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Secondo lo studio Aipb ed EY, le imprese familiari italiane accumulano liquidità ma faticano a trasformarla con progettualità Pianificazione, governance evoluta e consulenza specializzata le chiavi per un cambio di passo. “Ma servono modelli di servizio integrati e competenze dedicate”
Le pmi italiane hanno liquidità in crescita e un patrimonio accumulato che rappresenta una leva strategica senza eguali. Ma, per affrontare con successo le trasformazioni di uno scenario economico e geopolitico sempre più complesso, è necessario che cambino approccio e si focalizzino di più sul futuro. È quanto emerso dall’ultima ricerca di AIPB ed EY presentata a Milano il 30 giugno, nella quale si evidenzia come l’accompagnamento consulenziale evoluto offerto dal private banking sia fondamentale per permettere ai patron di trasformare la liquidità in progettualità e innovazione. E se è vero che il 23% dei clienti del settore è già rappresentato dai proprietari d’azienda, per un incidenza del 30% sulle masse in gestione, serve sviluppare un modello di servizio integrato e competenze dedicate per favorire un vero cambio di passo.
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Private banking pietra angolare
Secondo lo studio, intitolato ‘Private Banking e imprese: un dialogo che crea valore’, ciò che distingue l’imprenditore rispetto ad altri archetipi di clientela private è l’elevata complessità del suo ecosistema. Esigenze personali, familiari e aziendali si intrecciano cioè lungo tutto il ciclo di vita dell’impresa: dalla fase di avvio, in cui serve garantire sostenibilità finanziaria per l’attività e per se stessi, a quella di sviluppo, con bisogni crescenti legati alla crescita, fino all’internazionalizzazione e alla maturità, quando l’attenzione si sposta sulla protezione del valore generato e sulla pianificazione del futuro. Ecco allora che un supporto specializzato capace di tenere insieme patrimonio e governance diviene fondamentale. “Le aziende italiane hanno saputo distinguersi per una straordinaria capacità di adattamento”, ha detto il presidente di Aipb Andrea Ragaini, che ha aggiunto: “Come industria abbiamo l’opportunità e la responsabilità di affiancare questo segmento”. Gli ha fatto eco Giovanni Andrea Incarnato, Italy Wealth & Asset Management Sector Leader di EY, secondo cui è fondamentale proteggere il valore prodotto nel lungo periodo e questo può avvenire attraverso una pianificazione di investimenti sul lungo termine con obiettivi precisi e le corrette coperture. “Il passo successivo è costruire la continuità d’impresa attraverso una corretta pianificazione successoria”, ha detto l’esperto.
La ricetta dell’industria
Secondo l’Osservatorio di Aipb, il 67% degli imprenditori italiani si concentra su una pianificazione di breve periodo mentre il 90% non avverte l’esigenza di ripensare l’assetto societario ma preferisce concentrarsi solo sulla qualità del lavoro come fattore di crescita. Una fotografia che non lascia dubbi a Ragaini su quali debbano essere le linee di intervento dell’industria per intercettare le esigenze di questa categoria in una stagione storica che invece richiede sempre più visione strategica, capacità di trasformazione, capitale manageriale. “Favorire un’estensione dell’orizzonte strategico oltre il breve termine, mettere a disposizione competenze specialistiche e consulenza evoluta, contribuire a rafforzare la governance aziendale, accompagnare con strumenti mirati il passaggio generazionale e aprire nuove traiettorie di crescita”.
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Il ruolo della liquidità
Un altro fronte cruciale è la gestione della liquidità: molte PMI tendono ancora ad accumulare risorse, privilegiando l’autofinanziamento, in attesa di decidere come utilizzarle per alimentare nuovi progetti di sviluppo. Il private banking consente di impiegare queste risorse in modo più efficiente e produttivo. Infine, l’apertura a forme di finanziamento alternative al credito bancario resta una sfida: i prestiti tradizionali rappresentano il 39% delle fonti utilizzate, contro un limitato 11% per il capitale di rischio e appena il 4% per le obbligazioni. Nonostante un potenziale interesse verso l’ingresso di nuovi soci, il 55% degli imprenditori non conosce ancora il private equity e solo il 3% considera la quotazione in Borsa come opzione concreta.
Un nuovo modello di consulenza
Per cogliere appieno le opportunità offerte da questa categoria di clienti, è però essenziale che gli operatori del private banking investano nella formazione di nuovi professionisti e nello sviluppo di modelli di servizio integrati. Come viene mostrato dalla studio, occorre infatti anticipare i bisogni e strutturare soluzioni sia finanziarie sia non finanziarie personalizzate ma anche strutturate un’offerta ad alto valore aggiunto: dalla gestione della liquidità aziendale alla consulenza per operazioni di M&A, dal supporto all’accesso a capitali alternativi fino alla pianificazione patrimoniale e successoria. Una necessità rispetto alla quale, ha spiegato lo stesso Incarnato, sono due i modelli principali che stanno emergendo: quello cross-divisionale tipico dei grandi gruppi bancari, che integra le competenze del private banking con quelle del corporate e dell’investment banking per offrire un servizio completo, e quello integrato delle realtà indipendenti, che prevede di costruire in house competenze e servizi specialistici per servire l’intero ecosistema dell’imprenditore. In entrambi i casi, ha spiegato l’esperto, “il private banker resta la figura centrale nella relazione e va affiancato da team multidisciplinari in grado di attivare soluzioni personalizzate in base al ciclo di vita dell’impresa”.
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