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Medie imprese italiane al top in Europa: la loro produttività cresce più che in Germania, Francia e Spagna e l’export riprende quota


Le medie imprese italiane superano Francia, Germania e Spagna per produttività e innovazione. Il XXIV Rapporto Mediobanca-Unioncamere svela numeri, prospettive e criticità: export in ripresa, ma pesano fisco, competenze e transizione ecologica

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Non sono le più grandi, ma sono tra le più vitali. Le medie imprese industriali italiane, circa 3.650 aziende a prevalente gestione familiare, incarnano da anni un modello di efficienza e competitività. Dal 2014 al 2023, la loro produttività del lavoro è aumentata del 31,3%, una crescita che supera quella registrata dalle omologhe tedesche, francesi e spagnole. In termini di valore aggiunto per dipendente, l’Italia stacca la Germania del 3,3%, la Francia del 14,7 e la Spagna addirittura del 18,7.

Ma non si tratta solo di produttività. In dieci anni, le medie imprese italiane hanno visto crescere le vendite del 54,9% e l’occupazione del 24,2. Risultati che le pongono sul podio europeo: dietro solo alle Mid-Cap spagnole, ma davanti a quelle di Francia e Germania. È la conferma che il capitalismo familiare italiano, quando si apre all’innovazione e alla managerialità, può competere senza timori sui mercati internazionali.

I dati arrivano dal XXIV Rapporto sulle medie imprese industriali italiane e dallo studio “Scenario competitivo, ESG e innovazione strategica per la creazione di valore nelle medie imprese industriali italiane“, realizzati dall’Area Studi Mediobanca, dal Centro Studi Tagliacarne e da Unioncamere, e presentati a Genova. Un comparto che, da solo, genera il 17% del fatturato manifatturiero italiano, il 16 per cento del valore aggiunto e il 14% dell’export e dell’occupazione del settore. In Liguria, oltre il 60% delle medie imprese si concentra nell’area metropolitana di Genova, generando un fatturato di 937 milioni di euro, pari a circa il 61% del totale regionale.

Segnali di ripresa tra incertezze globali

Dopo due anni difficili, segnati da un lieve calo del fatturato (-1,5% nel 2023 e -1,3 nel 2024), le aspettative per il 2025 sono improntate a un cauto ottimismo. Le imprese prevedono un aumento del giro d’affari del 2,2% e un export in crescita del 2,8.

La ripresa però non sarà priva di ostacoli. La concorrenza low-cost preoccupa quasi il 70% delle Mid-Cap, chiamate a difendere le proprie quote di mercato da competitor più aggressivi sui prezzi. In questo scenario, la specializzazione in produzioni di nicchia ad alto valore aggiunto rappresenta una barriera efficace, e spiega perché solo una minoranza avverta rischi sul fronte della qualità. A pesare sul morale delle imprese ci sono anche l’instabilità geopolitica e l’inflazione energetica. Quasi un’impresa su cinque ha visto i propri margini ridursi significativamente a causa dei rincari in bolletta, mentre più della metà segnala un incremento netto dei costi.

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“È dal post Covid che le medie imprese ravvisano la necessità di raggiungere una dimensione funzionale alla complessità del contesto. Si tratta di un obiettivo da perseguire con prudenza poiché comporta interventi organizzativi, manageriali e di governance, ma è certamente conforme ai nuovi scenari competitivi” ha commentato Gabriele Barbaresco, Direttore dell’Area Studi Mediobanca.

Crescere, innovare, ma con il freno fiscale tirato

Anche nel confronto europeo le medie imprese italiane brillano. Non solo per produttività e crescita dell’occupazione, ma anche per propensione all’innovazione: il 45,8% possiede almeno un brevetto, quota inferiore solo a quella delle tedesche.

