluppo tra Paesi del Mediterraneo, che possano essere adottate su larga scala. Se riusciamo a integrare questi batteri nelle pratiche agricole, potremmo ridurre l’impatto della crisi climatica sulla viticoltura e garantire un futuro più sostenibile per il settore”.
Mentre il cambiamento climatico continua a sfidare l’agricoltura mondiale, la ricerca scientifica apre nuove strade per un adattamento efficace e sostenibile. Il microbioma delle piante, una risorsa finora poco esplorata, potrebbe rivelarsi un prezioso alleato nella lotta per preservare le nostre coltivazioni e il nostro vino.
di Ivan Manzo
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