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Transizione digitale e fondi di coesione: una strategia post-Pnrr


Come possiamo dare continuità alle politiche in sostegno della transizione digitale una volta che sarà esaurito il filone di finanziamenti collegati al PNRR?

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Transizione digitale post-PNRR: il problema della continuità

Sappiamo quanto in questi anni il Recovery Plan sia stato importante nell’avviare e supportare la transizione digitale di Pubblica amministrazione e imprese e quanto fin d’ora si ponga il problema di come dare continuità a quelle politiche.

Il bilancio che possiamo trarre da programmi come Transizione 4.0 e 5.0 non è stato estremamente positivo, dal punto di vista dell’utilizzo dei fondi destinati e dei ritardi nella implementazione delle procedure per la richiesta dei finanziamenti. E il problema della continuità è certamente all’ordine del giorno del governo, dato che già nell’ultima Legge di bilancio si è deciso di finanziare la prosecuzione di Transizione 5.0 oltre le scadenze del PNRR (tutte traguardate su fine giugno 2026) con risorse pubbliche appostate nel bilancio nazionale. Ma una strada per dare continuità alle politiche della transizione digitale già esiste e riguarda i Fondi di coesione europei.

Cosa sono i fondi di coesione europea e a cosa servono

Fra gli interventi europei a sostegno della transizione digitale, nei più svariati ambiti, dalla Pubblica amministrazione al mondo produttivo, vi sono infatti anche i Fondi di coesione europea. Si tratta di fondi finalizzati alla riduzione delle disparità fra regioni più e meno sviluppate dell’Unione europea, volti a supportare progetti a medio termine (la durata di ogni ciclo di programmazione è di 7 anni) nei campi della formazione e del lavoro giovanile, delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, della transizione ecologica e, non ultimi, dell’innovazione digitale. E sono di importanza strategica soprattutto per i paesi dell’Europa meridionale, che da tempo ne fruiscono per favorire lo sviluppo delle loro aree depresse (come le regioni del Mezzogiorno d’Italia).

Fondi strutturali per garantire investimenti stabili e duraturi

La logica che sorregge i Fondi di coesione europei è di tipo strutturale, trattandosi di uno strumento che rientra nella più generale politica di coesione europea, ossia una delle principali voci del bilancio comunitario, che si costruisce attraverso la programmazione di piani pluriennali, della durata di sei anni, che prevedono il rimborso delle spese sostenute a seguito di rendicontazione. Proprio per questo i Fondi di coesione sono fra i meccanismi migliori per assicurare una continuità di investimento valutata nella sua reale efficacia.

Giusto per capirci meglio: i fondi di Next Generation EU attribuiti attraverso il PNRR andranno a scadenza il prossimo anno, perciò dal 1° luglio 2026 non si potrà più fare affidamento sulla loro disponibilità. Anzi, com’è noto, qualora qualche milestone fosse nel frattempo disatteso ciò potrebbe comportare, da un lato, la mancata corresponsione di una tranche e, dall’altro, la restituzione di fondi in precedenza anticipati dall’Unione europea.

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Proprio per questo, come abbiamo più volte ricordato, è metodologicamente sbagliato pensare di finanziare spese al di fuori dell’orizzonte temporale di finanziamento previsto dal PNRR con i fondi di questo programma. Non solo per un evidente difetto contabile, ma soprattutto perché nel caso di investimenti che si ritiene debbano durare nel tempo, utilizzare fondi che abbracciano un limitato orizzonte temporale significa mettere a repentaglio la possibilità che tali investimenti risultino efficaci (a meno di prevedere chi li finanzierà una volta esaurita la vena di risorse che li aveva originariamente finanziati). Ed è proprio qui che possono venirci in soccorso i Fondi di coesione europei, che la stessa Unione Europea intende come strumento di rafforzamento e strutturazione nel medio/lungo periodo delle linee di investimento avviate nel breve periodo con il PNRR. Nel caso della transizione digitale, soprattutto rispetto alla formazione di competenze digitali di base e avanzate, diffusione della banda larga (e del 5G), interoperatività delle banche dati e clouding.

Gli obiettivi digitali del programma 2021–2027 dei fondi di coesione

L’ultimo programma dei Fondi di coesione sociale (2021–2027) punta a realizzare un’Europa più competitiva e intelligente (forse facendo il verso al tema ormai ricorrente dell’Intelligenza artificiale), attraverso l’innovazione, la digitalizzazione, la trasformazione economica e il sostegno alle piccole imprese. Due sono i pilastri fondamentali per quanto riguarda il sostegno alla transizione digitale: infrastrutture, attraverso il FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale); formazione (e ingresso nel mercato del lavoro), attraverso il FSE+ (Fondo Sociale Europeo Plus).

