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davvero tagliarle aiuta la crescita?


Tagliare le tasse alle imprese spinge gli investimenti e l’occupazione? Secondo una ricerca l’effetto c’è ma non è così decisivo. E soprattutto costa.

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Nel dibattito politico ed economico contemporaneo, è diffusa l’idea che tagliare le tasse alle imprese stimoli investimenti, crescita e occupazione. Ma quanto è solida, davvero, questa convinzione dal punto di vista teorico ed empirico? Lo studio pubblicato dal professor Gabriel Chodorow-Reich per il National Bureau of Economic Research (NBER) rivede in profondità questa relazione, mettendo in discussione alcuni capisaldi della teoria neoclassica e l’uso che se ne è fatto nella valutazione delle politiche fiscali.

L’attenzione di Chodorow-Reich si è concentrata su un punto fondamentale: come il livello delle tasse sulle imprese influisce sugli investimenti aziendali. E per valutarlo ha utilizzato il concetto chiave del costo d’uso del capitale (user cost of capital), ossia il costo effettivo per un’impresa di detenere un’unità di capitale, comprensivo di tasse, tasso di interesse e deprezzamento. Secondo la teoria neoclassica, un calo delle tasse riduce questo costo, stimolando le imprese a investire di più. Gli altri due concetti utilizzati per l’indagine sono: l’elasticità del capitale rispetto al user cost, ossia la misura di quanto cambia la quantità di capitale investito a seguito di variazioni del suo costo; l’elasticità dei salari, vale a dire quanto il livello dei salari reagisce a un cambiamento nel user cost.

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Negli ultimi decenni, i policymaker hanno spesso usato un’elasticità di riferimento pari a -1 per misurare questa relazione (ossia: una riduzione dell’1% del costo del capitale aumenta l’investimento dell’1%). Questo valore deriva da studi classici come quelli di Hall e Jorgenson (1967). Tuttavia, Chodorow-Reich sostiene che questa interpretazione è sovra-semplificata e fuorviante.

L’analisi di oltre 60 anni di studi e ricerche porta a risultati molto interessanti. Innanzitutto Chodorow-Reich ha calcolato che l’elasticità di breve periodo dell’investimento rispetto al costo del capitale varia tra -0.25 e -0.75, quindi molto inferiore rispetto al “benchmark” di -1. Questo significa che se il costo del capitale scende dell’1%, gli investimenti aziendali aumentano tra lo 0,25% e lo 0,75%. Per ottenere un aumento consistente degli investimenti, quindi, servirebbe una riduzione molto più ampia del costo del capitale. In altri termini, l’effetto dei tagli alle tasse è presente, ma non è di certo spettacolare.

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Se si traduce il dato appena citato in termini di elasticità elasticità della produzione rispetto al capitale – e questo è il secondo risultato interessante della ricerca – i valori si collocano tra 0.22 e 0.35. Tradotto: 100 euro in più investiti in capitale generano solo 22–35 euro in più di ricavi. Anche qui, l’effetto c’è, ma mostra che l’efficienza marginale del capitale è limitata: investire non garantisce automaticamente più produzione o redditività.

Altro aspetto importante. L’elasticità dei salari rispetto al user cost è compresa tra -0.3 e -0.7 se la riduzione riguarda l’intera economia, ma solo tra -0.1 e -0.2 se si limita alle sole imprese C-corporation (che rappresentano circa il 43% dell’occupazione privata USA). Questo significa che se il costo del capitale scende (grazie, ad esempio, a una riforma fiscale), i salari reali aumentano di poco, tra lo 0,1% e lo 0,7%. Semplificando: anche chi sostiene che “meno tasse portano a stipendi più alti” deve fare i conti con effetti modesti e diluiti. Se il taglio riguarda solo alcune imprese (come le C-corporation), l’impatto sui salari è ancora più debole.

Ma c’è un ulteriore dato che fa riflettere e che emerge dalla ricerca di Chodorow-Reich. Un dato che crea poco consenso politico ma che non deve mai essere dimenticato: i tagli alle tasse non si “auto-finanziano”. Nel regime fiscale USA del 2024, già con imposte relativamente basse, solo il 10% del calo di gettito da una riduzione dell’aliquota viene compensato da crescita economica. Se si aumenta la generosità delle deduzioni fiscali (ad esempio accelerando l’ammortamento), il recupero sale al 25–45%. In pratica: la gran parte del buco di bilancio rimane. Quindi, per ogni euro in meno di tasse, lo Stato perde fino a 90 centesimi netti.

Questo studio dimostra che, pur in presenza di effetti positivi delle riduzioni fiscali sulle imprese, questi effetti sono più piccoli di quanto suggerisca la retorica politica. Tagliare le tasse può aumentare gli investimenti e la produttività, ma non è una bacchetta magica: non genera automaticamente occupazione o crescita salariale robusta, e non si ripaga da solo. In conclusione, chi vuole usare la leva fiscale per sostenere l’economia dovrebbe farlo con maggiore consapevolezza dei limiti e delle reali proporzioni dell’effetto atteso.

Illustrazione di Mohamed Hassan



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