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Data center: se l’IA ha fame di energia / Romania / aree / Home


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L’energy crunch italiano, ovvero il crescente aumento dei prezzi dell’energia, rivela la pressione della crescita digitale sulle infrastrutture esistenti ed indica l’Europa dell’est – ed in particolare la Romania – come prossima frontiera dell’infrastruttura dati

Che ci permettano di fare scrolling a tarda notte o di far funzionare i motori della finanza globale, i data center, zitti zitti, sono diventati il cuore pulsante del mondo digitale. A oggi se ne contano più di ottomila in tutto il mondo, concentrati soprattutto negli Stati Uniti – che ne ospitano più del 30 per cento – seguiti da Germania, Regno Unito e Cina. Si tratta in prevalenza di impianti hyperscale: simili a grandi magazzini di proprietà di giganti tech come Amazon, Google e Microsoft, sono progettati per gestire enormi volumi di dati con efficienza industriale.

Paesi a più alta concentrazione di data center Numero di data center per paese, a marzo 2024

Situati in posizione strategica vicino ai più grandi hub urbani o in regioni a clima temperato o dove l’elettricità costa poco, questi centri sono costruiti per avere alte performance, fatto non privo di conseguenze. Alcuni hanno lo stesso consumo elettrico di una piccola città. I loro sistemi di raffreddamento richiedono ogni anno milioni di litri d’acqua. E la loro impronta fisica continua a espandersi, causando spesso contrasti con le comunità locali per il consumo di suolo, la richiesta energetica e l’impatto ambientale. 

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In anni recenti, i data center sono passati dall’essere infrastrutture invisibili a occupare le prime pagine dei giornali. Report e studi hanno sottolineato il loro ruolo nelle carenze energetiche, nell’aumento delle emissioni di anidride carbonica e persino nei conflitti sui diritti idrici, specie con la crescita della fame globale di intelligenza artificiale, streaming e cloud computing. Ma quanto dobbiamo davvero preoccuparci?

Se guardiamo all’Italia – nello specifico alla crisi energetica di Milano – cominciamo a vedere le implicazioni più ampie della crescita dei data center in Europa. Quella che comincia come una sollecitazione locale della rete elettrica potrebbe rivelarsi un trend più esteso. E, tenendo a mente i contesti diversi, le criticità dell’infrastruttura energetica emerse in questa area metropolitana italiana potrebbero fornire ai decisori dell’est Europa degli spunti validi per la definizione delle loro strategie future.

Italia: le aspirazioni di un paese che ha ancora tante fragilità energetiche

In Italia, il settore dei data center è in forte crescita, con investimenti che dovrebbero raggiungere i 15 miliardi di euro tra il 2025 e il 2026. Si prevede che il ricorso ai sistemi di IA farà aumentare ulteriormente la domanda di questi centri, portando la capacità totale a 1,2 GW. In Italia esistono circa 140 data center commerciali. 

Stiamo assistendo a un boom del settore e ci si aspetta una crescita ancora maggiore, con investimenti destinati a raddoppiare rispetto al biennio precedente. I data center coinvolti appartengono sia a istituzioni pubbliche che a imprese private. L’IA è uno dei motori principali di questa crescita, perché fa aumentare la domanda di elettricità e capacità. In termini di densità di servizi, investimenti e infrastrutture, l’area in cui si concentra la maggior parte degli investimenti è quella metropolitana di Milano.

La sfida dei data center di Milano: preoccupazioni energetiche in un hub metropolitano

Circa 40 data center e quasi la metà della loro capacità energetica totale stimata in Italia (238 MW su 513 MW) si concentrano a Milano e dintorni. In quest’area, già densamente popolata da aziende e persone, la presenza di queste infrastrutture sta crescendo a un ritmo doppio rispetto al resto d’Italia. In particolare, a scegliere l’area metropolitana di Milano sono i data center più energivori, che rappresentano il 70 per cento di tutti quelli costruiti nel paese.

