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Il piano di Raphaël Glucksmann per ricostruire la sinistra di governo in Francia


In una Francia dove l’estrema destra aspetta soltanto che arrivi il suo turno per governare, e dove la sinistra sembra aver disimparato a parlare al Paese, Raphaël Glucksmann ha scelto una strada diversa: costruire un’idea politica, sfidando la rassegnazione generale. Lunedì 23 giugno, a Parigi, ha presentato un documento di cento pagine che è, a tutti gli effetti, l’ossatura di una candidatura presidenziale. «Notre vision pour la France» non è uno slogan vuoto, ma un progetto politico coerente, strutturato, deliberatamente orientato al potere. Non al potere per sé, ma al potere come responsabilità: quella di offrire un’alternativa reale alla deriva democratica in corso.

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Il testo nasce da nove mesi di lavoro, con trecento incontri locali, centocinquanta audizioni, oltre tremila contributi militanti. Un processo collettivo, simile nella forma a quello portato avanti anni fa da Jean-Luc Mélenchon con «L’Avenir en commun», ma radicalmente diverso nella sostanza. Mélenchon, leader populista della gauche radicale, ex socialista convertito all’antiliberalismo, ha costruito negli ultimi anni una sinistra di rottura, ostile all’Europa e incline alla retorica plebiscitaria. Glucksmann, invece, propone una sinistra di governo, pluralista, europea e fondata sul principio di realtà. Dove Mélenchon coltiva la rabbia, Glucksmann organizza il pensiero. Dove La France Insoumise polarizza, Place Publique vuole ricostruire.

La prima rottura riguarda le istituzioni. «Siamo alla fine di un modello. Una democrazia adulta non può esistere solo ogni cinque anni», ha dichiarato Glucksmann, che propone l’introduzione del sistema proporzionale, l’investitura parlamentare del primo ministro e la possibilità per ogni contribuente di destinare una quota delle proprie imposte al partito che sceglie. Un’agenda di riforme che punta a ridurre la verticalità presidenziale della Quinta Repubblica, per restituire centralità al Parlamento e voce ai cittadini.

Ma è sull’Europa che si misura la scelta di campo più netta. Glucksmann non si limita a difendere l’Unione: ne fa il perno della sua proposta politica. Chiede un aumento significativo del bilancio comunitario, un prestito comune da cinquecento miliardi di euro per una difesa europea autonoma e un rafforzamento deciso dell’aiuto all’Ucraina. «L’Europa è la condizione della nostra sovranità», afferma. Non è una posizione di compromesso: è una rivendicazione identitaria, in aperto contrasto con le pulsioni protezioniste che attraversano anche una parte della sinistra francese.

L’ecologia, per Glucksmann, è il fondamento della nuova potenza europea. Non un atto di fede, ma uno strumento di strategia industriale e geopolitica. Il programma propone una garanzia climatica universale, un «punteggio carbonio» obbligatorio per tutti i prodotti, una legge contro la fast fashion, la conferma dell’energia nucleare e l’obiettivo della neutralità climatica al 2050. L’ecologia, dice, deve diventare «il cuore delle politiche pubbliche», non per idealismo, ma per pragmatismo. Il green non è un segno di appartenenza, è una necessità strutturale.

Il cuore sociale della proposta è il lavoro. Glucksmann lega esplicitamente la crisi democratica al senso di frustrazione delle classi medie e popolari. «C’è un legame consustanziale tra democrazia e lavoro», afferma. Per ricucirlo, propone l’aumento del salario minimo a 1600 euro netti entro il 2029, l’indicizzazione dei salari pubblici all’inflazione, una conferenza nazionale sulle retribuzioni. Sulle pensioni, si oppone alla riforma di Emmanuel Macron che ha portato l’età legale a sessantaquattro anni, ma contesta anche la fissazione simbolica sui sessantadue: «Alcuni devono poter andare in pensione a sessanta anni, altri lavorare di più».

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In campo fiscale, Glucksmann non si limita ai riflessi classici della sinistra. Oltre alla soppressione di alcune nicchie e alla tassazione dei superprofitti, apre il dossier delle eredità – oggi solo il sei per cento della fiscalità francese – e ipotizza un prelievo più consistente sui grandi patrimoni e sui pensionati più agiati. «Stiamo diventando una società di eredi più che di lavoratori», denuncia. È una presa di posizione chiara, che sfida i tabù interclassisti della sinistra tradizionale e rilancia un’idea di redistribuzione attiva.

Il resto della gauche osserva e critica. Manuel Bompard, coordinatore di La France Insoumise, ha attaccato il programma affermando che «riprende solo nove delle trenta misure d’urgenza» del cartello unitario delle legislative 2024. Ma Glucksmann non cerca la compatibilità con Mélenchon. «Non possiamo fare la sintesi molle tra visioni antitetiche», ha dichiarato, respingendo ogni idea di un compromesso fondato sulla confusione. E ancora: «Il problema non sono loro. Il problema siamo noi». Non un attacco, ma una presa d’atto: l’egemonia mélenchonista è nata dal vuoto lasciato da una sinistra senza visione.

Un indizio sulla candidatura Glucksmann lo ha dato indirettamente commentando la situazione della sua compagna, la giornalista Léa Salamé che dal prossimo settembre sarà al timone del telegiornale serale di France 2. Il rischio di un conflitto d’interessi è evidente: «Lei è lei, io sono io. Se mi candidassi, lei si metterebbe in aspettativa».

Place Publique annuncia ora una seconda fase del percorso: un anno di confronto con la società civile, per trasformare la visione in un programma condiviso. Un processo partecipativo, pensato per coinvolgere sindacati, imprese, agricoltori, associazioni. Non si tratta di tattica, ma di metodo. Aspettando di capire come evolverà questa realtà politica, resta una certezza: oggi, nella sinistra francese, nessun altro ha fatto un passo così articolato, così ragionato, così dichiaratamente orientato al governo. La domanda non è più se Glucksmann si candiderà, ma se riuscirà a creare la forza necessaria per cambiare la mappa del potere. In una Francia stanca di slogan e dominata dalla paura, è una scommessa che merita attenzione.



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