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INTERVISTA/ Investimenti nell’economia reale e intelligenza artificiale: ecco le sfide del mondo finanziario di oggi


Milano – Trasformare una quota sempre maggiore di risparmi in investimenti produttivi è uno dei punti in cima all’agenda della Commissione europea. Un tema che in un Paese come l’Italia, notoriamente di risparmiatori, mette inevitabilmente al centro del dibattito elementi ricorrenti nella nostra cultura, caratterizzata da un’alfabetizzazione finanziaria nel complesso da migliorare.

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Lo sanno bene operatori come Antilia Capital Partners SGR, società italiana indipendente dedicata all’asset management per conto di clienti istituzionali e privati. Una realtà di gestione indipendente con 2,5 miliardi in gestione di cui 1,6 miliardi investiti nel private capital. Una Società di gestione con una idea chiara del perché investire nell’economia reale (incluse le imprese non quotate) possa fare la differenza su più livelli. È quanto emerso dalla nostra intervista a Daniele Colantonio, consigliere e responsabile sviluppo in Anthilia Sgr, con il quale abbiamo parlato anche delle necessità del settore finanziario in termini di persone e tecnologia.

Eunews: Dottor Colantonio, il vostro settore richiede competenze specializzate: quanto è importante per voi investire sulle risorse umane? Avete difficoltà a reperire le figure adatte?
Daniele Colantonio: Questo tema solleva due punti di attenzione. Il primo è quello di cui molti parlano, ma di cui pochi possono definirsi esperti: i nuovi sentieri della tecnologia e dell’intelligenza artificiale nell’organizzazione aziendale, che stanno cambiando i paradigmi per come li conosciamo. Forse non ci rendiamo ancora conto di dove arriveremo, anche perché i cambiamenti concreti arrivano spesso più tardi rispetto a quando sono attesi. È comunque un tema di grande interesse, che pone attenzione sul valore aggiunto che può derivare dall’utilizzo dell’IA. Il mercato è sempre più focalizzato su figure capaci di operare in questo contesto, non è un tema solo di età e di freschezza mentale, ma anche di capacità di ragionamento e di creazione di contenuti. La nuova frontiera è creare servizi che utilizzino non solo la tecnologia, ma siano in grado di combinare le informazioni in maniera originale. L’IA infatti gestisce molto bene le informazioni che ha a disposizione e le combina in maniera anche originale talvolta, ma generalmente non crea “nuova conoscenza”. Almeno per il momento. Su questo tema il dibattito è ampio.

Il secondo nucleo riguarda il cambiamento nei valori e negli approcci alle risorse umane dal periodo del Covid in poi. Qualche anno fa trovare lavoro era un evento speciale, prezioso, ed era la risorsa stessa a chiedersi cosa avrebbe potuto offrire al proprio datore di lavoro. Oggi la domanda che prevale è quella opposta: cosa il ruolo / posto di lavoro può dare alla risorsa. Io sono dell’avviso che le competenze si possano sempre costruire con impegno e dedizione, mentre l’approccio, i valori ed il modo di essere sono qualcosa di più articolato e complesso, in molti casi è lì che si può fare la differenza.

Nell’economia di oggi vedo una sfida sui valori, prima che sulle competenze. Tutto questo rende complesso il recruiting, anche per il calo demografico e la fuga all’estero spinta da retribuzioni generalmente più alte. L’equilibrio tra artificiale e umano va disegnato bene, e il paradigma è cambiato anche sulla work-life balance. L’Italia attraversa (per fortuna) una fase di piena occupazione, non è pertanto così difficile trovare un lavoro per i candidati, ma piuttosto è sfidante gestire la “retention” per l’azienda. Il periodo di permanenza all’interno di un ruolo aziendale infatti rappresenta un elemento importante per l’impresa. Al tempo stesso, soprattutto nelle piccole aziende di servizi, è sempre più importante trovare risorse che possano offrire un valore aggiunto rispetto alla media. È una sfida per tutti, su più fronti.

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E: Ma quindi voi utilizzate l’IA nei vostri processi aziendali?
D.C.: Noi usiamo un po’ di intelligenza artificiale per alcune attività – sintesi contenuti, organizzazione dati ecc. – ma ancora a livello embrionale ed occasionale, l’AI non rappresenta un “plug-in” strutturale dei nostri processi. Abbiamo sviluppatori interni, ma non abbiamo (ancora) assunto esperti di IA. Stiamo ragionando a livello di CRM e siamo molto interessati a utilizzare l’IA come possibile motore di gestione dei dati aziendali, per poi implementare sistemi che facilitino l’elaborazione di contenuti a domande ricorrenti. In sostanza, automazione per migliorare l’analisi e la creazione di contenuti risparmiando tempo e migliorando la qualità del servizio.