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Perché tanti calcoli energetici per questi impianti, considerando tutti quelli già presenti nell’area?

La fame di energia dei data center comincia a preoccupare alcune istituzioni locali che si lamentano del “peso” che Milano deve sostenere da sola per gestire un’infrastruttura che poi supporta lo sviluppo dell’intero paese. Il timore è che la rete elettrica non regga, soprattutto in estate, quando da anni è ormai sotto stress per via delle alte temperature e il conseguente uso massiccio di impianti di condizionamento.

Questo pensiero, sempre più diffuso tra gli amministratori, è stato esplicitato di recente in un incontro organizzato dagli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano. Elisabetta Confalonieri, direttrice generale università, ricerca e innovazione di Regione Lombardia ha osservato che “la sola Lombardia non può gestire questo carico per tutta l’Italia, se poi il territorio non ne trae effettivi benefici”.

Non si tratta di panico energetico, ma di riconoscere la necessità di gestire i data center come entità speciali connesse alla rete elettrica. Ciò richiede valutazioni di impatto ambientale, linee guida apposite, procedure di approvazione su misura e l’introduzione di uno specifico codice ATECO che il governo discute da mesi ma che non ha ancora approvato ufficialmente.

In mancanza di un regolamento nazionale, Milano adotterà linee guida locali

Se esistesse un regolamento simile, da un punto di vista energetico, diventerebbe obbligatorio privilegiare le fonti rinnovabili e le soluzioni che sperimentano sistemi innovativi di tele-riscaldamento e tele-raffreddamento. Sarebbe poi necessario rafforzare la rete elettrica nazionale, e i sistemi di stoccaggio energetico e di alimentazione di riserva a basso impatto ambientale. Bisognerebbe inoltre stabilire dei criteri di priorità per i data center che recuperano e riutilizzano il calore residuo a beneficio della municipalità.

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Impaziente di fissare dei limiti all’avanzata dei data center in Lombardia, l’amministrazione regionale ha stilato delle linee guida ad hoc per cercare di garantire la stabilità del suo sistema elettrico.

“In Lombardia siamo rimasti alla Legge Regionale del 12 ottobre 2005 e ai ‘classici’ permessi da chiedere bussando porta per porta ai comuni, totalmente inadatti alle esigenze attuali sia dal punto di vista energetico che autorizzativo”, spiega il consigliere regionale del Partito Democratico, Matteo Piloni. “Tra il 2025 e il 2026, saranno investiti 10 miliardi di euro per realizzare nuovi data center nell’area, e mancano stime su consumi di energia, acqua e suolo: c’è un enorme lavoro da fare in materia di pianificazione che compete alla regione”.

Anziché mettere in discussione l’arrivo di nuove infrastrutture, la vera urgenza è “connetterle” alla rete secondo standard specifici che vanno definiti al più presto. Il problema, più che Milano, riguarda le piccole cittadine dell’hinterland: “Lasciando gli accordi ai singoli comuni e al singolo privato e guardando esclusivamente allo sviluppo economico, c’è il rischio che salti tutto. 

Ma nessuno qui se lo può permettere, né chi abita qui né chi ha investito”, aggiunge Piloni. “Se lo stato tarda, è la regione che deve fare un passo avanti. Per avere una legge adeguata potrebbero volerci anche tre anni e i buoi scapperebbero dal recinto, lasciando che Milano diventi un far west”.

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Le amministrazioni comunali, infatti, giocano un ruolo chiave nello sviluppo dei data center, sia per quanto riguarda la loro localizzazione sia per quanto riguarda la valutazione del loro fabbisogno energetico e dell’impatto più ampio della loro edificazione sulle aree circostanti.

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Anziché guardare con terrore a una presunta diffusione malintenzionata dei data center e perdersi in lamentele, converrebbe rimboccarsi le maniche e colmare il vuoto normativo. La mancanza di una legislazione specifica sulla costruzione dei data center, a livello sia regionale che statale, comporta incertezze nella loro implementazione. Questo lascia ampi margini di discrezionalità agli enti pubblici e agli investitori coinvolti.

