Nel sistema capitalista la tendenziale caduta del saggio di profitto porta il capitale ad accentrarsi sempre di più in poche grandi imprese. Le uniche in grado di sopravvivere. E queste poche e grandi imprese sono a loro volta gestite da un numero sempre più ristretto di persone. Benvenuti nell’epoca degli oligopoli, che il buon vecchio Marx preconizzava quasi due secoli fa, e in cui tutti noi stiamo vivendo oggi. E a questa concentrazione di capitale e di potere, dai tre grandi fondi che controllano la finanza alle cinque piattaforme tecnologiche che scandiscono i ritmi della nostra vita, non potevano certo rimanere estranee le banche. Acquisizioni e fusioni bancarie sono infatti in preda a un’irresistibile ascesa. Anche e soprattutto in Europa.
Fusioni bancarie: valore raddoppiato in un anno in Europa
Lo racconta un report di Oliver Wyman. Una società di consulenza strategica e manageriale americana, controllata da Marsh & McLennan Companies. Secondo il report, il valore delle transazioni nel settore acquisizioni e fusioni bancarie in Europa è cresciuto del 19% dal 2023 al 2024. Passando da 30 a 36 miliardi di dollari. E arrivando così al doppio dei 18 miliardi di dollari del 2020. Il punto minimo degli ultimi dieci anni. Il trend verso la creazione di concentrazioni di capitale sempre più massicce, e quindi sempre meno democratiche, sembra inarrestabile.
Dall’inizio del 2025, nel periodo da gennaio ad aprile, il valore di acquisizioni e fusioni bancarie in Europa ha raggiunto il volume record di 27 miliardi di dollari. Quasi l’intera cifra dell’anno precedente. E nello specifico il 47% in più, nello stesso periodo gennaio-aprile, rispetto al 2024. Quando furono spesi 18 miliardi. E il tutto nonostante le note turbolenze di mercato legate ai clamorosi e allucinati annunci e dietrofront di Donald Trump. A partire dai dazi fino a tutto il resto. Tira e molla che hanno condizionato anche il sistema bancario.
«Questa progressiva concentrazione bancaria è incoraggiata dalle istituzioni europee, soprattutto nel momento in cui la parola d’ordine in Europa è la competitività», spiega infatti a Valori Andrea Baranes, analista di Fondazione Finanza Etica. «Da una parte le nostre multinazionali devono affrontare la concorrenza di quelle extra-europee, e servirebbero quindi banche in grado di sostenere questa competizione su scala globale. Dall’altra, le stesse banche europee si trovano a vivere questa gara con le loro omologhe in altri Paesi. Anche da qui deriva un approccio alle regole “a taglia unica”. Ovvero cucito su misura per i gruppi bancari di maggiori dimensioni».
Fusioni bancarie: ecco perché aumentano soprattutto a livello nazionale
Questo trend verso la creazione di pochi grandi istituti bancari, oltre che alla tendenza di cui scriveva Marx, è dovuto anche alla frammentazione del settore bancario europeo. O almeno così scrive report di Oliver Wyman, quando fa notare come le prime cinque banche in Europa e nel Regno Unito detengono solo il 24% degli attivi bancari rispetto al 57% degli Stati Uniti. Per questo, spiegano gli autori del report, vi è un ampio margine di manovra. Inoltre, aggiungono, acquisizioni e fusioni bancarie permettono agli istituti di credito di diversificare o rafforzare la propria presenza in segmenti di clientela più redditizi, come la gestione patrimoniale.
«Con gli economisti che prevedono un taglio dei tassi di 80 punti base da parte della Banca centrale europea entro la fine dell’anno, i profitti sono nuovamente a rischio. Di conseguenza, le banche stanno cercando di orientare i propri profitti verso ricavi da commissioni stabili e ricorrenti. E fusioni e acquisizioni rappresentano un modo rapido per raggiungere questo obiettivo», spiega lo studio. Portando come esempio le transazioni in corso tra Bnp Paribas e Axa Investment Managers. Nonché la possibile fusione tra il gruppo francese Bpce e Generali. E su Generali si aprirebbe un ulteriore capitolo. Data la partita di Risiko in corso tra Caltagirone e Delfin da una parte e Unicredit dall’altra.
Inoltre, come si può vedere dal grafico, la maggior parte di queste acquisizioni e fusioni bancarie avviene a livello nazionale. E così dovrebbe continuare a essere nel futuro. La giustificazione economica delle operazioni transfrontaliere è infatti «meno ovvia rispetto alle fusioni e acquisizioni nazionali», si legge nel report. L’analisi delle più importanti operazioni transfrontaliere degli ultimi cinque anni mostra inoltre che in questo tipo di transazioni si registrano performance inferiori. Nel report di Oliver Wyman è portata ancora a esempio l’Italia. Con la golden power come dimostrazione della volontà governativa di «tutelare i risparmi dei cittadini», scrivono gli autori. «Ma anche di garantire che il loro settore bancario finanzi non solo l’economia locale, ma anche lo Stato stesso».
Meno banche, più grandi: cresce il rischio di esclusione finanziaria
Infine, un motivo per cui sono possibili sempre più acquisizioni e fusioni bancarie, spiegano gli autori del report, è che oggi gli istituti di credito hanno i mezzi per realizzare queste operazioni. Le più grandi banche europee, infatti, stanno generando quantità crescenti di capitale in eccesso. Inclusi 300 miliardi di dollari restituiti agli azionisti attraverso dividendi e riacquisti di azioni proprie dal 2022. E nei prossimi due anni, spiegano gli autori, si prevede che le banche del quartile superiore genereranno oltre 500 miliardi di dollari di capitale in eccesso. Aspettiamoci quindi il mantenimento di questo imponente trend di crescita di fusioni e acquisizioni bancarie. Con conseguenze che saranno deleterie per tutti, e che produrranno nuova esclusione finanziaria.
«Il risultato di sempre meno gruppi bancari di sempre maggiori dimensioni si può riassumere in crescenti difficoltà per una parte rilevante del sistema economico e produttivo nell’accedere ai servizi finanziari», conclude Andrea Baranes di Fondazione Finanza Etica. «Le necessità di un artigiano o di una cooperativa ovviamente sono molto diverse da quelle di una multinazionale. Diversi modelli produttivi avrebbero bisogno di diversi modelli bancari. Una sorta di “biodiversità bancaria” che sappia rispondere alle domande e necessità dell’insieme della società e dell’economia europee. Oggi questo è a rischio nel nome della competitività. E della presunta necessità di una continua concentrazione bancaria con la creazione di pochissimi gruppi in grado di competere su scala globale, ma che spesso si dimenticano dei bisogni dei territori. In particolare delle fasce più a rischio di esclusione finanziaria in Europa».
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