E: L’Italia è in coda nell’Unione europea per alfabetizzazione finanziaria. Quali iniziative sostenete o pensate di mettere in campo? Quali conoscenze finanziarie hanno i giovani italiani secondo voi?
D.C.: La formazione in azienda è molto importante, ancora di più lo è a livello di base nelle scuole. Sul mercato del lavoro arrivano spesso giovani che sono “digiuni” di concetti basilari di economia e finanza, in alcuni casi anche di elementi che fanno parte della vita quotidiana (previdenza, investimenti, risparmio e coperture assicurative). Insomma, serve un’alfabetizzazione finanziaria di base più evoluta, ciò consentirebbe investimenti produttivi e consapevoli allargando anche un po’ di più il tradizionale spettro dei titoli governativi che rimangono comunque alla base dei risparmi degli italiani.

In Antilia facciamo molta formazione, sia internamente che all’esterno, con sessioni dedicate ai nostri partner distributivi; ciò che forse manca è fare di più a livello di formazione di base. Ogni cittadino dovrebbe avere le basi di conoscenza per poter meglio affrontare alcuni temi fondamentali legati alla gestione del patrimonio. Personalmente sono un grande sostenitore dell’introduzione dell’educazione finanziaria nelle scuole, al momento siamo forse un po’ indietro: in Italia spesso chi dispone di patrimoni è in là con l’età, spesso si tratta di soggetti abituati ad investire nel passato in titoli di stato con rendimenti a doppia cifra, un mondo lontano oggi che forse ha disabituato alcuni investitori a comprendere che dietro ciascun rendimento è implicito un rischio da non sottovalutare ma neanche da sopravvalutare.

Insomma, scuola e università possono fare di più. Bisogna fare formazione vera, a tappeto. La finanza potrebbe, in forme opportunamente ragionate, diventare materia scolastica, parliamo di temi alla base della Società civile. Lo stesso termine ‘economia’ deriva dal greco ‘oikonomia’, che vuol dire ‘amministrazione della casa’, ed è un elemento da sempre fondamentale nella formazione personale. Con la dovuta consapevolezza sarebbero sempre di più a comprendere come investire i risparmi in attività produttive diversificate. Andrebbe un po’ rivisto e rivalutato il ruolo che i mercati e gli investimenti possano rivestire nel ciclo di vita, i mercati non sono un “bancomat”.

E: A tal proposito, la Commissione Ue ha varato l’Unione del risparmio e degli investimenti. Perché secondo voi è importante convogliare il risparmio dei cittadini (depositi bancari) verso investimenti produttivi (mercato dei capitali ecc…)? Quali sono le strategie che possono essere adottate?
D.C.: Se c’è una SGR che ha fatto di questo paradigma il proprio business, quella è Antilia. Da sempre infatti guidiamo gli investimenti anche di capitali privati verso attività produttive, verso l’economia reale, il che va a braccetto con il concetto di super-specializzazione. Qui l’opportunità di investimento non è necessariamente legata alla dimensione delle aziende, ma alla capacità di approfondire. Guidare le risorse verso l’economia reale si può realizzare solo attraverso un’attenta formazione a chi deve investire e la specializzazione di chi aiuta a investire, gli operatori come noi.

Investire vuol dire dare fiducia a qualcuno. La fiducia è l’elemento principale nel mondo degli investimenti, ancor di più nel caso si investa nell’economia reale, in imprese non quotate, fiducia negli operatori che realizzano gli investimenti parlando con imprese e valutando i progetti. Ma per conoscere quelle imprese occorre qualcuno che veramente stia sul territorio per incontrare le aziende analizzandole “da dentro”, per parlare con le persone che guidano le strategie e prendono le decisioni.

Un punto chiave: se non si investe nelle imprese del territorio il reddito rischia di sparire o ridursi drasticamente, rimanendo sul campo solo il patrimonio (lo stock di ricchezza generato nel passato). L’investimento nell’economia reale serve per evitare la desertificazione del territorio. La base della società non è il patrimonio, ma il reddito. Non va dimenticato. Per questi motivi sostenere le imprese del territorio può avere un elevato impatto guidato dai risparmi degli italiani. Alla finanza tradizionale, quella dei mercati liquidi, dei titoli di stato, può essere gradualmente affiancata una finanza dedicata alle attività produttive, una finanza dedicata direttamente alle imprese non quotate, motore dell’economia italiana.

E: Per finire un accenno alla finanza sostenibile di cui si parla spesso. Quali strategie proponete?
D.C.: Noi vendiamo prodotti che sono articolo 8 SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation), quindi indirizziamo gli investimenti verso aziende i cui meccanismi decisionali e processi di selezione rispettano determinati requisiti come impatto sociale e ambientale. I capitali vengono utilizzati cercando di analizzare come opera l’impresa sul territorio, per dare impulso soprattutto a realtà non quotate. Questo vale sia per la sostenibilità ambientale sia per la professionalità e rigore nella governance.

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