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Fabio Pammolli (AI4I): “Ecco come attirare in Italia i talenti mondiali”


Intervista a Fabio Pammolli, Professore di Economia al Politecnico di Milano e Presidente dell’Istituto italiano AI4I.

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L’istituto italiano di intelligenza artificiale per l’industria è pronto a partire. AI4I è nato nel 2024 su iniziativa del Governo per rafforzare la competitività industriale. Di casa nelle Ogr di Torino, nel suo primo anno di vita la fondazione presieduta da Fabio Pammolli ha trovato il suo direttore e messo a punto una strategia, basata su unità di ricerca e sviluppo dirette da capi unità selezionati a valle di call internazionali. Selezioni in corso nel momento in cui scriviamo, e che abbiamo commentato proprio con Pammolli.

Economista, chairperson di InvestEU, presidente di AI4I: ha molto senso farle una domanda un po’ scontata. L’AI sarà un bene o un male per il mondo del lavoro?

L’AI non è intrinsecamente né buona né cattiva per il lavoro: tutto dipende dalle politiche di accompagnamento. Senza un adeguato sistema di incentivi e senza adeguati programmi di riqualificazione, l’automazione può effettivamente rischiare di comprimere salari e occupazione.

Ma sono ottimista: se in Italia e in Europa si saprà adottare un approccio integrato, che concili formazione continua, contrattazione flessibile e innovazione negli schemi di coordinamento all’interno delle imprese, questa rivoluzione tecnologica, forse la più radicale della storia contemporanea, rappresenterà una straordinaria opportunità.

Approfittando della sua esperienza in InvestEU: in quali tecnologie sta puntando le sue fiches l’Europa in questo momento – e quali le sembrano più promettenti?

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La transizione tecnologica si declina in un’ampia varietà di settori industriali. Sarà importante consolidare l’appetito per il rischio dello schema europeo, consentendo sempre di più agli implementing partner (gruppo Bei, banche nazionali di promozione come la nostra Cdp) l’assunzione di posizioni subordinate e di equity.

Alcuni settori chiave, anche per l’AI, sono caratterizzati da un elevato potenziale di uso duale, con implicazioni importanti sulla trasformazione e sulla protezione delle nostre filiere e delle nostre infrastrutture: cybersecurity avanzata, ottimizzazione energetica, piattaforme digital twin.

Sarà importante puntare anche sugli ambienti HPC federati per garantire capacità di calcolo condivise e sostenere progetti sia di ricerca di base sia applicazioni industriali scalabili.

Come stanno andando le call per i ricercatori? In questo periodo l’Europa è dichiaratamente a caccia di cervelli, soprattutto Made in Usa…

La call internazionale ha raccolto oltre 150 candidature da realtà come MIT, ETH e Oxford. Età media intorno ai 30 anni, con profili provenienti anche da gruppi industriali internazionali. Mi colpiscono molto l’audacia e il rigore intellettuale di molti dei progetti industriali presentati dai candidati e la grande voglia di partecipare, da imprenditori di sé stessi, a un progetto che ha il respiro e l’ambizione dell’interesse nazionale. Non era scontato.

Per quanto riguarda l’internazionalizzazione del reclutamento, ho sempre pensato che sta a noi farla. Non credo al mito dell’esodo dagli Stati Uniti. Se l’internazionalizzazione del reclutamento dei giovani ricercatori fosse stata vissuta come una reale priorità da parte del nostro sistema di ricerca, avremmo potuto utilizzare le risorse del PNRR in quella direzione.

La mia impressione è che il reclutamento internazionale sia fattibile, perché l’Italia è attrattiva e perché il Governo ha mantenuto potenti strumenti di incentivazione fiscale. Il tema è se il cavallo della ricerca vuole abbeverarsi o meno alle fonti dell’apertura competitiva delle call. Per noi, e per Torino, questa è una priorità.

Avete una dotazione di 20 mln all’anno; per il tipo di attività che state impostando si può parlare di un effetto ‘moltiplicatore’ relativo ai progetti che seguirete? Questo multiplo è stato stimato?