Criticità strutturali nell’uso dei fondi europei in Italia

Fra i problemi e le criticità inerenti l’utilizzo dei Fondi di coesione, al parti – del resto – dei fondi previsti nell’ambito del PNRR, vi sono anzitutto le cosiddette lungaggini burocratiche (ben sapendo che troppi passaggi amministrativi scoraggiano enti locali, imprese e cittadini), la complessità gestionale in particolare rispetto alla fase di rendicontazione, i ritardi cronici nella spesa che spesso comportano un utilizzo di risorse minori di quelle assegnate e l’esistenza di disparità regionali rispetto alla capacità progettuale e di spesa (soprattutto per quel che riguarda le regioni del Sud).

Ritardi e progressi: bilancio attuale e rischi futuri

Ciò nonostante, rispetto al passato l’Italia ha fatto significativi progressi nell’utilizzo dei fondi e nella programmazione della spesa ad essi correlata. Basti dire che rispetto all’ultimo ciclo compiuto (2014/2020), l’Italia ha impegnato la quasi totalità dei fondi assegnati entro i termini previsti, anche se la spesa effettiva è stata completata solo all’ultimo momento, anche grazie al riconoscimento di proroghe.

Rispetto al ciclo corrente (2021/2027), invece, il nostro paese ha programmato circa l’85% dei fondi disponibili, anche se la spesa effettiva è ancora molto bassa, fra il 15% e il 30% a seconda del programma di riferimento.

Complessivamente, si tratta di circa 9 miliardi di euro, corrispondenti al 12% dei fondi, rispetto ai 75 miliardi stanziati (tra risorse europee e cofinanziamento nazionale, rispettivamente pari a 42,7 miliardi e 32,5 miliardi di euro), mentre i pagamenti effettivi non superano il 3%, equivalenti a 2,1% del totale, secondo un Rapporto del Sole 24 ore dello scorso anno. Un ritardo peraltro prevedibile, cioè “normale” rispetto alle abitudini italiane, anche se trovandoci ormai oltre la metà del periodo di spesa possiamo a ragione sostenere che la percentuale di effettivo utilizzo dei fondi sia preoccupantemente bassa, con il rischio evidente di un loro disimpegno una volta giunti a scadenza. Quando peraltro i finanziamenti ottenuti dall’Italia sono secondi soltanto a quelli andati alla Polonia, per cui un loro mancato o inefficace utilizzo andrebbe chiaramente a discapito dell’efficacia dell’intero sistema.

Digitalizzazione e semplificazione: la ripartizione delle risorse

Per quel che nello specifico riguarda la digitalizzazione, un Rapporto di ricerca della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, valuta che per il periodo 2021/2027 l’Italia abbia deciso di destinare alla digitalizzazione di Pubbliche amministrazioni e imprese circa 9,5 miliardi di euro, pari a oltre il 12 % dei 75 miliardi complessivi dei fondi di coesione, con la seguente ripartizione: 3,93 miliardi per la digitalizzazione delle PMI, 3,55 miliardi per la ricerca e sviluppo, 1,71 miliardi per il potenziamento delle competenze digitali dei cittadini, mezzo miliardo per le connettività digitale.

Parte significativa di tali fondi è riservata alla semplificazione amministrativa, anche se non si tratta di un obiettivo esplicitamente definito ma bensì di una finalità integrata in scopi più ampi, come la digitalizzazione della PA, la riforma della governance amministrativa e il miglioramento dei servizi pubblici rivolti a cittadini e imprese. In particolare, rispetto ai due pilastri dei Fondi di coesione europea volti a promuovere la digitalizzazione in termini di infrastrutture e formazione, la semplificazione amministrativa rientra indirettamente sia nel FESR sia nel FESPlus. Il FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) è soprattutto mirato alla digitalizzazione dei procedimenti amministrativi, alla loro re-ingegnerizzazione, all’interoperatività fra banche dati pubbliche e al potenziamento degli Sportelli unici delle attività produttive (SUAP), oltre che degli sportelli come quello dell’edilizia (SUE) che interessano anche le istanze dei cittadini. L’FSEPlus (Fondo Sociale Europeo Plus) riguarda invece interventi formativi volti ad accrescere capacità e conoscenze dei dipendenti pubblici rispetto alle attività di semplificazione procedurale e normativa, alla programmazione e gestione dei fondi e alle competenze digitali avanzate degli operatori, con finalità che includono anche la cybersecurity.

