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Cos’è e come funziona l’innovazione del modello di business


Quando si parla di innovazione nelle imprese strutturate si pensa immediatamente al lancio di nuovi prodotti o servizi, alla trasformazione digitale, o allo sviluppo di nuove tecnologie e processi che possano incrementare la produttività o l’efficienza. Ma in alcuni casi si può puntare ad un livello ancora più radicale, che mette in gioco tutti gli elementi citati, più altri ancora: l’innovazione del modello di business.

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Se portato avanti con successo, questo tipo di innovazione può aprire nuove opportunità di mercato inaccessibili ai concorrenti diretti, offrendo un posizionamento difficile da replicare e un vantaggio competitivo sostenibile. D’altra parte, si tratta di una pratica complessa che richiede un ripensamento profondo dell’esperienza dei clienti, un coinvolgimento sostanziale di molte funzioni aziendali, un’apertura profonda alle collaborazioni con terzi, e una capacità di orchestrare molti cambiamenti contemporaneamente.

Gli elementi di creazione del valore che vanno a comporre un modello di business sono potenzialmente molto numerosi, ma la maggior parte delle imprese si sviluppa sfruttandone in prevalenza uno solo. Non tutti nascono o crescono “ambidestri” come Amazon, che oggi genera ricavi in proporzioni comparabili da pìù modelli alla volta tra cui la vendita e-commerce, la fornitura di servizi logistici a terzi, l’offerta di potenza di calcolo in cloud e la vendita di pubblicità.

Innovazione del modello di business: da dove viene l’esigenza del cambiamento

Le dinamiche di mercato costringono periodicamente le imprese a investire nella sperimentazione e nello sviluppo di ulteriori modelli di business da affiancare o sostituire a quello prevalente, ad esempio quando la pressione competitiva si fa più forte o quando nodi più a monte o più a valle lungo la catena del valore arrivano a catturare la maggior parte del valore aggiunto. Ecco allora che fornitori di servizi iniziano a chiedersi come standardizzare la propria gamma di offerta per poterla vendere “a catalogo” come dei prodotti tradizionali, mentre le aziende manifatturiere cominciano ad incorporare elementi di servizio per nobilitare prodotti fisici sempre più fungibili.

La crescente diffusione di nuove tecnologie abilitanti, che consentono ibridazioni e rimescolano i rapporti di forza, porta ad una ulteriore accelerazione di questi cambiamenti: basti pensare alla smaterializzazione dei media dovuta all’ubiquità di Internet negli anni 2000, alla penetrazione del cloud computing e degli smartphone negli anni 2010, o all’avvento dell’intelligenza artificiale nella decade in corso. In questo contesto i produttori di automobili devono riposizionarsi come operatori di mobilità sostenibile, gli sviluppatori di applicazioni non vendono più pacchetti completi ma abbonamenti in logica “Software-as-a-Service”, e le banche e i circuiti di pagamento si ritrovano a competere con giganti tech come Google e Apple.

Un esempio concreto: la servitizzazione

Nella mia esperienza professionale ho potuto lavorare in settori molto diversi, e interagire da vicino con molte startup per le quali un approccio scientifico alla sperimentazione sui modelli di business era questione di sopravvivenza. Ho seguito quindi con interesse l’emergere del fenomeno della servitizzazione, ovvero dello spostamento dalla vendita secca di prodotti fisici (siano essi macchine di precisione per l’industria pesante o elettrodomestici per la vita di tutti i giorni) alla fornitura di soluzioni ibride prodotto/servizio che possano garantire al cliente la tranquillità di raggiungere il proprio obiettivo tenendo conto di tutti i fattori in gioco.

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Pensando solo all’elettronica di consumo: non più vendita separata di cellulari e abbonamenti, ma un unico canone mensile comprensivo di smartphone, minuti e giga. Discorsi simili per il televisore, il decoder, e l’abbonamento alla pay-TV, oppure per la stampante e le cartucce di inchiostro.

Su questa falsariga (anche perché non si inventa mai realmente nulla) ho avuto il privilegio di guidare la sperimentazione e il lancio sul mercato di un nuovo modello per il settore degli elettrodomestici: Washpass by Haier, un “abbonamento ai panni puliti” che comprende l’usufrutto di una lavatrice smart di ultima generazione, la spedizione a casa di detergenti sviluppati e dosati ad hoc, e tutto il supporto e la manutenzione necessari per lavare sempre al meglio.

Questo progetto ambizioso è stato reso possibile dall’incrocio di più innovazioni simultanee: la diffusione della connettività a basso costo basata sull’Internet of Things (IoT), la co-creazione di un sistema di dosaggio automatico per i principi attivi dei detergenti, e la crescente disponibilità di piattaforme Direct-to-Consumer per la vendita di prodotti e abbonamenti.

