di Giovanni Formica, partner Studio SLF
È fatto noto che l’attrattività di un Paese dipende anzitutto dalla stabilità del quadro politico-istituzionale, dalla sua dotazione infrastrutturale, dalla certezza e prevedibilità del suo ordinamento giuridico. Ma anche la fiscalità può giocare un ruolo assai rilevante, per accrescere l’appetibilità dei progetti di investimento, nonché per stimolare, tra gli operatori economici, condotte in linea con le aspettative degli investitori internazionali. A questo risultato concorre non solo la qualità delle regole e la competitività degli incentivi e della pressione fiscale domestica, ma anche la stabilità, o meglio la percezione di stabilità del sistema tributario nel suo complesso: in altre parole, la reputazione fiscale del Paese.
Quanto al primo aspetto, non mancano buone “ragioni fiscali” per la scelta del nostro Paese, avendo l’Italia perseguito da tempo strategie di rafforzamento del proprio appeal, ad esempio, per le persone fisiche, sul versante successorio e con l’introduzione di regimi di favore per impatriati e neo-residenti facoltosi; regimi di cui è stata rafforzata l’equità proprio con l’ultima riforma fiscale, quella inaugurata dalla legge delega 111/2023.
Non è un caso che il nostro Paese stia scalando le classifiche sui trasferimenti di residenza dall’estero, ma l’auspicio è che il percorso non sia interrotto e possa completarsi con l’adozione di meccanismi di compliance collaborativa per HNWIs (high-net-worth individuals). Del resto, attrarre contribuenti facoltosi, oltre a rappresentare un fattore di prestigio e miglioramento della reputazione internazionale del Paese, significa intercettare rilevanti potenzialità di sviluppo per l’economia nazionale.
Sul versante delle imprese, l’Italia presenta un livello di tassazione societaria (IRES) in linea con la media UE, ma, nei fatti, a pesare “sul conto” e a gravare sulla competitività delle nostre aziende sono oneri ulteriori, dall’IRAP alla tassazione patrimoniale (IMU), senza dimenticare l’elevato cuneo fiscale e contributivo: rendere compatibili gli equilibri di finanza pubblica con una progressiva riduzione della pressione fiscale è un impegno imprescindibile, anche questo scritto nero su bianco nella delega 2023 (si pensi al superamento dell’IRAP), ma fin qui condizionato dai ridotti spazi di manovra nei conti pubblici.
Eppure, vanno ricordate alcune misure di attrazione di recente adozione. L’IRES premiale – una riduzione di aliquota di 4 punti percentuali subordinata alla realizzazione di investimenti qualificati (in capitale umano e fisico) – è una apprezzabile sperimentazione di una corporate tax sensibile alle scelte virtuose delle imprese, in termini di patrimonializzazione e impiego dei capitali meritorio. Renderla strutturale (oggi riguarda il solo 2025) e potenziarne la portata, ad esempio limitando le condizioni di accesso (allo stato numerose e assai sfidanti), è una strada da perseguire.
Così come attrattive sono le norme sul reshoring, sempre introdotte dall’ultima riforma, per stimolare il trasferimento in Italia di aziende estere con la promessa del dimezzamento di imposta per un quinquennio: una misura, allo stato attuale, al palo della richiesta autorizzazione comunitaria.
Ma la stessa logica incentivante andrebbe ragionevolmente estesa a scelte altrettanto meritevoli e capaci di attrarre capitali da tutto il mondo, come la quotazione in borsa.
Se, poi, dal tema specifico delle regole sostanziali si passa a quello più generale della reputazione fiscale del bel Paese, non può ignorarsi come essa sia talora condizionata da un giudizio non lusinghiero sulla eccessiva eterogeneità normativa (causata dalla caotica stratificazione legislativa), la complessità amministrativa e la forte litigiosità in ambito fiscale.
Eppure, passi in avanti sono stati fatti anche su questo fronte, ad esempio in relazione alla stabilità delle regole, già solo per effetto dei progressi intervenuti nel processo di armonizzazione a livello europeo e non solo (si pensi al contributo dell’OCSE), soprattutto per quanto riguarda le imprese.
E anche l’ultima riforma ha aggiunto nuovi tasselli, ad esempio semplificando e disciplinando in modo più chiaro alcuni istituti di fiscalità internazionale, a partire dalla nozione stessa di residenza fiscale, da sempre foriera di incertezze e contenzioso. E, auspicabilmente, il percorso potrebbe trovare ulteriore compimento nell’ambizioso progetto, tuttora in corso, di codificazione unitaria della materia tributaria.
Sempre sul piano della reputazione fiscale, la riforma ha pure investito sulla qualità dei rapporti Fisco-contribuenti, anche se gli effetti delle scelte compiute dovranno necessariamente essere verificati in concreto e nel tempo, così come la loro capacità di incidere sulla percezione di equità del nostro sistema.
La riforma dello Statuto del contribuente ha affermato principi sacrosanti, eppure fin qui non scontati, tra cui la necessità del contraddittorio, il dovere di autotutela (ovvero di annullamento di atti illegittimi o infondati), il diritto di accesso agli atti, il dovere di prova da parte dell’Amministrazione finanziaria delle contestazioni formulate: si tratta, ora, di attenderne la concreta applicazione.
La revisione dell’impianto sanzionatorio tributario ha aggiunto elementi di equilibrio, in linea con le best practice europee, a un sistema che ha assunto nel tempo caratteri di sproporzione, soprattutto in relazione alle condotte non fraudolente. Altre novità potrebbero poi riguardare nel prossimo futuro i contribuenti soggetti a verifiche, visto il forte monito in senso garantista proveniente dalla recentissima giurisprudenza CEDU (caso Italgomme).
Con specifico riferimento alle imprese, poi, l’investimento nella qualità del rapporto tributario si è realizzato con il potenziamento degli istituti di tax compliance fondati su cooperazione e reciproco scambio Fisco-contribuenti, come la cooperative compliance per le grandi imprese e il TCF opzionale per le PMI. Essi presuppongono adeguati strumenti di misurazione e controllo del rischio tax e, ancor più a monte, lo sviluppo organizzativo e culturale delle aziende nostrane: fattori, questi, da cui dipende la loro crescita e la possibilità di attrarre l’interesse di nuovo capitale, anche estero.
Che si tratti di una sfida vinta o meno, e in che misura, lo dirà la capacità di tradurre in azione quotidiana i buoni principi affidati alle nuove norme; il che richiede un salto culturale di tutti gli attori coinvolti – Amministrazione finanziaria e contribuenti – del quale sono state però tracciate importanti premesse. E su tutto inciderà anche la capacità di allineare ulteriori tessere del puzzle della nostra competitività fiscale, dando priorità a un sostenibile abbattimento per tutti del livello di tassazione.
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