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Con 20 milioni di euro all’anno, siamo una realtà che può apparire come di piccole dimensioni nel panorama internazionale. Se accetta l’evocazione calcistica, ci stiamo muovendo tenendo bene a mente come si mosse il Nottingham Forest di Brian Clough alla fine degli anni Settanta: costruendo un modello efficiente, uno schema di gioco che renda orgogliosi i nostri giocatori di essere con noi. E non ci poniamo limiti. Noi crediamo al lavoro duro e alle favole che il lavoro duro sa costruire. E ne stiamo scrivendo una. Stimiamo di raggiungere un equilibrio tra entrate dallo Stato ed entrate da grant competitivi e contratti industriali entro tre anni. Per la stima dei moltiplicatori di impatto economico, ci vuole tempo. Quando chiesero al premier cinese Zhou Enlai, nel 1972, di esprimere una valutazione sull’impatto della Rivoluzione Francese, la risposta fu “too early to tell”. Almeno così vuole la vulgata prevalente. Di sicuro, sappiamo cosa misurare: grado di adozione delle soluzioni che, insieme ai nostri coproduttori, sapremo produrre; contributo alla creazione, su Torino, di un ecosistema di talenti e nuove imprese; costituzione di joint lab con grandi gruppi tecnologici.

Prevedete nuovi partner dopo IIT, Ogr, Fondazione CRT, Leonardo, ZEST, Compagnia di San Paolo, Cineca? Nei mesi scorsi si è parlato con una certa sicurezza di Stellantis, ma anche di Iveco, Comau…

Stiamo discutendo la costituzione di joint lab con diversi grandi gruppi industriali, come abbiamo fatto con un gigante come Leonardo. Le interlocuzioni sono in corso.

Di certo, non siamo interessati a interventi di marketing aziendale. Sappiamo di avere la responsabilità di condurre un istituto di interesse nazionale e chi vuole lavorare con noi deve investire consapevole dell’onore e degli oneri di questa impresa.

Leonardo ha dimostrato, e non ne avevo il minimo dubbio vista la passione e la competenza di Roberto Cingolani, di Simone Ungaro e del team, grande visione e consapevolezza delle dinamiche alla frontiera della tecnologia. Questo primo joint lab segna lo standard, fissa l’asticella, per le collaborazioni con altri.

Che ruolo ha la vostra concezione di ricercatori-imprenditori?

Il trasferimento tecnologico è garantito proprio dal modello dei ‘ricercatori-imprenditori’ e dal coinvolgimento delle piccole boutique di produzione di algoritmi che abbiamo realizzato con la piattaforma Suk (System for users knowledge).

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Con riferimento alle nostre unità di ricerca, nessun dipartimento disciplinare, nessuna stratificazione gerarchico baronale: ogni capo unità opera come imprenditore autonomo, responsabile dell’attuazione del proprio piano industriale.

Questa gerarchia piatta favorisce interazioni rapide, prototipazione sul campo e adozione immediata dei risultati scientifici.

Oltre ai joint lab, AI4I opera con ricerca commissionata e partecipa a consorzi di ricerca per partecipare ad esempio a bandi di finanziamento europei.

In definitiva, AI4I adotta un modello innovativo e flessibile di organizzazione della ricerca e del trasferimento tecnologico. Nessuna struttura dipartimentale, un portafoglio di unità di ricerca gestite in modo imprenditoriale da giovani ricercatori ad elevato potenziale.

Come vede l’evoluzione dell’AI nei prossimi anni in rapporto all’industria europea?

Prevedo un’accelerazione significativa, guidata dagli avanzamenti sui fronti delle GPU, della capacità di calcolo distribuita, della digitalizzazione di dati in formati eterogenei: le dark factories si affideranno a robot specialistici già oggi in grado di eseguire processi ripetitivi con massima precisione, mentre gli umanoidi rimangono per ora un tema di ricerca avanzata.

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Certamente, l’interazione tra la parte algoritmica e gli avanzamenti sui fronti della robotica e dei materiali avanzati rappresentano un fronte chiave. Bisognerà garantire l’interoperabilità tra piattaforme e formare tecnici con competenze sia meccatroniche sia digitali.

Chi è Fabio Pammolli

Professore di Economia del Politecnico di Milano. Dal 2015 al 2020 è stato membro dell’investment committee dell’European Fund for Strategic Investments. Oggi è presidente dell’investment committee di InvestEU e consigliere del ministro dell’Economia

L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune Italia del giugno 2025 (numero 5, anno 8)



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