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Europa: il vertice delle divisioni


Dopo un G7 traballante e un vertice Nato in cui hanno ceduto alle pressioni di Donald Trump sull’aumento al 5% delle spese per la Difesa, gli Europei si sono divisi anche al Consiglio che conclude un mese di incontri cruciali per il futuro del Vecchio Continente. Una due giorni durante i quali i 27 si sono spaccati su quasi tutto, dall’Ucraina a Gaza e dalla difesa ai dazi. Su questi ultimi, Francia e Germania sono su posizioni opposte: il cancelliere tedesco Friedrich Merz, sostenuto dalla presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, ha espresso sostegno per una soluzione “più veloce e più semplice” anche se più favorevole a Washington. Parigi, al contrario, aveva invitato l’esecutivo comunitario ad adottare “un approccio più assertivo”, in particolare nei confronti dei servizi americani. Alla fine, per non indisporre il presidente americano, ha prevalso la linea conciliante: “Abbiamo ricevuto la controproposta” degli Usa, ha detto Ursula von der Leyen, “la stiamo valutando e siamo pronti per un accordo. Allo stesso tempo, ci stiamo preparando all’eventualità che non si raggiunga un accordo soddisfacente. Tutte le opzioni sono sul tavolo”. Alla fine, secondo Reuters, gli europei sarebbero sempre più rassegnati ad accettare dazi del 10%, in linea con le condizioni applicate a Londra. Intanto, da Washington, Trump apre sulle tempistiche: “Se avete bisogno ancora di tempo, è possibile pensare alla proroga della sospensione” delle tariffe sulle merci importate dall’Europa”, ha dichiarato nelle ultime ore. “Forse — ha confermato la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt — la scadenza del 9 luglio potrebbe essere prorogata, ma è una decisione che spetta al presidente”.

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Gaza: nessuna condanna a Israele?

Spaccature profonde si sono verificate anche su un dossier caldissimo, quello di Gaza. Se tutti sono concordi nel giudicare gravissima la crisi umanitaria, alla luce dei massacri e del blocco degli aiuti, non c’è unanimità sulle misure da adottare nei confronti di Israele. Italia e Germania, anche qui alleate, hanno bloccato la proposta della Spagna – che parla esplicitamente di genocidio – e di un gruppo di altri paesi, che chiedevano di sospendere immediatamente l’accordo di cooperazione con Tel Aviv sulla base delle conclusioni di un rapporto del Servizio europeo di Azione esterna che parla di violazioni dei diritti umani. “Il Consiglio europeo chiede un cessate il fuoco immediato a Gaza e il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi, che porti alla fine permanente delle ostilità”, si legge nel paragrafo sul Medio Oriente delle conclusioni del vertice, che “deplora la terribile situazione umanitaria a Gaza, il numero inaccettabile di vittime civili e i livelli di fame” e  “invita” Israele a revocare completamente il blocco su Gaza. Nessuna condanna e un invito: è il massimo che si è riusciti a fare vista l’opposizione di alcuni paesi (Germania e Italia tra gli altri) nonostante le violazioni dei diritti umani (e quindi dell’articolo 2 dell’Accordo) da parte dello Stato ebraico siano ormai conclamate e certificate a livello UE. I 27 prendono nota del report e invitano il Consiglio a “proseguire le discussioni” sul seguito da dare alle conclusioni del dossier in luglio, “tenendo conto dell’evoluzione della situazione sul terreno”.

Effetto Trump sull’Ucraina?

Sul fronte ucraino le divisioni dei 27 sono ancora più palesi: i leader europei hanno ascoltato l’intervento di Volodymyr Zelensky in videoconferenza perché, di fatto, escluso dal vertice. Il leader ucraino ha perorato la causa di un nuovo tetto al prezzo del petrolio da fissare non a 45 ma a 30 euro al barile, ma l’Unione ha faticato anche solo sul varo del 18esimo pacchetto di sanzioni sul quale ha puntato i piedi la Slovacchia di Robert Fico. Intanto – a causa della riottosità di Viktor Orban – gli europei hanno approvato le conclusioni a 26, senza il sì di Budapest secondo cui l’adesione di Kiev all’Ue “ci trascinerebbe in guerra”. Dopo il summit Nato, anche il vertice Ue è la dimostrazione di una realtà ormai incontrovertibile: della difesa di Kiev, agli Stati Uniti, non interessa più. L’amministrazione Trump vuole solo trovare un accordo con Vladimir Putin, e a rimanere accanto alla resistenza ucraina – almeno a parole – è rimasta solo l’Europa. Ad ammetterlo, chiaro e tondo, è stato il primo ministro belga Bart De Wever: “È chiaro che non abbiamo più lo stesso punto di vista” rispetto a Washington, ha ammesso arrivando al vertice Ue, osservando che “la posizione a favore dell’Ucraina è più evidente in Europa che negli Stati Uniti”. De Wever ha anche definito “veramente deplorevole” l’esclusione di Zelensky dalla sala in cui si sono confrontati i trentadue leader.

Difesa: ognuno per sé?

Sulla difesa, i leader europei confermano l’ambizione di un aumento della spesa ma rimandano, ancora una volta, il nodo di dove e come trovare i finanziamenti. Germania Paesi Bassi hanno sbarrato la strada a qualsiasi ipotesi di nuovo debito comune mentre Italia e Francia insistono per non archiviare la questione. Il risultato? Un compromesso che lascia tutto in sospeso. Il Consiglio ha comunque accolto con favore l’adozione del ‘regolamento Safe’, che prevede prestiti comuni fino a 150 miliardi di euro, e l’attivazione delle clausole di salvaguardia nazionali. Ma per i Paesi già sotto procedura per deficit, queste clausole rischiano di diventare un boomerang: attivarle significherebbe ritardare l’uscita dalla procedura stessa. Nel documento finale si sottolinea genericamente la necessità di “investire meglio insieme” e si invita a coordinare l’attuazione degli impegni assunti anche in sede Nato. Il nodo però rimane ed è anche politico: l’assenza di una vera difesa comune europea, sostituita da una sommatoria di bilanci militari nazionali, riflette la frammentazione delle politiche economiche e strategiche dell’Ue. Invece di procedere verso un’unione più coesa, il riarmo rischia di alimentare rivalità interne e tensioni tra alleati..

Il commento

Di Antonio Villafranca, Vice Presidente per la Ricerca ISPI

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“Sulle sanzioni a Israele ci si è divisi e, di fatto, non è stata presa alcuna decisione. Ci si è limitati a deplorare la ‘catastrofica situazione umanitaria’ a Gaza (e ci mancherebbe) e poco più. Le motivazioni sono, almeno in parte, comprensibili: bisogna ingraziarsi Trump (vedi anche l’accordo Nato sulle spese militari) sui dossier caldissimi per l’Ue dell’Ucraina e dei dazi. Ma per quanto comprensibili possano essere queste motivazioni, il rischio è di accreditare ulteriormente la percezione di irrilevanza agli occhi del mondo, unita a quella di crescente ‘doppiopesismo’”.



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