I comuni, tuttavia, spesso non dispongono delle competenze necessarie e del personale adeguato ad affrontare efficacemente questi aspetti tecnici. È fondamentale quindi dotarli di linee guida uniformi. Milano e la Lombardia sono combattute tra la sete di data center (e relativi giri di affari) e la consapevolezza di dover essere in grado di supportarne i consumi. Il loro potrebbe diventare un caso di studio per tutti quei centri metropolitani che aspirano a essere hub di data center, sia in Italia che nel resto d’Europa. Se da imitare o meno dipenderà dalle loro mosse future. 

Romania, l’hub tecnologico emergente che attira i data center

Per il futuro, se guardiamo ad altre parti d’Europa, notiamo un crescente sviluppo di data center e strategie competitive con l’obiettivo di allinearsi a un mondo sempre più digitalizzato. 

La Romania è un hub tecnologico promettente con una rete internet superveloce e un ecosistema di data center in espansione. 

Quando si pensa alle potenze tecnologiche globali, non è forse il primo paese che viene in mente. Eppure, in sordina, è diventata un leader del digitale, soprattutto per quanto riguarda l’infrastruttura internet. Con una delle velocità di connessione medie più alte del mondo, la Romania figura sistematicamente tra i migliori performer globali. Città come Bucarest, Cluj-Napoca e Timişoara offrono connessioni gigabit superveloci superiori a quelle di tante città dell’Europa occidentale o persino degli USA, a prezzi notevolmente concorrenziali.

Il motivo di questa situazione risiede nel fatto che la Romania ha investito da subito nelle reti in fibra ottica e ha sviluppato la sua infrastruttura in un modo del tutto particolare. Anziché affidarsi prevalentemente ai sistemi preesistenti, si è buttata sulla fibra nei primi anni 2000, con la conseguenza che l’infrastruttura è diventata largamente disponibile anche in molte aree rurali.

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Ma l’evoluzione tecnologica del paese va ben oltre internet veloce. La Romania vanta dei tecnici IT altamente specializzati e un ecosistema di startup in crescita, ed è diventata al tempo stesso un hub nearshoring [centro per l’esternalizazione di servizi]  per imprese europee e statunitensi.

La crescita dei data center in Romania

Oltre a sviluppare l’infrastruttura digitale, il paese sta compiendo anche significativi passi avanti nella crescita del panorama dei data center. Viste le caratteristiche summenzionate, la Romania è vista sempre di più come un luogo attrattivo per i servizi di hosting e per l’infrastruttura cloud. Infatti, nel 2018, un breve studio della società di consulenza britannica Savills ha messo la Romania al sesto posto fra le nazioni europee più adatte per costruire un data center.

La classifica si basava sull’analisi di dodici indicatori, tra cui la temperatura media annua, l’incidenza e i danni causati da calamità naturali, la cybersicurezza, il prezzo dell’energia elettrica, la disponibilità di energia pulita, la larghezza di banda disponibile, il tasso di penetrazione della fibra, ecc.

La Romania non ospita ancora un vero e proprio data center hyperscale di giganti tech come Microsoft o Amazon Web Services, ma le basi ci sono già.

La capitale Bucarest è l’epicentro dell’attività che ruota intorno ai data center, seguita da Timişoara, Constanta, Cluj, Brasov, Craiova e altre città, per un totale di 59 sedi.

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Gli attori che operano in Romania vanno dai provider locali alle imprese internazionali. In particolare, Telekom Romania, Orange Romania e Vodafone offrono servizi di data center su larga scala. Questi impianti in genere forniscono uno standard Tier III o superiore, con alimentatori ridondanti, sistemi di raffreddamento e di rete in grado di garantire continuità operativa e affidabilità.