Innovazione del modello di business: Una questione interdisciplinare

Quasi subito è stato evidente che una trasformazione di questa portata avrebbe richiesto uno sforzo concertato da parte di tanti soggetti diversi, sia all’interno che all’esterno dell’azienda. Una volta definita la visione di lungo termine con il top management, sono quindi partiti diversi cantieri simultanei, che si sono poi sviluppati e consolidati nel corso degli oltre quattro anni passati dall’idea al mercato. Per citare alcuni dei più significativi:

  • il reparto ricerca e sviluppo ha avviato una partnership con un produttore di detergenti per sviluppare la chimica disaggregata e i sistemi di dosaggio e miscelazione;
  • il team di marketing ha individuato i segmenti di consumatori più sensibili e i mercati geografici su cui sperimentare, proponendo formule di abbonamento e punti prezzo in linea con le abitudini dei target;
  • la divisione IoT ha programmato l’interfaccia utente e gli algoritmi di lettura e previsione dei consumi per evitare che i consumatori si ritrovassero senza detergente sul più bello;
  • la logistica e supply chain ha previsto nuovi flussi e magazzini per gestire non più solo i prodotti finiti e i ricambi, ma anche i nuovi detergenti – con tutti i requisiti normativi e la complessità di assortimento del caso;
  • la funzione di qualità ha modellato i nuovi rischi specifici di ogni elemento del progetto e quelli emergenti dalla combinazione di tutti i fattori (come ad esempio il rischio di credito per i consumatori meno puntuali nei pagamenti);
  • L’area finance ha modellato i nuovi flussi di cassa dilazionati nel tempo, previsto le nuove esigenze di capitale circolante, e fatto analisi di sensibilità sulle diverse variabili.
  • la forza vendita ha attivato le piattaforme di e-commerce e gli accordi commerciali con i negozi fisici, attrezzandosi per gestire ricavi ricorrenti e non più solo entrate una tantum;
  • il servizio post-vendita ha previsto e codificato le nuove domande degli utenti (dove è il mio pacco di detergenti? Perché la mia carta di credito è stata rimbalzata? …) e formato operatori dedicati sui vari canali come web e call center;

Poiché era tutto al servizio di un modello di business mai sperimentato prima, la maggior parte dei soggetti in gioco ha dovuto fare uno sforzo di incubazione in aggiunta alle attività di routine per cui è ottimizzato, con non poche difficoltà e resistenze.

Le responsabilità di chi guida la trasformazione

La sfida maggiore è stata quindi quella del change management: trasmettere la visione e la posta in gioco a tutta l’azienda; coinvolgere i diversi responsabili fin da subito; mantenere alto il livello di impegno nel tempo; comprendere e far comprendere le implicazioni del nuovo modello su tutti i flussi di lavoro; lanciare proof of concept e piloti di mercato senza che tutti gli ingredienti fossero ancora al livello di cottura ottimale.

Come spesso accade nella gestione dell’innovazione, questo ha richiesto atteggiamenti diversi a seconda del momento e dell’interlocutore: forte coerenza rispetto alla visione originale, ma anche flessibilità man mano che emergevano gli imprevisti; discrezione e progressività nell’ingaggio dei colleghi già sovraccarichi, ma anche fermezza e insistenza nel far rispettare scadenze di progetto; rigore nel definire contratti e KPI con partner e fornitori, ma anche creatività nel riconfigurare le collaborazioni per far fronte alle nuove esigenze ed evidenze emerse dai primi test.

Un altro aspetto fondamentale è stata la gestione delle competenze: sarebbe stato impensabile partire da zero con un team dedicato, perché molto del know-how necessario era già disponibile in azienda e sarebbe stato troppo costoso da duplicare. D’altra parte, l’ortodossia di un certo “modo di fare le cose” non era funzionale agli aspetti più trasformativi, come ad esempio il nuovo go-to-market centrato sui canali digitali, per cui è stato necessario acquisire con cura alcune professionalità dal mercato (ed in particolare da settori più avvezzi alle logiche di servizio), e prevedere percorsi di crescita e formazione per i colleghi interni più coinvolti.

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Non si cambia modello di business in un quarter

L’esperienza riportata dimostra che l’innovazione del modello di business è una attività molto ambiziosa, da non prendere alla leggera: abbiamo trattato un caso specifico e puntuale, ma se ne possono trarre alcuni insegnamenti di carattere generale.

Anzitutto è fondamentale partire sempre da un bisogno reale del mercato, sia esso esplicito o latente, e mettere in conto fin da subito che gran parte dei processi aziendali andranno adattati (o in alcuni casi completamente ri-progettati) in funzione dell’esperienza finale. Vale quindi la pena investire tempo e risorse nella fase di modellazione e sviluppo della visione.

Una volta immaginato il modello target a un livello di dettaglio commisurato alla fase in cui ci si trova, è bene prevedere un owner dedicato per l’iniziativa, e mettere a sua disposizione un mandato esplicito e un buon assortimento di leve operative e gestionali. Vanno stanziati tempo e risorse, e va prevista una gestione proattiva dell’ingaggio di tutte le funzioni coinvolte lungo tutto il ciclo di vita dell’iniziativa.

Infine, bisogna avere sempre chiaro che si tratta di una attività di sperimentazione e validazione: una fetta importante delle ipotesi fatte all’inizio verrà inevitabilmente falsificata lungo il percorso: è utile poterne prendere atto rapidamente, senza doversi troppo preoccupare di “perdere la faccia” ad ogni cambio di direzione. Va quindi perseguito un approccio flessibile ma rigoroso, per mantenere la credibilità nei confronti degli stakeholder interni ed esterni.



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