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Programma Nazionale Capacità per la Coesione 2021–2027: obiettivi e destinatari

Tali finanziamenti si inquadrano all’interno della strategia delineata dal Dipartimento per le Politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei ministri con il Programma Nazionale Capacità per la Coesione 2021–2027, con una dotazione di circa 1,27 miliardi di euro (fra Fondi FESR e FSEPlus e co-finanziamento nazionale), dove le politiche di digitalizzazione si legano a quelle sulla semplificazione amministrativa con l’obiettivo dichiarato di rafforzare in modo particolare la capacità amministrativa delle regioni. Un punto di snodo fondamentale, data la funzione legislativa oltre che di programmazione e coordinamento che le regioni da sempre svolgono rispetto ai comuni, che di per sé dispongono di poche risorse, hanno solo potestà regolamentare e faticano a dotarsi di strumenti sovracomunali in grado di supportare una loro collaborazione stabile).

Best practice e progetti locali: esempi da regioni italiane

Il Programma Nazionale Capacità per la Coesione prevede anche forme di assistenza tecnica agli enti locali al fine di migliorarne la qualità nella progettazione e attività di formazione rivolte ad accrescere le competenze dei funzionari degli enti locali rispetto al ricorso a strategie digitali per la semplificazione amministrativa. Linee di intervento che in regioni particolarmente “virtuose”, come la Toscana e il Lazio, trovano integrazione nella destinazione di risorse all’interno dei rispettivi POR (Piani Operativi Regionali) per la riorganizzazione dei servizi locali amministrativi di sportello.

Nell’ambito di Capacità per la Coesione hanno già preso il via interessati progetti per la semplificazione amministrativa. In particolare, in Sardegna si stanno finanziando programmi di digitalizzazione delle procedure amministrative e per l’interoperatività delle banche dati. Anche in Calabria si sta operando sull’interoperatività nell’ambito di un progetto (con la medesima geometria di finanziamenti del caso sardo) per il potenziamento dei Centri per l’Impiego 4.0. In Basilicata si stanno realizzando programmi di formazione on the job per il personale degli enti locali, che viene addestrato a un uso migliore dell’interoperatività attraverso lo scambio dati fra uffici e archivi diversi.

Diverse sono le best practices innescate da questo programma nazionale, che nella maggior parte dei casi si basano sullo stesso schema di finanziamento, utilizzando fondi FESR e FSEPlus inclusi nel POR. Non serve poi rammentare che la semplificazione ai fini del PNRR era considerata una riforma inderogabile, cioè alla base di molti altri aspetti ad essa collegata. Ma altrettanto bene sappiamo che pio semplificare tanto semplice non è a quanto pare.

Il valore dei fondi di coesione per la digitalizzazione futura

Il ciclo dei Fondi di coesione europea 2021/2027 è ancora a metà strada, pertanto in questo momento non è ancora possibile dare una valutazione compiuta. Così come, al di là del legittimo allarme dovuto al ritardo nella spesa effettiva dei finanziamenti assegnati, non possiamo ancora esprimerci in via definitiva, dato che abitudine del nostro paese è completare progetti, interventi e programmi sempre all’ultimo momento. Possiamo tuttavia affermare che, rispetto al passato, l’Italia ha comunque fatto importanti progressi nell’uso di queste risorse, soprattutto sotto il profilo della programmazione, che ad oggi consente di raggiungere livelli di impegni elevati rispetto alle risorse assegnate. Proprio per questo ha senso guardare con attenzione ai Fondi di coesione europea, soprattutto per quanto essi potranno rappresentare una garanzia di continuità nelle politiche di investimento a favore della digitalizzazione e della semplificazione amministrativa.

La principale criticità nell’uso di queste risorse, così come di altre risorse comunitarie, resta la lentezza e la complessità delle procedure burocratiche con cui la nostra Pubblica amministrazione gestisce l’assegnazione dei fondi. È come un gatto che si morde la coda!?

Dal momento che le stesse politiche a favore della semplificazione amministrativa finiscono con l’essere vittime di quella semplificazione che non c’è.

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E su questo terreno, anche noi professionisti delle pratiche amministrative possiamo dare il nostro contributo. Interfacciandoci con cittadini, imprese, amministrazioni pubbliche protagoniste della transizione digitale e fornendo loro il nostro supporto quotidiano. In particolare, proprio nel pieno della transizione digitale, quando gli interventi sulla Pubblica amministrazione italiana iniziano a fornire i loro primi risultati, la nostra presenza può essere estremamente preziosa nell’agevolare la diffusione di quella cultura e di quelle competenze digitali che non sono ancora al livello di consapevolezza e conoscenza necessario.



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