Uno degli attori di primo piano nell’ecosistema dei data center romeni è NXDATA, un provider indipendente con sede a Bucarest. NXDATA gestisce due data center carrier neutral ed è un punto cruciale di interscambio internet (IXP) per tutta la regione. È una porta fra est e ovest, che collega l’Europa centrale ai Balcani, al Medioriente e oltre.

Il data center più potente, invece, è ClusterPower di Craiova, un investimento di quasi 40 milioni di euro che copre un’area di 25mila metri quadri e comprende un centro infrastrutturale per l’intelligenza artificiale, sviluppato con tecnologia Nvidia.

L’aspetto interessante di ClusterPower è che ha sviluppato una propria fonte di energia, un impianto di trigenerazione da 200 MW, e questo ci fa capire quanto è importante che il fabbisogno elettrico sia soddisfatto da fonti rinnovabili e non da combustibili fossili a elevata intensità di carbonio. 

La capacità pro capite dei data center romeni è di soli 3,2 W, ben al di sotto della media dei paesi del nord Europa, che sono ai vertici della classifica con 22,6 W, ma anche sotto la media dei paesi dell’Europa centrale e orientale, dove la capacità arriva a 4,5 W.

Di contro, i data center romeni offrono il vantaggio di avere uno dei più bassi coefficienti di efficienza di utilizzo energetico o PUE (Power Usage Effectiveness), con un valore stimato di 1,37, molto inferiore alla media europea e vicinissimo a quello dei paesi nordeuropei, secondo uno studio di Crosspoint Real Estate.

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Investimenti futuri in Romania 

Si sta discutendo della costruzione di due nuovi data center con una capacità combinata di 40-45 MW nel corso del 2025, per un investimento complessivo di quasi 500 milioni di euro, secondo i dati di Knight Frank, una società di consulenza immobiliare citata da Ziarul Financiar. Considerando l’espansione dell’IA e la migrazione verso il cloud, c’è un potenziale di 100 MW di data center in Romania. 

Un’importante piattaforma di mining di criptovalute, attiva dal 2022, ha inoltre annunciato l’acquisizione di un nuovo data center a Iron Gate, in Romania. Questa espansione strategica rientra negli attuali sforzi della compagnia per espandere le proprie operazioni, migliorare l’efficienza del mining e rispondere alla crescente domanda del mercato globale delle criptovalute.

I romeni sono preoccupati per l’espansione futura dei data center, il consumo energetico e i problemi ambientali?

La preoccupazione rispetto alla sostenibilità dei data center e al loro impatto ambientale è molto diffusa, anche grazie al faro che sull’argomento hanno puntato i giornalisti romeni. Al momento i data center rispecchiano il più ampio sviluppo economico che sta interessando varie regioni del paese, alcune delle quali sono sottosviluppate e hanno bisogno di essere rivitalizzate.

Questi centri servono anche alla Romania a posizionarsi sulla mappa internazionale della digitalizzazione facendo leva sulle sue risorse umane e naturali. Il governo ha incoraggiato attivamente questo tipo di investimenti, ed è prevedibile che in futuro l’industria dei data center si sposti sempre più verso paesi come la Romania.

La maggior parte degli analisti internazionali crede che la drastica riduzione dello spazio disponibile in hub per data center molto conosciuti (Regno Unito, Francia, Paesi Bassi, Germania, Irlanda, ecc) porterà sempre più investitori a spostarsi sui mercati secondari: Europa dell’est e Scandinavia.

Nei prossimi anni, quindi, gli investimenti principali si rivolgeranno a paesi dove il costo dei terreni, dell’energia e delle risorse umane è più basso, ma dove ci sono anche nodi di comunicazione efficienti, energia elettrica sufficiente e pulita, e le capacità tecniche per costruire e gestire grandi data center. 

