«Il cinema italiano e le piccole e medie sale sono in crisi: dal prossimo anno ci saranno pochissimi titoli prodotti nel nostro Paese e gli esercenti minori rischiano la chiusura. Gli interventi del ministro Giuli sul tax credit? Apprezziamo l’apertura, ma sono insufficienti». Manuele Ilari è amministratore unico di una società che gestisce alcune sale cinematografiche nel Paese (soprattutto tra Roma e la Sicilia) e presidente dell’Ueci, l’Unione Esercenti Cinematografici Italiani.
Ilari denuncia una situazione drammatica per centinaia di lavoratori dello spettacolo, fermi da oltre un anno per lo stop al meccanismo pubblico del tax credit, i finanziamenti statali al cinema italiano, dopo la riforma voluta dal governo e l’intervento del Tar. A inizio mese il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, dopo un duro botta e risposta con alcuni esponenti del cinema (come l’attore Elio Germano) ha convocato i rappresentanti del settore e varato alcuni correttivi alla riforma del suo predecessore, Gennaro Sangiuliano.
Il nuovo intervento introduce nuovi obblighi sulla trasparenza e il reinvestimento in produzioni di una parte dei proventi ottenuti. Ma soprattutto elimina alcuni vincoli che erano stati molto criticati da chi lavora nel settore e avevano di fatto bloccato l’acceso ai fondi alle piccole produzioni.
Infine i beneficiari che dichiarano il falso o presentano documenti carenti non potranno più richiedere gli sgravi per cinque anni.
Dott. Ilari, dopo l’incontro a inizio mese con i rappresentanti del mondo del cinema il ministro Giuli ha varato dei correttivi alla riforma del tax credit per aiutare il settore. Vi convincono?
«Il tavolo non era rappresentativo di tutte le componenti del settore cinematografico, non erano presenti tutte le categorie coinvolte. I correttivi per riattivare il tax credit, bloccato dal Tar non si sono rivelati adeguati. Dopo lo scandalo legato al giallo di Villa Pamphili a Roma, con un produttore americano che aveva ottenuto finanziamenti per un film mai realizzato, il ministro è stato poi costretto a emanare nuove modifiche. Tuttavia anche questa ultima soluzione si è dimostrata tutt’altro che ideale e potrebbe essere migliorata. In ogni caso questo nuovo intervento del ministro significa che finalmente ha preso in mano la situazione e ne siamo felici. Negli ultimi anni chi ha avuto il coraggio di denunciare e contestare le problematiche che stanno emergendo all’onore della cronaca, all’interno del ministero, è stato inserito nella lista dei cattivi, con conseguente azione di punizione da parte della direzione generale. Noi siamo pronti a collaborare con lui al fine di supportare per realizzare i giusti correttivi».
Cosa non vi piace in particolare?
«Il punto critico riguarda il fatto che le produzioni straniere che girano solo in parte in Italia possono comunque ottenere sovvenzioni a fondo perduto sull’intero budget del film, senza alcun obbligo di distribuzione in sala né l’intervento di una commissione esaminatrice. Non si aiutano invece a sufficienza le piccole imprese italiane. Si sta procedendo lungo una linea più ideologica, con una finta battaglia a un mondo “di sinistra” che non esiste, anziché realmente orientata al benessere complessivo del settore cinematografico, in tutte le sue componenti».
Avete denunciato che molti lavoratori del mondo dello spettacolo non lavorano da oltre un anno per lo stop ai finanziamenti pubblici. Quali sono i riflessi sul settore?
«Ci sono centinaia di persone in crisi economica. Tra questi ci sono lavoratori di 40-50 anni che sono costretti a cercare altri lavori e non è affatto facile. Chi tra i piccoli e medi produttori ha ottenuto i fondi fino al 2023 ha avviato i progetti e oggi ci sono ancora alcuni titoli in sala che hanno sfruttato quei finanziamenti. Dal prossimo anno vedrete i veri effetti di questo drammatico stop ai fondi durato due anni: il prodotto italiano sarà drasticamente inferiore. Speriamo che con la ripartenza del tax credit possa comunque cambiare qualcosa».
Ma il sistema ideato dall’ex ministro Dario Franceschini non dava troppi finanziamenti anche a chi non ne aveva bisogno?
«Originariamente la legge Franceschini era corretta: non favoriva in modo eccessivo i grandi. Tuttavia gran parte di quel modello non è stato attuato. Sono stati dati tanti soldi al comparto senza regole di rientro e senza l’obbligo a far restare in sala i film per diversi mesi. Non è un problema se si danno risorse a una produzione e poi il film non fa grandi incassi al botteghino, perché comunque si sta alimentando un settore facendo lavorare migliaia di persone. Il vero problema sono le sovra-fatturazioni: alcuni hanno gonfiato le richieste senza controlli. Ci sarebbero dovute essere fasce di contribuzione differenziate con verifiche puntuali. Se vuoi chiamare Brad Pitt lo Stato non può darti tutti i soldi. Ma da qui a impedire ai registi indipendenti di farsi strada ce ne passa».
Le piccole e medie sale rischiano ancora la chiusura?
«In Italia ci sono mille cinema e 600-700 esercenti, di cui molti piccoli e familiari che lavorano nelle cittadine di provincia: sono dei veri e propri presidi culturali. In questo momento come piccole e medie sale facciamo una fatica enorme: il prodotto non c’è, nemmeno quello americano che va direttamente sulle piattaforme. Mentre sono troppo corte le finestre di programmazione per il cinema italiano: se lo teniamo in sala massimo 90 giorni e poi esce sulle piattaforme noi non facciamo degli incassi soddisfacenti per coprire le spese di gestione. I finanziamenti del ministero della Cultura hanno tamponato una emorragia di chiusure già in atto in tutta Italia. E dal prossimo anno con la riduzione del prodotto italiano la situazione peggiorerà. Ci arrivano già tante proposte dalle società immobiliari per trasformare le piccole e medie sale in palestre, alberghi e centri commerciali».
«Cosa si può fare per invertire il trend?
Servono più aiuti statali programmati per i prossimi dieci anni. Va tagliato il tax credit ai grandi produttori e messo un tetto agli aiuti a 40 milioni di fatturato. Bisogna limitare anche così il fenomeno in corso di molti distributori che hanno aperto le catene cinematografiche e fanno concorrenza sleale ai piccoli esercenti. Servono poi più fondi regionali per avviare una strategia che renda le sale più attraenti, trasformandole sempre di più anche in spazi culturali e per eventi, rendendole luogo di aggregazione sociale fuori dalle solite fasce orarie. Anche con punti di ristorazione e incontri letterari. Gli eventi con gli attori oggi si fanno sempre negli stessi cinema e con le stesse persone».
Il “circoletto” di cui parla l’attrice Teresa Desio vale anche per produzioni e distribuzioni?
«Il mercato è chiuso dai grandi distributori che hanno centinaia di sale e non favoriscono il cinema indipendente. Tutte le strutture che hanno più di dieci sale dovrebbero dedicarne una a questo tipo di film. Se poi aiutiamo di più le piccole e medie sale il fatturato e lo distribuiamo davvero su tutto il territorio italiano, mentre le grandi distribuzioni portano i profitti all’estero».
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