Eppure, nonostante questa vivacità, il peso della fiscalità continua a penalizzarle. Le Mid-Cap italiane scontano un tax rate medio superiore di 5,8 punti percentuali rispetto alle grandi imprese. Se avessero beneficiato dello stesso trattamento fiscale, avrebbero risparmiato 6,2 miliardi di euro nell’ultimo decennio, di cui oltre un miliardo solo nel 2023.

“La pressione fiscale e il mismatch tra domanda e offerta di lavoro restano due fardelli che rischiano di compromettere la competitività delle imprese italiane”, ha ricordato Andrea Prete, presidente di Unioncamere. “Ecco perché è fondamentale non lasciarle sole, soprattutto in una fase delicata come questa”.

Gli Stati Uniti fanno gola, ma i dazi creano incertezza

Gli Stati Uniti rappresentano una destinazione importante per le imprese italiane di media dimensione: circa due su tre esportano Oltreoceano. Ma l’introduzione o la minaccia di nuovi dazi da parte di Washington inquieta più della metà del campione analizzato.

Per il 30% l’impatto è già considerevole. Oltre il 60% di quelle che esportano verso gli Usa prevede effetti diretti sulle vendite. Il 33% risponderà con un aumento dei prezzi, il 25 cercherà di rafforzare la presenza nel mercato europeo, mentre il 18 punta a diversificare l’export verso nuovi Paesi.

In questo scenario, oltre il 50% delle imprese invoca una politica commerciale europea più incisiva contro il dumping e il protezionismo. Il 31% chiede anche una strategia comunitaria sulla sicurezza energetica.

“Le medie imprese contribuiscono per il 45% all’export italiano e hanno una propensione ad esportare del 42%”. Lo ha detto Giuseppe Molinari presidente del Centro Studi Tagliacarne che ha aggiunto “queste realtà produttive, con le loro elevate performance, sono la prova provata che quando il family business si organizza, anche dal punto di vista manageriale, e si apre alla competizione allargata, dà vita a un modello di successo per innovazione e produttività, anche nei confronti degli altri competitors”.

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Capitale umano, formazione e un passo deciso verso la sostenibilità

Negli ultimi dieci anni le medie imprese hanno aumentato l’occupazione, ma devono fare i conti con la scarsità di competenze disponibili sul mercato. Otto su dieci lamentano difficoltà nel reperire profili adeguati, soprattutto tecnici.

Il 40% investe nella formazione, il 37 punta sull’automazione. La presenza femminile, però, resta sotto il 25% e gli under 30 rappresentano appena il 18% della forza lavoro: un segnale di quanto ancora si debba lavorare sulla diversità generazionale e di genere.

Il 70% delle Mid-Cap intende espandersi all’estero. Una su tre sta valutando un incremento strutturale e oltre la metà ha già pianificato investimenti in tecnologia o sviluppo di nuovi prodotti e servizi. In parallelo, il 29,1% prevede un’accelerazione degli investimenti green.

Transizione verde, tante intenzioni, ma poca concretezza

L’80% delle medie imprese ha già avviato percorsi Esg, soprattutto sul versante ambientale. Il 67% lavora per ridurre l’uso di fonti fossili, il 62% si occupa di riciclo e gestione dei rifiuti e il 43% organizza formazione ambientale per i dipendenti. Resta un nodo critico la misurazione delle emissioni. Il 62,3% delle aziende non è ancora in grado di quantificare i propri gas serra. Solo il 40,9 ritiene raggiungibile l’obiettivo di zero emissioni entro il 2050.

La politica energetica dell’Unione europea è vista da quasi la metà delle imprese come un’opportunità concreta per migliorare l’efficienza. Ma più di un terzo denuncia ostacoli burocratici e costi troppo elevati. Il 33% teme di perdere competitività a causa del cosiddetto “rischio di transizione”, legato all’adeguamento alle nuove regole ambientali.

La documentazione completa è disponibile sui siti ufficiali di Area Studi Mediobanca, Unioncamere e Istituto Tagliacarne.

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