Sono stati fatti investimenti importanti in Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria, Croazia, Estonia, Slovacchia e Grecia. E se tutto va come previsto, secondo la Reuters entro il 2030 uno dei più potenti hub di data center aprirà in Portogallo, per rispondere alle crescenti domande da parte di grandi imprese operanti nel settore tech e dell’IA. Resta da vedere se questo sviluppo renderà ancora più pressanti le sfide esistenti o se servirà a mitigarle.

I data center si stanno espandendo in regioni che offrono condizioni ambientali e logistiche ottimali. Sarà fondamentale scegliere sedi appropriate e implementare le tecnologie più efficienti. Inoltre, le politiche governative e i bilanci di sostenibilità sono e saranno sempre più essenziali, non solo per rispondere a requisiti normativi, ma anche per assicurare responsabilità e trasparenza sulle modalità di utilizzo di energia e risorse. 

A volte ci si sente sopraffatti dalla crescita dell’IA. Ma la sensazione di panico che magari si avverte – soprattutto per la rapidità dei cambiamenti in atto – si può ridimensionare considerando il quadro più generale e affidandosi a ricerche solide.

Uno studio che vale la pena leggere è quello di George Kamiya e Vlad Coroamă (Centro per la sostenibilità Roegen) pubblicato questo aprile.

Su cosa si sono focalizzati i due studiosi? Sul consumo energetico dei data center, soprattutto nel contesto dei sistemi di intelligenza artificiale.

Il rapporto, commissionato da EDNA – un’iniziativa legata all’Agenzia internazionale per l’energia (AIE) – analizza oltre cento studi e 60 bilanci di sostenibilità dei principali attori del mondo dei data center. Offre una revisione lucida delle stime attuali e si concentra su come l’IA sta influenzando la domanda energetica.

In base alle conclusioni degli autori, le stime attuali sul consumo globale variano da 200 TWh all’anno a sei volte tanto (1200 TWh), mentre le previsioni per il 2030 variano da 200 TWh all’anno a 40 volte tanto (8000 TWh). Le stime più alte, che ricevono più attenzione da parte dei media, sono fortemente correlate a studi di bassa qualità. Al contrario, gli studi di media e alta qualità danno risultati più prudenti.

Le stime di studi globali di buona qualità, che si aggirano intorno ai 300-400 TWh per il 2023, sono coerenti con studi regionali aggregati e dati di singole imprese. Ci si aspetta una rapida crescita del consumo imputabile all’utilizzo dell’IA, attualmente ancora marginale (30-50 TWh). Anche in questo caso le stime per il 2030 variano in modo significativo, da 200 a 1000 TWh.

Lo scenario più credibile è che il consumo di energia derivante dall’impiego dell’IA nei data center raggiungerà i 300 TWh circa entro il 2030, con un’alta probabilità che si attesti fra i 200 e i 400 TWh. Il consumo totale dei data center dovrebbe essere compreso fra i 700 e i 900 TWh.

L’intelligenza artificiale rappresenta quindi solo l’1 per cento del consumo globale di energia elettrica (che è di circa 30.000 TWh all’anno e in aumento) e appena sopra lo 0,1 per cento del consumo globale primario di energia (circa 200.000 TWh all’anno).

Data l’altissima densità di potenza (un rack Nvidia NVL72 con 36 superchip da 200GB consuma più di 100 kW; i data center dedicati all’IA possono consumare centinaia di MW, anche oltre 1GW) c’è un crescente interesse verso il nucleare come fonte di alimentazione delle tecnologie IA.

L’intelligenza artificiale può dunque diventare un problema a livello locale, come mostra il caso di Milano, in termini di produzione e trasmissione di energia elettrica, e potenzialmente anche rispetto al consumo idrico (sia attraverso il raffreddamento per evaporazione nei data center sia per l’acqua impiegata per la produzione di energia elettrica). A livello globale, tuttavia, tra tutte le attività umane energivore, l’IA rimarrà trascurabile e quasi sicuramente non manderà in corto circuito il pianeta.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito della Collaborative and Investigative Journalism Initiative (CIJI ), un progetto cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina progetto

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